ADDIO A FRANCA VALERI, ARTISTA SIMBOLO DI INTELLIGENZA E IRONIA
AVEVA APPENA COMPIUTO 100 ANNI… “LA COMICITA’ NON E’ UN DONO DI NATURA, E’ UN LAVORO DI CERVELLO”
È morta Franca Valeri, una delle più grandi attrici italiane di teatro e televisione. L’attrice è deceduta nella sua casa romana: aveva 100 anni. Lunedì 10 agosto, dalle 17, la camera ardente al Teatro Argentina di Roma. Mentre i funerali si svolgeranno in forma privata.
“La morte non ci deve impressionare. È una componente della vita, e se ne può sorridere, a costo di accentuarne le conseguenze, le paranoie e i riti. E poi io ho avuto sempre la fortuna d’avere il teatro che mi parlava in tasca, e quando ho perso per strada gli affetti, ho potuto far affidamento su nuovi giovani amici, e sui miei amati animali”.
È così che Franca Valeri s’esprimeva, un tempo, riservando ad alcuni il privilegio della confidenza, dell’astrazione, e di un certo quieto e surreale distacco. Associando il compensarsi umano dei cicli della vita a un’armonica staffetta di partner, di personaggi, di colleghi, di adorate creature domestiche.
Ora che non c’è più, abbiamo perso un’infinità di cose: la portavoce acuta di prototipi, l’osservatrice di fenomeni di costume, la ritrattista storica di generazioni, l’autrice che ha declinato sorti individuali in contesti politici, l’attrice anticonformista produttrice di risate dedicandosi solo all’opacità dei destini conformisti, la letterata con raffinata padronanza della lingua al servizio di spettacoli e libri di gran diffusione, la professionista il cui motto era “La comicità non è un dono di natura, è un lavoro del cervello”.
Abbiamo perso la sua voce, che s’era formata con Sergio Tofano e con Giorgio Strehler, voce che era più indipendentemente nata nella gavetta favolosa e libertaria del Teatro dei Gobbi, la pratica di cabaret intellettuale anche francese condivisa negli anni Cinquanta col futuro marito Vittorio Caprioli e con Alberto Bonucci poi sostituito da Luciano Salce, ai tempi del “Carnet de Notes 1”.
Una voce che radiofonicamente, e in seguito alla tv, avrebbe poi partorito le signorine della borghesia e della gente comune, piacendo a Missiroli, Patroni Griffi e a De Lullo che l’abbinò ai toni robusti di Paolo Stoppa in un indimenticabile “Gin Game”.
Ora ha preso il commiato da noi l’autrice che all’inizio era nata, diremmo, con gli stili suggeriti dalle tecniche di Irene Brin e Camilla Cederna, ma che presto avrebbe svelato somiglianze di forza parodistica affine (con eleganza tutta sua, ben inteso) ai profili di un Paolo Poli o di una Franca Rame, mentre dagli anni Novanta, a cominciare da Tosca e altre due in tandem con Adriana Asti, subentra un racconto di Franca Valeri più attento all’intimità dei soggetti, come dimostreranno poi i testi più maturi imperniati su una vecchia signora come Non tutto è risolto del 2011 e Il cambio dei cavalli del 2014, sempre concepiti per riservare un bel ruolo filiale a Urbano Barberini.
Verrebbe voglia di dire, a proposito della coscienza d’artista in età che in palcoscenico si misura con figure molto vissute, che uno dei confronti seriamente ispiratori di questa nostra amata autrice-interprete risale al suo calarsi, nel 2001, nei panni di un’anziana genitrice che prima della casa di riposo pensa a come ripartire i suoi oggetti non smarribili, in “Possesso” di Yehoshua. “I miei averi? Quadri, libri, una coperta, un tavolo Impero” confessò Franca, parlandomi di sè.
Ci ha lasciati un genio della dissertazione, dello humour di gran classe, dell’apologo, del cammeo metafisico, del sarcasmo platonico.
Si divertì da pazzi a fare la sorella Solange, accanto ad Anna Maria Guarnieri, e a Patrizia Zappa Mulas, ne Le serve di Genet diretto da Giuseppe Marini. “Io molti anni fa ho mangiato assieme a Genet e al suo fidanzato in un ristorante di Roma: era cordiale, polemico e ironico”.
Tantissimi hanno voluto conoscerla, nei suoi cent’anni: Luchino Visconti la sbirciava da dietro le quinte, e già ai tempi dei Gobbi quando era in scena a Parigi si trovava in platea Sartre, Piaf, de Beauvoir, Claudel.
Ha preso commiato da noi un talento assoluto dell’arte divagatoria, che andava a sei anni alla Scala con la madre: “Lei era attentissima, e a insegnarmi fin da piccola l’amore per la lirica fu un amico di famiglia che mi educò suonandomi le arie al pianoforte”.
La vocazione fruttò anche la responsabilità d’un concorso per giovani cantanti d’opera, il Premio Mattia Battistini, che Franca condivise dal 1980 al 1995 col secondo compagno (dopo il marito Vittorio Caprioli) della sua vita, il direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi.
“Quando coi Gobbi demmo vita a un inedito varietà da camera – le piaceva ricordare – s’è costituito un precedente: da lì ho ripreso la traccia per Carnet de Notes 2008 inserendo una tessitura di Verdi, Mozart, Rossini, Donizetti e Puccini”.
Il vuoto che ora s’è creato ci priva anche d’una protagonista di tanto cinema clamoroso, adorato dal pubblico italiano, e qui, citando un solo film dei suoi oltre 50, la pellicola che più resta impressa per l’apporto di cui lei è stata capace è sicuramente Il vedovo di Risi, con favolosa intesa tra Valeri e Alberto Sordi.
Non ammessa all’Accademia, valorizzata ma mai premiata dai produttori del grande schermo, lei è stata d’altronde un impeccabile mostro sacro del palcoscenico. “Il teatro è più forte dell’amore” amava sostenere.
Dovremmo anche dire che oggi non possiamo più contare su certa letteratura di Franca Valeri, sulle sue squisite pagine autobiografiche che ci regalò, per i tipi di Einaudi, in Bugiarda no, reticente del 2010, e nel libricino La stanza dei gatti del 2017, quest’ultimo con la meravigliosa quarta di copertina che recita “Ogni volta che mi illudo d’incontrare quel signore che ritengo sia il teatro, mi rendo conto di vivere la più bella illusione della mia vita”.
Ma come non avere anche nostalgia di quel volume intitolato Animali e altri attori. Storie di cani, gatti e altri personaggi? E come non collezionare, freschi d’uscita, l’attuale (inedito) La Ferrarina – Taverna sempre di Einaudi, e Tutte le commedie di Baldini+Castoldi – La nave di Teseo?
Leggiamola, questa drammaturga-scrittrice, la cui donna di servizio Renata fu, tanto tempo fa, la figura-tipo da cui nacque la Sora Cecioni, “Una che quando entrava in casa, per me entrava il teatro”. E quando diciamo ‘francamente’, d’ora in poi facciamo omaggio anche a Franca.
(da “La Repubblica”)
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