BREXIT, LA FUGA DI AVVOCATI DA LONDRA: IN CENTINAIA SI SONO REGISTRATI PRESSO IL FORO DI DUBLINO
CALANO ANCHE BROKER E INVESTITORI PROVENIENTI DA ALTRI PAESI EUROPEI
Avvocati che fuggono dalla City, banchieri che nemmeno ci arrivano: è un’altra conseguenza delle ansie su Brexit.
La prima categoria in questione, naturalmente, è quella degli avvocati d’affari, che compongono uno dei pilastri della cittadella della finanza londinese insieme a broker e ai protagonisti della finanza.
Messe insieme, le due notizie confermano l’allarme con cui il mondo legale e finanziario segue le intenzioni del governo di Theresa May su come realizzare l’uscita dall’Unione Europea, sancita dal referendum del giugno scorso: intenzioni che per il momento, in base a ripetuti segnali inviati da Downing street e dai suoi ministri, sembrano preludere a un “hard Brexit”, cioè non al divorzio dalla Ue ma pure alla rottura dei legami con il mercato comune, essenziale per gli avvocati e gli investitori che vogliono fare business con il resto del continente senza pagare dazi o tariffe extra.
La prima notizia, riportata dal Guardian, è che centinaia di avvocati di Londra si sono registrati presso il foro di Dublino in modo da poter esercitare la professione anche in Irlanda.
La ragione è semplice: un avvocato, per poter rappresentare clienti alla Corte Internazionale dell’Aia e in altri tribunali in Europa, deve operare in un paese europeo.
Se la Gran Bretagna si troverà completamente fuori dall’Europa, gli avvocati inglesi che vogliono lavorare in Europa avranno bisogno di una “base” europea: per questo alcuni di loro se ne cercano una per tempo a Dublino, dove la lingua è la stessa e la legislazione in certi ambiti è simile.
Un segnale analogo proviene dalla Francia: il Financial Times scrive che il flusso di banchieri, broker e investitori interessati a trasferirsi a Londra da Parigi e dintorni è drasticamente diminuito a causa di Brexit.
Societe Generale, una delle maggiori banche francesi, ha interrotto le assunzioni nella sua sede londinese per l’incertezza sulle conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dalla Ue.
Una fonte della Bnp Paribas, altra grande banca di Francia, rivela al quotidiano della City una politica dello stesso tipo.
Una differenza abissale rispetto al 2012, quando davanti all’offensiva del presidente Hollande, che dichiarò la finanza il suo “nemico” e minacciò di mettere una tassa del 75 per cento ai ricchi, il numero dei francesi che guadagnavano oltre 100 mila euro l’anno emigrati all’estero aumentò del 40 per cento.
Molti sceglievano come destinazione Londra, per la precisione il quartiere chic di South Kensington, ghetto dorato di banchieri europei, da taluni per questo soprannominato il “21esimo arrondissement di Parigi”.
E mentre gli avvocati mettono un piede a Dublino e i banchieri lo ritirano da Londra, risuona un altro campanello d’allarme da Brexit: in settembre l’inflazione britannica è cresciuta dell’1 per cento, rispetto allo 0,6 per cento del mese precedente.
La Banca d’Inghilterra l’aveva avvertito. Poco per volta, nel Regno Unito lo scenario economico sta cambiando.
E pare soltanto l’inizio di una lunga discesa.
(da “La Repubblica”)
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