Destra di Popolo.net

IL DIO DEL POPOLO

Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile

GENIO RIBELLE E POETA DEL CALCIO, IL PIU’ GRANDE PER SEMPRE

Dimmi che non è vero, Dieguito. Che è un’altra tua trovata, per farti beffa del mondo. Dimmi che stai ridendo, ballando, palleggiando un’arancia. Dimmi che stai danzando, ebbro e felice, tra i tuoi sogni e le tue nostalgie.
No, è una maledetta illusione: non ci sei più. Ti ha fermato un avversario terribile, un arresto cardiocircolatorio. A 60 anni compiuti da poco, dopo un’operazione alla testa: tu che ti fai fotografare, dopo l’intervento, sorridente, “anche questa è andata“.
Con quel tuo sorriso a girasole, da scugnizzo di Lanàºs, lo stesso che avevi da ragazzino, quando già  stupivi l’universo del fàºtbol con i tuoi gol, i tuoi dribbling, le tue prodezze. Non è retorica: in tanti ci sentiamo, ora, più soli.
Perchè hai rappresentato, per noi amanti della bellezza del calcio, la perla più preziosa, il giocatore capace di tutte le meraviglie del possibile e dell’impossibile: pensa, c’è chi assicura di averti visto palleggiare con una goccia d’acqua in un pomeriggio di tempesta al campo di allenamento di Soccavo.
Hai conquistato un mondiale, quello di Messico ’86, scrivendo, contro l’Inghilterra, i racconti più abbaglianti del football: prima la mano de Dios, il colpo proibito per vendicare le Malvinas, poi la rete più bella e travolgente di tutti i tempi, con i calciatori inglesi saltati come birilli, storditi, smarriti e increduli.
Sei passato dal Barcellona, prima di arrivare, nel luglio del 1984, al Napoli. Tu e una città : una storia di amore e di passione, di giorni da incorniciare, di scudetti memorabili e di notti, talvolta, da dimenticare.
C’ero anch’io, inviato di “Tuttosport”, sull’aereo che ti portava dalla Spagna in Italia, nella tua nuova realtà , ventiquattrenne felice di vivere quella nuova avventura, in un luogo che ti ricordava, per i suoi colori e per il suo calore, l’Argentina del cuore.
Pochi giorni dopo, ti intervistai per il mio giornale. “Come farai a superare la nostalgia per Buenos Aires?”, “Mi basterà  spalancare la finestra e guardare il mare di Napoli”
Ti sei perduto nei labirinti della droga, per uscirne fuori: a fatica, ma ci sei riuscito. Hai fatto tanto per gli altri, chiedendo il silenzio “perchè il bene si fa senza pubblicità ”. Hai attaccato il Potere del pallone, hai sfidato i prepotenti della politica, hai scelto di stare a sinistra, “da buon soldato dell’America Latina”. eri il simbolo del riscatto di ogni Sud.
Eri sempre tu: vero fino all’assurdo, mai una maschera, lo sguardo fiero, la testa alta. Ti hanno messo in croce mille volte, ma non ha mai ceduto: eri “el Diego”, il più grande di tutti, sempre e per sempre.
Sei stato il mio Borges della pelota. Ho avuto la fortuna di conoscerti bene durante le stagioni napoletane e poi al Siviglia. Aveva addosso una voglia immensa di vita, voleva catturare ogni attimo, ogni secondo, ogni sospiro. I tuoi compagni ti ricordano, tutti, con affetto e commozione: hanno vinto grazie, soprattutto, a te. Eri un trascinatore, un esempio. Il pallone era il tuo sangue, la tua anima: dopo la gloria del prato verde, hai cominciato ad allenare. Perchè non potevi stare lontano dal profumo dell’erba, dall’odore dello spogliatoio, dall’urlo della folla. Ogni volta che ti affacciavi sul campo, ecco partire il delirio: “Diego, Diegooo!”
Sono tanti i ricordi, ed è già  struggente il rimpianto. Osvaldo Soriano che ti aveva conosciuto al mondiale italiano del ’90 e che avrebbe voluto scrivere un romanzo con te protagonista. La tua amicizia con Gianni Minà . Il tuo parlare di Napoli sempre con dolcezza, con commozione. Le tue reti da centrocampo, da terra, quella punizione magica alla Juventus, il tuo sinistro che era musica, poema epico.
Ti pensavamo eterno, questo il nostro peccato. Il nostro segno di profondo affetto. Ciao Dieguito, ci saranno ora le nuvole a farti compagnia. Non avrai più dolori. Sei, adesso, nel mito, nella leggenda.

(da “Huffingtonpost”)

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A NAPOLI LUTTO CITTADINO, LUCI ACCESE AL SAN PAOLO, I QUARTIERI SI TINGONO DI AZZURRO

Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile

UN POPOLO PIANGE IL SUO MAGICO POETA

Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha proclamato il lutto cittadino   per la morte di Diego Armando Maradona. E chiede, in un post, che gli si dedichi lo stadio San Paolo dove le luci rimarranno accese tutta la notte per rendere omaggio al campione.
Intanto si tingono di azzurro le strade dei Quartieri Spagnoli di Napoli. Tante le bandiere esposte ai balconi, tanti gli striscioni che compaiono tra gli stretti vicoli del capoluogo. “Napoli torna Campione” e “Facci sognare” sono le scritte affisse ai palazzi dei Quartieri.
Alcuni tifosi hanno già  raggiunto il luogo dove è presente il murales del Pibe de Oro con la maglia numero 10 indossata quando giocava nel Napoli.
E sui social diventa virale la proposta di un flash mob: “Domani attaccate alla ringhiera del balcone o a una finestra una sciarpa, una bandiera, una maglietta. Insomma tutto quello che avete del Napoli. Ciao Diego”

(da Fanpage)

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ADDIO AL PIU’ GRANDE DI SEMPRE: MARADONA E’ MORTO PER ARRESTO CARDIACO

Novembre 25th, 2020 Riccardo Fucile

AVEVA 60 ANNI, NELLE SCORSE SETTIMANE ERA STATO OPERATO ALLA TESTA

Diego Armando Maradona è morto a 60 anni dopo un arresto cardiaco
All’età  di 60 anni è morto Diego Armando Maradona. Nelle scorse settimane Maradona era stato operato alla testa, l’intervento era andato bene. Ma questo mercoledì mentre era nella sua abitazione Diego è stato colto da un arresto cardiaco, che gli è stato fatale. Con l’Argentina vinse i Mondiali del 1986, con il Napoli due scudetti.
A 60 anni è morto Diego Armando Maradona. L’ex leggendario calciatore del Napoli, del Barcellona e della Nazionale argentina, secondo quanto riportano il Clarin e la CNN. Fatale è stato un arresto cardiaco. Diego è stato il più grande di sempre, ha vinto i Mondiali con l’Argentina, due scudetti con il Napoli ed è stato uno dei campioni più amati in assoluto.
Il mondo del calcio è in lutto. Maradona dopo aver festeggiato il compleanno si era sentito male ed era stato portato d’urgenza in ospedale, dove era stato operato alla testa. Dall’ospedale di Buenos Aires Maradona è uscito pochi giorni fa, stava meglio. Doveva trascorrere un lungo periodo di convalescenza a casa, dove purtroppo nella giornata di oggi 25 novembre ha avuto un attacco cardiaco che si è rivelato fatale.
Maradona meno di un mese fa aveva compiuto sessant’anni, il mondo del calcio lo aveva celebrato, tutti lo avevano onorato, tantissimi campioni di ogni sport, di ieri e di oggi, gli avevano fatto gli auguri, un omaggio che si riserva solo ai campionissimi
Diego ha vinto il Mondiale del 1986 con l’Argentina, ha disputato la finale di Italia ’90 e con il Napoli ha conquistato due scudetti (1987 e 1990).
Ma per descriverlo non bastano solo i titoli, i trofei vinti, perchè l’essenza di Maradona si è vista in tante piccole cose, tante piccole grandi cose, oltre ai gol memorabili, a quelli che vengono subito alla mente: alla Mano de Dios in Argentina-Inghilterra e al gol del secolo segnato pochi minuti dopo, quando scartò sei o sette giocatori inglesi prima di battere Shilton.
Ha giocato anche con il Barcellona e il Siviglia, e in patria con il Boca Juniors e l’Argentinos Juniors. Con la nazionale dell’Argentina ha disputato quattro Mondiali, e l’ha guidata da allenatore nel 2010.

(da agenzie)

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ADDIO AL GRANDE MATTATORE

Novembre 2nd, 2020 Riccardo Fucile

GIGI PROIETTI E’ SCOMPARSO NEL GIORNO DEL SUO OTTANTESIMO COMPLEANNO

L’attore, drammaturgo e regista è scomparso nel giorno del suo ottantesimo compleanno. Una lunghissima carriera, i successi in teatro, al cinema e in tv. La famiglia: “Sarà  ricordato come merita nei tempi e modi da definire”
Aveva sempre ironizzato sulla sua data di nascita: “Che dobbiamo fa’? La data è quella che è, il 2 novembre”. Gigi Proietti è morto per gravi problemi cardiaci, dopo essere stato ricoverato in terapia intensiva in una clinica romana. La famiglia ha mantenuto il massimo riserbo che oggi dice: “Sarà  ricordato come merita nei tempi e modi da definire”. Si parla di esequie pubbliche ma con ingressi contingentati.
Una carriera ricca, lunghissima, più di mezzo secolo in scena e sul set. Talento unico, autoironia, cinismo romano stemperato nella battuta, scopre il teatro all’università . “I miei ci tenevano alla laurea” racconta, “io studiavo, si fa per dire, Giurisprudenza ma la sera mi esibivo. Poi il mio amico Lello, che suonava nella nostra band, una sera viene a vedermi e mi dice: ‘Devi fare questo’. Ho capito che recitare mi piaceva tantissimo, è diventata la mia vita. Ma per papà  non era la scelta giusta, era preoccupato e mi ripeteva: ‘Prendi un pezzo di carta, se piove o tira vento è una sicurezza’”.
Un vero mattatore, che passa dalla musica (fa il verso a Louis Armstrong, diverte con Nun me rompe er ca’ ispirandosi agli chansonnier) alle celebri macchiette di Petrolini, per arrivare a Shakespeare.
I primi successi dell’attore romano arrivano in una cantina in Prati in cui recita Brecht e poi con lo Stabile dell’Aquila diretto da Antonio Calenda, che lo guida in testi di Gombrowicz e di Moravia.
La grande occasione arriva nel 1970 quando sostituisce Domenico Modugno, accanto a Renato Rascel nel musical Alleluja brava gente di Garinei e Giovannini.
Da allora è interprete e autore di grandi successi teatrali, tra i quali Caro Petrolini, Cyrano, I sette re di Roma. Dopo aver recitato nel 1974 nel dramma di Sem Benelli La cena delle beffe, accanto a Carmelo Bene, nel 1976 stringe un sodalizio con lo scrittore Roberto Lerici, insieme al quale scrive e dirige i suoi spettacoli rimasti nella storia, A me gli occhi, please è un trionfo. Lo riporta in scena nel 1993, nel 1996 e nel 2000, “Ringraziamo Iddio, noi attori abbiamo il privilegio di poter continuare i nostri giochi d’infanzia fino alla morte, che nel teatro si replicano tutte le sere”, confessa Proietti. “Non ho rimpianti, rifarei tutto, anche quello che non è andato bene”.
Continua a girare film, serie tv. Nel 1996 è protagonista della serie dei record d’ascolto Il maresciallo Rocca nel ruolo di un carabiniere padre di quattro figli che tutti gli italiani vorrebbero incontrare, ma prima c’erano stati Un figlio a metà , Italian restaurant. In tv fa il varietà  da Fatti e fattacci a Fantastico ma il teatro è la sua vita e la sua passione, fa rivivere Shakespeare al Globe Theatre, incoraggia i giovani attori come faceva nella sua celebre scuola (dove ha avuto allievi Flavio Insinna, Giorgio Tirabassi e tanti altri).
Un talento vero, da Febbre di cavallo al doppiaggio: presta la voce a Gatto Silvestro, in coppia con Loretta Goggi (che fa il canarino Titti), e alle star: Richard Burton, Richard Harris, Marlon Brando, Robert de Niro e Dustin Hoffman. Doppia Sylvester Stallone che grida “Adrianaaaaa!”, nel primo Rocky. Di recente aveva partecipato alla nuova stagione di Ulisse con Alberto Angela.
Non aspettava i compleanni per fare i bilanci. “Sono abituato a farli tutti i giorni, quando arrivano gli appuntamenti importanti li ho esauriti. Sa cosa rispondeva Anna Proclemer a chi le chiedeva: ‘Cosa serve per fare l’attore?’. ‘La salute’. È fondamentale, e deve funzionare la testa”.
Tre settimane fa, in una lunga intervista, ci aveva spiegato che era di sinistra. “Chi è di sinistra resta di sinistra, anche se non sono mai d’accordo con quello che dicono”. Era innamorato di Roma, la sua città , e Roma era innamorata di lui.

(da “La Repubblica”)

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ADDIO A UNA LEGGENDA: E’ MORTO SEAN CONNERY, IL PRIMO 007

Ottobre 31st, 2020 Riccardo Fucile

L’ATTORE SCOZZESE AVEVA 90 ANNI, UNA LUNGA E LEGGENDARIA CARRIERA

Lutto nel mondo del cinema. Si è spento all’età  di 90 anni Sean Connery, una delle ultime grandi star dell’età  d’oro di Hollywood, nonchè il più amato tra tutti i James Bond che hanno interpretato la saga di 007.
Oltre al ruolo dell’agente segreto più famoso al mondo, resta indimenticato per film come “Gli intoccabili” (suo unico premio Oscar), “Indiana Jones e i l’ultima crociata” e “Caccia a ottobre rosso”.
Assente da anni dalla recitazione, aveva spento 90 candeline lo scorso 25 agosto. L’annuncio della scomparsa è arrivato dal sito della Bbc, che cita fonti della famiglia.
Nato il 25 agosto 1930 a Edimburgo, l’attore scozzese aveva iniziato a recitare a metà  anni 50 e si era fatto notare nel classico del genere bellico “Il giorno più lungo”, ma la popolarità  era arrivata con la saga di 007.
Nel 1964, nel pieno della fama nei panni di James Bond, aveva lavorato con Alfred Hitchcock nel capolavoro “Marnie”, al fianco di Tippi Hedren. Poi, negli anni, una sequela di ruoli di culto ben oltre quello, arcinoto, della spia al servizio di Sua Maestà : il fascinoso capo berbero in “Il vento e il leone” di John Milius, lo scalcagnato ma ancora affascinante Robin Hood di “Robin e Marian” di Richard Lester, l’iconico Guglielmo da Baskerville di “Il nome della rosa” di Jean-Jacques Annadu, produzione internazionale dal best seller del nostro Umberto Eco, l’enigmatico ufficiale sovietico Marko Ramius in “Caccia a ottobre rosso”, l’eroico e malinconico Jimmy Malone in “Gli intoccabili”, l’adorabile papà  di Indy Henry Jones sr. in “Indiana Jones e l’ultima crociata”.
Tutti i film di 007 con Sean Connery
Immancabilmente legato alla saga di 007, ha interpretato Bond nei primi film della saga: “Licenza di uccidere” (1962), “A 007, dalla Russia con amore” (1963), “Missione Goldfinger” (1964), “Thunderball (Operazione tuono)” (1965), “Si vive solo due volte” (1967). Poi è tornato nel settimo “Una cascata di diamanti” (1971), dopo la parentesi di George Lazenby in “Al servizio segreto di Sua Maestà “, (1969).
Aveva detto “mai più”, ma ha cambiato idea quando, nel 1983, ha di nuovo vestito i panni di Bond in un film apocrifo, sostanziale remake di “Thunderball”, che non a caso si intitola “Mai dire mai”. Secondo un sondaggio, in Uk resta lo 007 più amato dal pubblico.
L’Oscar e gli altri premi
Interprete di grandiosa presenza scenica, il divo scozzese ha conquistato un solo Oscar, quello per “The Untouchables — Gli intoccabili”, in cui, diretto da Brian De Palma (con le musiche indimenticabili di Ennio Morricone) dà  vita all’epopea gangsteristica della caccia ad Al Capone insieme a Kevin Costner, Andy Garcia, Charles Martin Smith e Robert De Niro.
Connery ha vinto però anche due Bafta (gli Oscar inglesi: per “Il nome della rosa” e il premio Academy Fellowship) e tre Golden Globe (per “Gli intoccasbili”, oltre al Cecil B. DeMille Award e all’Henrietta Award).

(da agenzie)

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ADDIO A JULIETTE GRECO, ICONA DELLA CANZONE FRANCESE

Settembre 23rd, 2020 Riccardo Fucile

AVEVA 93 ANNI, NELLA SUA LUNGA CARRIERA E’ STATA LA MUSA ISPIRATRICE DI TANTI ARTISTI DA MILES DAVIS E JEAN PAUL SARTRE, DA JACQUES PREVERT A SERGE GAINSBOURG

È morta l’attrice e cantante francese Juliette Grèco. Aveva 93 anni.
Icona della canzone francese, celebre anche per il suo ruolo d’attrice in Belfagor – il fantasma del Louvre sceneggiato televisivo.
L’annuncio è stato dato dalla famiglia: “Juliette Grèco si è spenta questo mercoledì 23 septembre 2020 circondata dai suoi familiari nella sua casa tanta amata di Ramatuelle. La sua fu una vita fuori dal comune”.
Nella sua lunga carriera, iniziata a metà  degli anni Quaranta nei caffè bohemienne di Saint-Germain-des-Près a Parigi, è stata la musa ispiratrice di tantissimi artisti da Miles Davis a Jean Paul Sartres, da Jacques Prèvert a Serge Gainsbourg.
Settant’anni di musica, figura emblematica dell’esistenzialismo, una giovinezza marcata dall’impegno politico fin da quando giovanissima venne arrestata e picchiata dalla Gestapo nella Francia occupata dai nazisti mentre insieme alla sorella Charlotte cercavano la madre deportata. Aveva solo 15 anni.
Nel 1947 in uno degli stabilimenti di rue Dauphine, Le Tabou, Juliette scopre per caso, grazie al cappotto appoggiato su una ringhiera e caduto da una scala, un’ampia cantina a volta inutilizzata che il proprietario chiama “il tunnel”.
Juliette e le sue amiche lo trasformano nel posto perfetto per fare musica e ballare mentre discutono di filosofia. Ci vuole solo una settimana perchè i curiosi vengano in gran numero ad osservare questa nuova umanità  chiamata esistenzialisti.
Nel ’49, a 22 anni, Juliette Grèco canta in un ristorante-cabaret alla moda: Le boeuf sur le toit nel quartiere degli artisti e dei poeti. La notano in molti per la sua voce così particolare ma anche per la sua figura esile, il piglio passionale, diventa in breve tempo un’icona imitata e ammirata dalle altre ragazze.
A Saint- Germain ha una stanza all’hotel La Louisiana, è stato Sartre a permetterle di ottenere l’unica camera con l’acqua calda, la numero 10, al 76 risiede un trombettista che si farà  strada, è Miles Davis. È il 1949: Grèco e Miles Davis si ameranno per qualche settimana, poi lui tornerà  a New York senza neanche salutare.
Dopo Miles arriva il primo marito, l’attore Philippe Lemaire, padre dell’unica figlia, nata nel ’54; vivrà  poi una passione con il fondatore della 20th Century Fox, il magnate Darryl Zanuck, 25 anni più vecchio di lei. Le aprirà  le porte di Hollywood.
A Hollywood gira, tra gli altri, Le radici del cielo di John Huston, Il dramma nello specchio di Richard Fleischer. Ma il successo sarà  televisivo, nel ’65, nella serie Belfagor ovvero il fantasma del Louvre nel quale è la sensuale e ambigua Luciana Borel, che si scoprirà  essere il fantasma, una storia a cui rimase sempre legata tanto da tornare in un cameo nel film del 2001 di Jean-Paul Salomè.
Il secondo marito è Michel Piccoli, che lei lascia per noia. Il terzo marito, con il quale è rimasta fino alla fine e più di trent’anni, è Gèrard Jouannest, compositore e pianista di Jacques Brel e Barbara, uomo elegante e non mondano. Insieme si erano ritirati in una bella casa a Ramatuelle, nel sud della Francia dove è morta oggi.

(da agenzie)

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ADDIO A FRANCA VALERI, ARTISTA SIMBOLO DI INTELLIGENZA E IRONIA

Agosto 9th, 2020 Riccardo Fucile

AVEVA APPENA COMPIUTO 100 ANNI… “LA COMICITA’ NON E’ UN DONO DI NATURA, E’ UN LAVORO DI CERVELLO”

È morta   Franca Valeri, una delle più grandi attrici italiane di teatro e televisione. L’attrice è deceduta nella sua casa romana: aveva 100 anni. Lunedì 10 agosto, dalle 17, la camera ardente al Teatro Argentina di Roma. Mentre i funerali si svolgeranno in forma privata.
“La morte non ci deve impressionare. È una componente della vita, e se ne può sorridere, a costo di accentuarne le conseguenze, le paranoie e i riti. E poi io ho avuto sempre la fortuna d’avere il teatro che mi parlava in tasca, e quando ho perso per strada gli affetti, ho potuto far affidamento su nuovi giovani amici, e sui miei amati animali”.
È così che Franca Valeri s’esprimeva, un tempo, riservando ad alcuni il privilegio della confidenza, dell’astrazione, e di un certo quieto e surreale distacco. Associando il compensarsi umano dei cicli della vita a un’armonica staffetta di partner, di personaggi, di colleghi, di adorate creature domestiche.
Ora che non c’è più, abbiamo perso un’infinità  di cose: la portavoce acuta di prototipi, l’osservatrice di fenomeni di costume, la ritrattista storica di generazioni, l’autrice che ha declinato sorti individuali in contesti politici, l’attrice anticonformista produttrice di risate dedicandosi solo all’opacità  dei destini conformisti, la letterata con raffinata padronanza della lingua al servizio di spettacoli e libri di gran diffusione, la professionista il cui motto era “La comicità  non è un dono di natura, è un lavoro del cervello”.
Abbiamo perso la sua voce, che s’era formata con Sergio Tofano e con Giorgio Strehler, voce che era più indipendentemente nata nella gavetta favolosa e libertaria del Teatro dei Gobbi, la pratica di cabaret intellettuale anche francese condivisa negli anni Cinquanta col futuro marito Vittorio Caprioli e con Alberto Bonucci poi sostituito da Luciano Salce, ai tempi del “Carnet de Notes 1”.
Una voce che radiofonicamente, e in seguito alla tv, avrebbe poi partorito le signorine della borghesia e della gente comune, piacendo a Missiroli, Patroni Griffi e a De Lullo che l’abbinò ai toni robusti di Paolo Stoppa in un indimenticabile “Gin Game”.
Ora ha preso il commiato da noi l’autrice che all’inizio era nata, diremmo, con gli stili suggeriti dalle tecniche di Irene Brin e Camilla Cederna, ma che presto avrebbe svelato somiglianze di forza parodistica affine (con eleganza tutta sua, ben inteso) ai profili di un Paolo Poli o di una Franca Rame, mentre dagli anni Novanta, a cominciare da Tosca e altre due in tandem con Adriana Asti, subentra un racconto di Franca Valeri più attento all’intimità  dei soggetti, come dimostreranno poi i testi più maturi imperniati su una vecchia signora come Non tutto è risolto del 2011 e Il cambio dei cavalli del 2014, sempre concepiti per riservare un bel ruolo filiale a Urbano Barberini.
Verrebbe voglia di dire, a proposito della coscienza d’artista in età  che in palcoscenico si misura con figure molto vissute, che uno dei confronti seriamente ispiratori di questa nostra amata autrice-interprete risale al suo calarsi, nel 2001, nei panni di un’anziana genitrice che prima della casa di riposo pensa a come ripartire i suoi oggetti non smarribili, in “Possesso” di Yehoshua. “I miei averi? Quadri, libri, una coperta, un tavolo Impero” confessò Franca, parlandomi di sè.
Ci ha lasciati un genio della dissertazione, dello humour di gran classe, dell’apologo, del cammeo metafisico, del sarcasmo platonico.
Si divertì da pazzi a fare la sorella Solange, accanto ad Anna Maria Guarnieri, e a Patrizia Zappa Mulas, ne Le serve di Genet diretto da Giuseppe Marini. “Io molti anni fa ho mangiato assieme a Genet e al suo fidanzato in un ristorante di Roma: era cordiale, polemico e ironico”.
Tantissimi hanno voluto conoscerla, nei suoi cent’anni: Luchino Visconti la sbirciava da dietro le quinte, e già  ai tempi dei Gobbi quando era in scena a Parigi si trovava in platea Sartre, Piaf, de Beauvoir, Claudel.
Ha preso commiato da noi un talento assoluto dell’arte divagatoria, che andava a sei anni alla Scala con la madre: “Lei era attentissima, e a insegnarmi fin da piccola l’amore per la lirica fu un amico di famiglia che mi educò suonandomi le arie al pianoforte”.
La vocazione fruttò anche la responsabilità  d’un concorso per giovani cantanti d’opera, il Premio Mattia Battistini, che Franca condivise dal 1980 al 1995 col secondo compagno (dopo il marito Vittorio Caprioli) della sua vita, il direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi.
“Quando coi Gobbi demmo vita a un inedito varietà  da camera – le piaceva ricordare – s’è costituito un precedente: da lì ho ripreso la traccia per Carnet de Notes 2008 inserendo una tessitura di Verdi, Mozart, Rossini, Donizetti e Puccini”.
Il vuoto che ora s’è creato ci priva anche d’una protagonista di tanto cinema clamoroso, adorato dal pubblico italiano, e qui, citando un solo film dei suoi oltre 50, la pellicola che più resta impressa per l’apporto di cui lei è stata capace è sicuramente Il vedovo di Risi, con favolosa intesa tra Valeri e Alberto Sordi.
Non ammessa all’Accademia, valorizzata ma mai premiata dai produttori del grande schermo, lei è stata d’altronde un impeccabile mostro sacro del palcoscenico. “Il teatro è più forte dell’amore” amava sostenere.
Dovremmo anche dire che oggi non possiamo più contare su certa letteratura di Franca Valeri, sulle sue squisite pagine autobiografiche che ci regalò, per i tipi di Einaudi, in Bugiarda no, reticente del 2010, e nel libricino La stanza dei gatti del 2017, quest’ultimo con la meravigliosa quarta di copertina che recita “Ogni volta che mi illudo d’incontrare quel signore che ritengo sia il teatro, mi rendo conto di vivere la più bella illusione della mia vita”.
Ma come non avere anche nostalgia di quel volume intitolato Animali e altri attori. Storie di cani, gatti e altri personaggi? E come non collezionare, freschi d’uscita, l’attuale (inedito) La Ferrarina – Taverna sempre di Einaudi, e Tutte le commedie di Baldini+Castoldi – La nave di Teseo?
Leggiamola, questa drammaturga-scrittrice, la cui donna di servizio Renata fu, tanto tempo fa, la figura-tipo da cui nacque la Sora Cecioni, “Una che quando entrava in casa, per me entrava il teatro”. E quando diciamo ‘francamente’, d’ora in poi facciamo omaggio anche a Franca.

(da “La Repubblica”)

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UNA VITA IN SCENA: E’ MORTO GIANRICO TEDESCHI, UNA CARRIERA DEDICATA AL TEATRO

Luglio 28th, 2020 Riccardo Fucile

AVEVA 100 ANNI… PROTAGONISTA CON STREHLER, RONCONI E VISCONTI

Gianrico Tedeschi, decano del teatro italiano, è morto la notte scorsa nella sua casa di Crabbia di Pettenasco, sul lago d’Orta.
Attore teatrale e televisivo insieme raffinato e popolare, apprezzatissimo intrattenitore negli anni dei grandi varietà  e volto noto al grande pubblico anche grazie a Carosello, aveva compiuto 100 anni il 20 aprile scorso, ricevendo per l’occasione un messaggio di auguri dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Da molti anni viveva a Crabbia sul lago d’Orta, nella casa dove aveva festeggiato anche il suo centesimo compleanno insieme alla moglie Marianella Laszlo, anche lei attrice, e alle due figlie: Sveva, che ha seguito le sue orme, ed Enrica, docente universitaria di sociologia, che ha raccolto la testimonianza del lavoro d’attore del padre in un dialogo-biografia dal titolo Semplice, buttato via, moderno.
Il ‘teatro per la vita’ di Gianrico Tedeschi in cui attraversa il secolo scorso intrecciando ricordi di vita personale e artistica. Così racconta la passione per il teatro: “Mio papà  era appassionato di teatro ci portava tutte le domeniche e io, che avevo sei anni, mi annoiavo da morire. Poi una volta mi ha portato al Teatro Dal Verme a vedere Ermete Zacconi in Spettri di Ibsen. La sua recitazione mi ha talmente impressionato che da lì ho cominciato ad andare volentieri a teatro”.
Nato a Milano nel 1920, dopo il diploma parte per la guerra come ufficiale e partecipa alla campagna di Grecia. Dopo l’8 settembre finisce in un lager nazista ed è lì che inizia a recitare con i compagni di prigionia, tra cui Giovanni Guareschi e Enzo Paci.
Come lui stesso ricorda: “Sono diventato attore perchè sono stato in campo di concentramento”. Da allora non ha più smesso, dopo la Liberazione riesce a entrare in Accademia a Roma e nel 1947 debutta a teatro, scelto e diretto da Giorgio Strehler.
Inizia così una carriera di successo, che lo vede lavorare con registi che vanno da Luchino Visconti a Luca Ronconi, alternando autori e generi compresa la rivista e la commedia musicale tra cui un celeberrimo My fair lady nel 1964 con Garinei e Giovannini. Partecipa agli storici sceneggiati televisivi, diventa amato personaggio di un Carosello di dolciumi, lavora anche in radio con Raffaella Carrà  e nel cinema con, tra i tanti, Bragaglia, Steno, Dessin e Rossellini.
In 70 anni di teatro ha recitato con Ruggero Ruggeri e Salvo Randone, passando per Anna Magnani, Marcello Mastroianni, Romolo Valli e tantissimi altri, ma anche Renato Rascel e Domenico Modugno, per arrivare ad avere accanto giovani come Massimo Popolizio, Sergio Rubini o Marina Massironi.
Con Strehler è stato Pantalone in Arlecchino servitore di due padroni nel ’74 e Peachum nell’Opera da tre soldi, poi La locandiera e Tre sorelle con Visconti, i lavori di Testori con Ruth Shammah, il Bernhard del Riformatore del mondo con la regia di Maccarinelli. Senza dimenticare un eccezionale Cardinale Lambertini di Testoni che ne dimostra la vitalità  e curiosità  di artista, e pronto a misurarsi anche col varietà  e la commedia leggera, capace di cantare e muoversi danzando accanto a Delia Scala in My fair lady nel ’64 o a Ornella Vanoni in Amori miei.
Attore di grande versatilità , è tra i protagonisti della grande prosa televisiva interpretando I giocatori, Tredici a tavola, La professione della signora Warren, prende parte ai celebri sceneggiati della Rai, da Delitto e castigo (1963), a Il gabbiano (1969) e Demetrio Pianelli (1963). Offre prove brillanti anche nello spettacolo leggero: nel 1961 affianca Bice Valori e Lina Volonghi nel varietà  di Antonello Falqui Eva ed io e nel 1977 partecipa a Bambole, non c’è una lira. Protagonista di Carosello, presta più volte il suo volto buffo e arguto per vari sketch pubblicitari, in particolare quelli delle caramelle. Nel 1972 partecipa anche alla trasmissione radiofonica Gran varietà , condotta da Raffaella Carrà , nel ruolo del Conversevole della Domenica, un oratore che si esprime in un linguaggio ricercato per un pubblico che lo comprende solo a tratti.
Nel 2000 rinnova il suo successo teatrale interpretando la malinconica pièce Le ultime lune di Furio Bordon (precedentemente affidato a Marcello Mastroianni, alla sua ultima apparizione teatrale), che porta in scena per dieci stagioni, seguito poi dall’impietoso Oldfiel in La compagnia degli uomini buoni di Bond con Ronconi, che gli vale il premio come miglior attore dell’anno nel 2011, quando aveva 91 anni. Nel 2016 l’ultimo spettacolo, Dipartita finale, accanto a Franco Branciaroli, Ugo Pagliai, Massimo Popolizio. Aveva 96 anni, e a chi gli chiedeva se non gli costasse fatica, rispondeva: ”Al contrario, la scena dà  forza”.

(da agenzie)

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LA PUBBLICITA’ DELLA CERES CHE PRENDE PER IL CULO SALVINI E IL SUO “AH, NON POSSO?”

Luglio 27th, 2020 Riccardo Fucile

DALL’INTERVENTO DEL LEGHISTA A DIMARTEDI SULLA MASCHERINA, I CREATIVI DELLA MARCA DI BIRRA HANNO COSTRUITO UNO SPOT SATIRICO GENIALE

Quell’intervento di Salvini a Dimartedì che ormai è entrato nella storia, quando ha chiesto se potesse o meno levare la mascherina per fare un selfie con una signora, è stato ripreso per uno spot di Ceres.
Se all’inizio del video possono esserci dubbi, mano a mano che passano i secondi diventa evidente: oltre al riferimento a quell’ormai famoso «Ah, non posso?» non mancano nemmeno le ciliege per riprendere la questione nata mentre Salvini mangiava le ciliegie durante un discorso di Zaia su alcuni neonati morti.
La pubblicità  Ceres su Salvini chiama in causa il leader leghista e le sue gaffe senza dubbio alcuno, come fa notare Bufale.net, considerato che già  la voce fuori campo parla con una cadenza e un’intonazione simile a quella di Matteo Salvini.
Il gioco di parole è sulle nuove qualità  di birra Ceres, che sono moltiplicate. C’è anche il richiamo alla battuta di Floris, ripresa proprio per come è stata detta durante la trasmissione di La 7. In basso a destra nel video compare anche la scritta in piccolo: «Voce imitata».
Se qualcuno dovesse avere dubbi e non cogliere ancora la citazione arriva anche l’elemento visivo in aiuto.
Durante tutto il dialogo fuori campo, infatti, si vede un braccio vestito con un’elegante giacca da uomo che prende le ciliegie da un cestino proprio, come Matteo Salvini ha fatto durante il discorso di Zaia.
In seguito al suo gesto si erano scatenate una serie di polemiche sulla sua sensibilità , con il leader del Carroccio che — come è solito fare — ha voluto strumentalizzare una semplice accusa di insensibilità  e di inadeguatezza di un gesto in un attacco a chi si fa le canne.
La pubblicità  della Ceres, ad ogni modo, evidenzia la capacità  di chi si occupa della comunicazione del marchio di birra nel creare spot creativi e assolutamente attuali sfruttando fenomeni del momento.

(da Giornalettismo)

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