AZZOLLINI, IL SALVATO DAL PD PER EVITARE GUAI ALLE COOP
L’INTERCETTAZIONE NEGATA: “DOPO LE TRANSAZIONI OGNUNO DEVE BENEFICIARNE”
“Dopo le transazioni, ognuno deve avere il suo … il suo, diciamo, beneficio”.
Quale sarebbe il beneficio? E chi avrebbe dovuto goderne?
Non lo sapremo: su quest’intercettazione, nella quale il senatore di Ncd Antonio Azzollini parla con il funzionario pubblico Vincenzo Balducci, l’indagine è a rischio. Il motivo è semplice: il Senato ha negato, almeno per ora, l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni su Azzollini.
E con chiunque, in quei mesi del 2009, il parlamentare parlasse di un affare da 150 milioni.
Un affare che — come vedremo — porta anche la firma della coop rossa Cmc.
Azzollini per l’accusa è il “regista nella gestione dei plurimilionari finanziamenti” e, parlando con Balducci, continua: “Poi ti dirò tutto… Chi incontriamo e che riusciamo a fare… Vedi di andare a prendere l’autorizzazione da questi della Regione…”.
Frasi che ora risultano inutilizzabili, eppure parliamo di un mega-cantiere sotto sequestro da un anno, migliaia di bombe ancora sul fondale del porto, un’opera faraonica che non vedrà mai la luce, l’inchiesta per truffa ai danni dello Stato da 150 milioni di euro condotta dalla procura di Trani, il principale indagato, Azzollini, che siede ancora a guida della commissione bilancio del Senato e si accinge a fare da mattatore della prossima finanziaria.
Paola Natalicchio, la giovane sindaca di Molfetta che da dodici mesi si trova a combattere, da sola, con tutto questo e con le “macerie” del porto voluto dal suo predecessore, proprio il potente senatore Antonio Azzollini, è furibonda con il Pd. “Voglio una spiegazione dalla segreteria nazionale del Pd”, ripete, incredula, davanti alla clamorosa scelta dei democratici, che l’altra notte, insieme a Lega e Ncd (Forza Italia era assente), nella giunta per le elezioni, hanno votato contro l’uso delle intercettazioni dell’ex sindaco di Molfetta, indagato per truffa aggravata e associazione a delinquere: “Voglio sapere che spiegazione danno di questo voto al Pd”.
Al Nazareno, a dire il vero, non danno nessuna spiegazione.
E anche i senatori, finiti nel mirino, preferiscono non argomentare la scelta. “C’è stato un errore da parte della procura che avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione ad intercettare”, dicono a mezzabocca, mentre fuori dal parlamento si levano i primi: “Vergogna”.
Un paio di senatrici, Ginetti e Pezzopane, sembra che siano state incerte fino all’ultimo se schierarsi con il relatore del Pd Casson che aveva proposto il via libera o con il resto del gruppo.
Poi più che la relazione dell’ex magistrato democratico ha potuto la forza di persuasione di Giuseppe Luigi Salvatore Cucca.
Il capogruppo Pd all’eterno della Giunta, sconosciuto ai più. È stato lui l’altra notte a chiedere una irrituale interruzione, poco prima del voto, per riunire in extremis i “suoi”, che, per altro, erano già stati convocati al mattino da Luigi Zanda, presidente dei senatori Pd: “È vero ma ho detto solo loro di leggere bene le carte e votare secondo coscienza”, conferma Zanda al Fatto.
Cucca ha temuto che la linea non fosse abbastanza chiara. E ha invocato, a giunta già in corso, un quarto d’ora a porte chiuse con i “suoi”.
Un summit concitato, durante il quale ci sarebbe stata anche una telefonata a Palazzo Chigi, minacciata almeno, per serrare le fila.
“Non c’è bisogno”, gli hanno risposto i presenti. Che, nove mesi dopo la richiesta della procura, in un periodo già in odore di legge finanziaria, hanno votato compatti per il no all’uso delle intercettazioni di Azzollini, abbandonando Casson al suo destino di “relatore”.
“Sembra proprio che, da presidente della commissione, Azzollini oggi possa spostare più pedine di Silvio Berlusconi”, osserva il senatore Mario Giarrusso, del M5S, gli unici a dire sì all’uso di quelle intercettazioni, che la procura rischia di non poter più usare contro Azzollini.
Quella di Azzollini è una storia di blitz telefonici, minacce (“io a quello gli dò due cazzotti”) ai funzionari riottosi, fitte strategie con i vertici della potente cooperativa rossa Cmc di Ravenna, a cui il senatore di centrodestra fa in modo che venga assegnato l’appalto, irrealizzabile perchè il porto di Molfetta è pieno di bombe. Questo raccontano le telefonate di Azzollini che secondo i senatori del Pd non si devono utilizzare.
E poi pressioni sui vertici dei ministeri, controllori, ragionieri dello Stato, presidenti di sezione del Consiglio dei lavori pubblici, convocati nello ufficio al Senato.
La stanza del potente presidente della commissione bilancio, dove si decidono le finanziarie dello Stato e intanto si studia come continuare a far scorrere soldi in direzione del porto di Molfetta, la grande opera con cui il sindaco-senatore, che ha ricoperto i due incarichi per sette anni, ha finanziato per anni il suo feudo pugliese.
I pm di Trani lo chiamano il “metodo Azzollini”.
Una capacità di persuasione che in molti sospettano possa essergli tornata utile anche di fronte alla giunta per le elezioni. Guglielmo Minervini, uno dei due candidati Pd alle primarie pugliesi, è stato il primo a lanciare l’allarme: “Da presidente della commissione bilancio, Azzollini può determinare le fortune o le sfortune di buonissima parte dei senatori”, ha scritto al presidente Dario Stefà no, anche lui candidato alle primarie pugliesi, accusando la giunta da lui presieduta di fare “melina”.
Il voto arrivato mentre è alle porte la prossima finanziaria rilancia i sospetti. Il M5S grida all’inciuco.
Vendola punta il dito contro “le larghe intese” divenute “sconce intese”.
All’ombra della Cmc di Ravenna, quella per cui si dà da fare il “compagno” Primo Greganti, anche lui sorpreso dai pm milanesi che indagano sugli appalti Expo, a frequentare il Senato.
Civati chiede spiegazioni al Pd. E la senatrice Puppato domanda ai suoi: “Avremmo avuto uguale atteggiamento se non si fosse discusso del dominus della legge finanziaria?”.
Mariagrazia Gerina
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