Ottobre 4th, 2016 Riccardo Fucile
SI POTREBBE ANCHE ABOLIRLE, COSI’ DA CAPOLINEA A CAPOLINEA I MEZZI PUBBLICI VIAGGEREBBERO COME SCHEGGE
Un problema tipico dei mezzi pubblici nelle grandi città è la “velocita di crociera”, ovvero a quanti km/h
è costretto a procedere un bus in mezzo al traffico metropolitano.
Tra ingorghi, auto parcheggiate in mezzo alla strada, mancanze di corsie preferenziali e vigili urbani in incroci a rischio, spesso si viaggia a passo d’uomo.
Molti comuni intervengono aumentando le corsie riservate e monitorando e perseguendo gli abusi di chi parcheggia a capocchia.
I Cinquestelle a Torino hanno trovato invece la soluzione: basta ridurre le fermate, la gente andrà a piedi, magari sotto la pioggia o in pieno solleone per qualche centinaia di metri e prima o poi troverà una fermata del bus, ma il mezzo pubblico andrà più veloce.
E’ questa la soluzione dell’assessorato alla Viabilità del Comune di Torino, guidato dall’ingegnera Maria Lapietra, come riporta La Stampa: “Abbiamo intenzione di rendere più efficienti e veloci le linee di tram e bus, abolendo delle fermate, per rendere più rapido il trasporto pubblico”.
Si partirà con la sperimentazione della linea 4, di cui si servono ogni giorno circa 100mila passeggeri.
L’obiettivo è tagliare le fermate che si trovano a 300 metri di distanza l’una dall’altra, quindi di fatto la distanza da una a quella successiva sarà di non meno di 600 metri.
Le fermate eliminate saranno «momentaneamente transennate, per capire se si fluidifica il servizio e se si aumenta la velocità », dice ancora Lapietra.
“L’obiettivo è velocizzare le corse, per agevolare i passeggeri e risparmiare un turno per gli autisti e utilizzare un mezzo in meno”.
Una scelta che, secondo l’assessora, risponde a un’esigenza di «razionalizzazione del servizio”.
In pratica per “agevolare i passeggeri” meglio farli andare a piedi.
Senza commento.
(da agenzie)
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Settembre 16th, 2016 Riccardo Fucile
IL COMUNE DI ZERFALIU NON PUO’ ASSUMERE E GLI AMMINISTRATORI TENGONO PULITE PIAZZE E STRADE
Un’impiegata comunale risponde al telefono: “Il sindaco? Stamattina non è in ufficio, sta pulendo le
piazze”.
Tutto vero: di fronte alla chiesa di questo piccolo paese della Sardegna c’è una squadra di operai non troppo specializzati ma molto volenterosi.
Il primo cittadino usa la scopa, l’assessore il compressore, il padre del vicesindaco pulisce le condotte fognarie, aiutato da un consigliere comunale e da un altro gruppetto di amici.
Si inizia presto perchè oggi in piazza c’è il mercatino e quando arrivano le massaie tutto deve essere già pulito.
A Zerfaliu il Comune non ha più un operaio: l’ultimo è andato in pensione sei mesi fa e le assunzioni sono bloccate. “C’è di peggio: contavamo di mettere in campo una squadra di lavoratori socialmente utili ma non possiamo fare nulla – protesta il sindaco Pinuccio Chelo – Siamo bloccati dalla burocrazia e da alcuni impiegati che non fanno il loro dovere e non ci consentono di avviare i progetti per il lavoro”.
Il centro di questo piccolo paese è ben tenuto e ordinato: i lavori di sistemazione di strade e piazze sono stati completati da poco. Ma la pulizia era carente.
Nei prossimi giorni ci sarà la festa in onore di Padre Pio e le piazze dovranno presentarsi al meglio.
“I nostri cittadini hanno diritto ad avere un paese pulito e decoroso – dice il sindaco – L’aspetto che ci fa più rabbia è che in Comune abbiamo in cassa circa 150 mila euro da destinare ai progetti di inserimento sociale: in un anno avremmo potuto far lavorare una cinquantina di disoccupati e assicurare decoro al centro abitato”.
Una dipendente in malattia ha bloccato i progetti e le assunzioni, il sindaco e gli assessori non ci possono far nulla.
Poi c’è il problema del patto di stabilità : un milione e mezzo di avanzo di amministrazione bloccato in banca e impossibile da spendere.
“Non avevamo altre possibilità – dice l’assessore Sandro Murtas – Rimboccarci le maniche, perchè la gente da noi si aspetta risposte concrete, non pasticci burocratici”. Le signore che vanno a fare la spesa approvano: “Bravo sindaco, tu sei davvero un sindaco operaio”.
Nicola Pinna
(da “La Stampa”)
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Giugno 1st, 2016 Riccardo Fucile
IN 25 ANNI UN RESIDENTE SU SETTE SE N’E’ ANDATO, VUOTA UNA CASA SU TRE, VI SONO DUE ANZIANI PER OGNI GIOVANE
Non solo Nord-Sud, c’è un altro divario che zavorra l’Italia. È quello tra centro e periferia.
Da un lato ci sono le aree metropolitane e i capoluoghi «a sviluppo elevato»: centri che hanno consolidato specificità imprenditoriali spesso trascinandosi dietro l’hinterland.
Dall’altra c’è la pletora dei piccoli comuni: paesini alpini che resistono alle asperità della montagna, mini-insediamenti abitativi abbarbicati sull’Appennino, municipi dimenticati da Dio e dagli uomini sparsi nelle campagne del Sud.
Di questi mini-Comuni, 2430 (il 30% del totale) rischiano di non sopravvivere a causa del lento (ma almeno finora inesorabile) spopolamento.
NOI E L’EUROPA
Nel Paese dei campanili l’85% dei Comuni (6875) ha meno di 10 mila abitanti. Di questi 5627 sono incasellati dalle statistiche sotto la voce «piccoli» perchè non raggiungono i 5 mila residenti. Di più: ben 3532 (vale a dire il 43,8% del totale) restano sotto i 2 mila.
Attenzione però, l’Italia non ha un numero di municipi superiore al resto d’Europa.
A fronte degli 8 mila Comuni italiani (circa uno ogni 7500 abitanti circa), in Germania ci sono 11.334 gemeinden (uno ogni 7213), nel Regno Unito 9434 wards (uno ogni 6618) in Francia 36.680 communes (uno ogni 1774) e in Spagna 8116 municipios (uno ogni 5687).
La media dell’Ue è di un ente ogni 4132 abitanti.
Il problema è un altro e si chiama crollo demografico. Speso conseguenza della mancanza di lavoro e servizi locali.
IL CALO DEMOGRAFICO
Un dossier di Legambiente (che sarà presentato oggi a Roma con l’Anci) fotografa il calo di popolazione e le caratteristiche di quello che viene definito il «disagio insediativo» dei piccoli Comuni.
Non è un pericolo marginale: nei 2430 Comuni a rischio sopravvivenza vivono quasi 3 milioni e mezzo di italiani, il 5,8% della popolazione.
Ma in 25 anni i Paesi sotto i 5 mila residenti hanno perso 675 mila abitanti.
Un calo del 6,3%, mentre nello stesso periodo la popolazione italiana cresceva del +7% con oltre 4 milioni di cittadini in più rispetto al 1991.
La differenza demografica netta è quindi del 13%. Significa che in un quarto di secolo una persona su sette se n’è andata dai piccoli Comuni. La densità è scesa a 36 persone per chilometro quadrato: 13 volte in meno rispetto agli insediamenti con oltre 5 mila abitanti. PAESI FANTASMA
Sempre di meno e sempre più vecchi. In quest’Italia in miniatura, dall’anima rurale, gli over 65 sono aumentati dell’83% a fronte degli under 14.
Dalla sostanziale parità si è passati a oltre due anziani per ogni giovanissimo. I piccoli comuni sono poco attraenti anche per la popolazione che arriva dall’estero.
Dato ribadito dal deficit di imprese straniere, il 25,6% in meno della media. Il pericolo è che i borghi siano destinati a diventare i paesi fantasma del terzo millennio.
Già oggi le abitazioni vuote sfiorano i 2 milioni (mentre sono 4 milioni e 345 mila quelle occupate): vale a dire una su tre. E finora nemmeno il turismo ha salvato il patrimonio dei mini-Comuni, dove la capacità ricettiva è cresciuta meno della metà di quella urbana.
LA CORSA ALLA FUSIONE
Il rilancio dei «piccoli» è al centro di “Voler bene all’Italia”, la festa dei borghi promossa da Legambiente dal 2 al 5 giugno.
Per la presidente Rossella Muroni «è indispensabile puntare sulla semplificazione amministrativa, mantenere presidi come scuole, servizi postali e ospedali e garantire risorse per la valorizzazione come prevede il ddl in discussione alla Camera».
Anche perchè «una politica che dimentica i piccoli comuni – avverte Massimo Castelli, coordinatore dell’Anci – non fa l’interesse del Paese».
L’altra faccia di questo quadro a tinte fosche è la corsa alle fusioni per razionalizzare spese e gestioni dei servizi. Il primo gennaio 2016 sono spariti 40 Comuni. E non è finita.
Il governo spinge sull’acceleratore e in manovra ha confermato il contributo straordinario pari al 40% dei trasferimenti erariali dell’anno 2010 per chi si fonde.
Altri sette progetti di accorpamento hanno già ottenuto il via libera dei cittadini tramite referendum.
È il paradosso del Paese dei mille campanili: per salvarli, tocca superarli.
Gabriele Martini
(da “La Stampa”)
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Gennaio 13th, 2016 Riccardo Fucile
L’EX GOVERNATORE DEL PIEMONTE: “NON ESISTONO PIU’ IDEOLOGIE, SALVINI NON MI PIACE, IL CENTRODESTRA NON HA UN LEADER”
E’ stato tra i fondatori di Forza Italia. Nel ’94 faceva parte di Publitalia nel gruppo guidato da
Marcello Dell’Utri. “Avevamo tanto entusiasmo. Però Berlusconi si è rivelato meno decisionista di Renzi”
La transumanza azzurro-berlusconiana è ormai un’Onda perenne, con la maiuscola, che bagna l’ampia spiaggia del Pdr, il Partito democratico renziano futuro Pdn, Partito della nazione.
L’ultimo nome che allunga l’elenco degli ex forzisti iscritti al renzismo è quello di Enzo Ghigo, governatore del Piemonte dal 1995 al 2005.
Dal centrodestra di B. al centrosinistra di Renzi.
Che differenza c’è? (Ghigo ride, apre la porta di casa e posa le buste della spesa). Battute a parte, c’è un dettaglio importante: il centrosinistra finalmente adesso ha un leader, mentre il centrodestra non ce l’ha più.
A Torino lei ha detto che voterà per Fassino, il sindaco uscente.
E mi stupisco di tutto questo clamore. Non sono più un esponente di partito, sono un semplice cittadino.
Però qualche consenso ce l’ha ancora.
Evidentemente sì. Moltissimi amici miei hanno votato Renzi già alle Europee.
Fassino ha telefonato?
Sì e mi ha ringraziato.
Airaudo, il candidato di Sinistra Italiana, ha ironizzato e infierito.
Voto Fassino proprio perchè gli ex di Rifondazione non sono più con lui.
Anche Fassino era comunista, un tempo.
Se lo vedessi ancora così non lo voterei. Oggi non ci sono più le ideologie.
Il Partito della Nazione contro i grillini. È il nuovo bipolarismo.
A Torino temo una vittoria del Movimento 5 Stelle. Sono perplesso sulla loro cultura amministrativa. Fassino invece è stato un bravo sindaco
E il centrodestra?
Non ha nemmeno il candidato e dubito che possa arrivare al ballottaggio.
In più c’è la deriva populista.
Salvini non mi piace.
Berlusconi è finito?
Non rinnego il mio passato, anzi. A lui sono grato ma il processo ineluttabile del tempo colpisce tutti. Lo dico con grande affetto.
Sono tantissime le prime file berlusconiane passate con Renzi. Non è solo semplice trasformismo. È un processo politico.
Non dimentichiamo che lo stesso Berlusconi fece il patto del Nazareno.
Detto questo.
Un certo bipolarismo sta per finire e Renzi è un leader nuovo.
La mutazione genetica del Pd.
Se non ci fosse stata l’innovazione berlusconiana oggi non avremmo Renzi.
Renzi è figlio della vostra rivoluzione liberale.
È figlio di quel cambiamento senza dubbio, ne ha colto soprattutto l’elemento leaderistico.
Lei è stato tra i fondatori di Forza Italia. Nel ’94 faceva parte di Publitalia, il primo nucleo forzista guidato da Marcello Dell’Utri.
Avevamo tanto entusiasmo. Però Berlusconi si è rivelato meno decisionista di Renzi. Aspetti, me lo faccia dire in un altro modo.
Come?
Renzi non ha avuto gli avversari di Berlusconi.
Nè girotondi, nè piazze.
Esatto, la sostanza è questa.
Dell’Utri cosa le direbbe oggi?
Ha altri pensieri e me ne dispiace. Ma sono certo che il dottor Dell’Utri mi direbbe “bravo”.
Lei sconfisse Livia Turco alle Regionali nel 2000, avrebbe mai immaginato un giorno di appoggiare Piero Fassino?
Mai. Ma lei avrebbe mai immaginato uno come Renzi che sparigliava tutto?
Ghigo fassiniano. Farà effetto dalle sue parti.
Però mi faccia dire che qui ho inventato la politica della “concordia istituzionale”. A Torino, i soldi per le Olimpiadi li ho portati io con il governo Berlusconi. E sono stato il primo a credere nello Slow Food di Carlin Petrini.
Farà comizi?
Mi limiterò a qualche incontro. Aspetto di vedere le liste per muovermi.
Fabrizio d’Esposito
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Gennaio 13th, 2016 Riccardo Fucile
“SERVE ESPERIENZA E LUI E’ STATO UN BUON SINDACO”
Il partito della nazione entra anche nella partita delle elezioni amministrative a Torino. Una parte del
centrodestra è pronta a votare Pd e Piero Fassino, che cercherà la riconferma al suo ruolo da sindaco.
L’ex presidente della Regione Piemonte Enzo Ghigo, ex manager di Publitalia portato in Forza Italia da Marcello Dell’Utri e ora uscito dalla politica, ha fatto sapere che al primo turno delle elezioni voterà convinto per l’attuale primo cittadino.
Lo ha detto senza aspettare il lancio di un candidato delle forze del centro-destra e senza vedere chi andrà al ballottaggio.
“È una valutazione che ho fatto stando al di fuori della politica — spiega a ilfattoquotidiano.it l’ex governatore che ha lasciato la politica tre anni fa rifiutando la candidatura al Senato -. Non faccio più politica attiva, ma continuo a vivere in questa città e ritengo che Fassino sia il miglior candidato”.
Un altro arrivo dal centrodestra potrebbe essere quello di Silvio Magliano, consigliere comunale di Area popolare e vicinissimo a Comunione e Liberazione che potrebbe entrare nei “Moderati”, stampella dei dem.
Al momento resta a guardare invece il centrista ed ex vicepresidente del Csm Michele Vietti, in attesa di capire quali posizioni prenderà Fassino.
Ghigo vede il “suo” centrodestra in crisi.
Mentre il Partito democratico, il Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana hanno già annunciato i loro candidati, a cui bisogna aggiungere anche Marco Rizzo per il Partito comunista, dall’altra parte Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia devono ancora decidere cosa fare nel grande risiko del voto delle grandi città : Roma, Milano, Napoli, Bologna e — appunto — Torino.
Quindi, di fronte all’assenza di un candidato forte, alcuni stanno già guardando le alternative e tra questi c’è chi, in un possibile ballottaggio tra Fassino e la candidata grillina Chiara Appendino, sceglierebbe la seconda, mentre Ghigo preferisce l’ex segretario dei Democratici di sinistra.
“Lo conosco da anni e si è comportato bene sia come sindaco, sia come presidente della Città metropolitana”.
Un compito — quest’ultimo — da non sottovalutare, secondo l’ex berlusconiano: “Non dimentichiamoci che è un ruolo che richiede capacità ed esperienza.
I Cinque stelle non hanno esperienze e anzi certe amministrazioni grilline stanno per saltare in aria, per questo non voglio che vincano loro”.
A Torino si ricreerebbe un partito della nazione, quindi?
“Non sono mai stato contrario a questi accordi, neanche quando Forza Italia aveva deciso di appoggiare il Pd di Matteo Renzi sull’ambito delle riforme costituzionali. Ho visto bene anche l’appoggio di Ncd al governo di Enrico Letta prima e a Renzi poi. Non faticherei a riconoscermi in queste alleanze”.
Amareggiato il coordinatore regionale di Forza Italia Gilberto Pichetto Fratin: “Sono rimasto un po’ stupito perchè Ghigo è stato dieci anni presidente della Regione e poi parlamentare. Da lui mi aspettavo un certo senso di appartenenza”.
Invece non è così. “Sta accadendo ciò che è successo a Roma con il governo Renzi, sostenuto da persone elette nella fazione opposta”.
Il riferimento è ai transfughi di Forza Italia, come Denis Verdini e altri.
“Ma qui ci troviamo di fronte a una persona sola”, conclude Pichetto Fratin.
Simile l’opinione di Giorgio Airaudo, candidato di Sinistra Italiana: “A Torino si ripropone il modello nazionale di Matteo Renzi, che si allarga a ex di Forza Italia e a uomini di Cl per paura di perdere. È un biscotto ai danni di tutti quelli che chiedono un cambiamento”.
Per l’ex segretario Fiom il ritardo della scelta dei candidati del centrodestra è sospetto: “Penso che sia una crisi quasi voluta: usare le amministrative per essere utili a Renzi. Così si producono tanti ‘nazareni’ a livello locale”.
Andrea Giambartolomei
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 4th, 2015 Riccardo Fucile
“LE PICCOLE COMUNITA’ VANNO AVANTI GRAZIE A QUESTO SPIRITO, TROPPI TAGLI DEL GOVERNO”
Il Comune di Casteldelci, come racconta Il Fatto Quotidiano, borgo medievale situato tra Emilia Romagna, Marche e Toscana, quest’anno non avrebbe avuto i fondi per organizzare iniziative o eventi natalizi, così, l’amministrazione ha deciso di rimediare, devolvendo i propri guadagni a favore della collettività .
“Non parliamo di cifre altissime, io come sindaco percepisco 650 euro — racconta il primo cittadino del Comune in provincia di Rimini, Luigi Cappella (Pd), eletto l’anno scorso con una lista civica di centrosinistra — però ci permettono di fare tante piccole cose”. Pagare la benzina ai volontari cittadini, ad esempio, o portare a termine qualche opera di manutenzione. Poi c’è il Natale.
Il Comune quest’anno non avrebbe avuto i fondi per organizzare iniziative o eventi, così, attingendo direttamente dal proprio stipendio, l’amministrazione ha deciso di rimediare, invitando Teo Ciavarella, pianista che suonò con Lucio Dalla, Freak Antoni, ma anche con Pupi Avati, Renzo Arbore e Vinicio Capossela, per un concerto a ingresso libero.
“Fare il sindaco in un momento come questo non è facile — racconta Cappella — io ad esempio ho ereditato, quando sono stato eletto, un bilancio comunale con un disavanzo da 100mila euro, il che mi rende impossibile spendere risorse per la cultura, o per altre iniziative utili. Però sono un medico in pensione, e visto che posso ho scelto di usare il mio stipendio da primo cittadino per permettere alla città di togliersi qualche sfizio, o di fare qualche lavoro utile. Questo non vuol dire che tutti i sindaci debbano fare altrettanto, guidare una città è un lavoro a tempo pieno e se gli emolumenti legati alla carica sono l’unica fonte di reddito è giusto tenerli. Però per me che ho una pensione è una soddisfazione devolverli”.
Casteldelci non è l’unico Comune in Italia ad aver visto la propria giunta rinunciare agli stipendi per sopperire alla mancanza di fondi nelle casse pubbliche.
Eventi simili so non riproposti anche a Lagnasco, in provincia di Cuneo, a Gonars, cittadina friulana da 4.800 abitanti, e a Pantigliate, nel milanese
“Le piccole comunità , oggi come oggi, vanno avanti soprattutto grazie a questo spirito — spiega Cappella — anche perchè tra i tagli imposti dal governo agli enti locali e la burocrazia, a fronte di 50 problemi se ne possono risolvere al massimo 2. E’ dura. Noi sindaci, specie dei piccoli comuni, ci sentiamo abbandonati dallo Stato”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 29th, 2015 Riccardo Fucile
IL SIMBOLO DELLA CITTA’ ILLUMINATO IN MODO PERMANENTE CON SPECIALI FASCI DI LUCE
Lo skyline di Bologna cambia definitivamente: le Due Torri sono ufficialmente (e finalmente) illuminate in maniera permanente e saranno visibili da tutti gli angoli della città , a 360 gradi, grazie a speciali fasci di luce.
L’accensione è andata in scena in una via Rizzoli stracolma di curiosi, che hanno reso l’evento ancora più spettacolare. Erano presenti il sindaco Virginio Merola, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti (continua il siparietto tra i due).
LA DONAZIONE
L’Ascom di Bologna ha finanziato il progetto di illuminazione con 135.000 euro e celebra così il suo compleanno (70 anni) approfittandone per lanciare eventi e iniziative che andranno avanti per un anno intero.
Nel presentare l’iniziativa, infatti, il presidente e il direttore di Ascom, Enrico Postacchini e Giancarlo Tonelli, hanno annunciato e anticipato alcune iniziative per il 2016, come per esempio, premi alle imprese associate che hanno compiuto 70 anni e a quelle, giovani o meno giovani, che hanno saputo innovare.
LA FESTA
Per tutta la sera in Strada Maggiore una festa di strada, in pieno centro. L’Ascom ha voluto fare anche questo regalo a turisti e bolognesi: la visita a palazzi, musei e chiese aperti eccezionalmente lungo la via. Aperti, oltre alla Torre degli Asinelli, la chiesa dei santi Bartolomeo e Gaetano, la sede di Ascom (Palazzo Segni Masetti), palazzo Sampieri Talon, il Museo della musica, la basilica di Santa Maria dei Servi, il Museo Davia Bargellini e anche la sede dei carabinieri di piazzetta dei Servi.
(da “il Corriere della Sera”)
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Aprile 20th, 2015 Riccardo Fucile
SONDAGGIO IPR: CRESCE IL CONSENSO MEDIO DEI SINDACI
A livello generale emerge che dopo anni di flessione, torna a crescere il consenso medio dei sindaci
(53,4%).
Nel dettaglio colpisce particolarmente vedere in fondo alla classifica sul gradimento le prime città italiane, Bologna, Napoli, Milano e Roma.
È una debacle per gli amministratori dei principali Comuni: ad eccezione di Dario Nardella, sindaco di Firenze che addirittura vince la classifica del sondaggio Ipr Marketing per il Sole 24 Ore, e di Piero Fassino, che guadagna consensi e resta nella top ten, per Virginio Merola, Luigi De Magistris, Giuliano Pisapia e Ignazio Marino sono dolori.
Il Sole 24 Ore segnala come rilevante quel punto in più di crescita di consenso medio per i primi cittadini d’Italia.
Una conquista piccola, ma non trascurabile, perchè avviene in tempo di crisi economica e mareggiate di antipolitica, perchè è tempo di tagli e tasse.
A crescere sono i sindaci dei capoluoghi di Provincia, le città medie, spesso del nord, ma anche del sud.
L’inversione di rotta avviene anche perchè unidici mesi fa hanno cambiato giunte e consigli oltre 4 mila Comuni, con un’informata di giovani amministratori, dal punto di vista anagrafico o politico, che ancora godono della loro luna di miele con gli elettori. “La nuova graduatoria – conferma Antonio Noto di Ipr Marketing – è figlia del sentimento politico che ha guidato gli italiani nell’ultimo anno, dominato dalla richiesta di cambiamento”.
Un volto nuovo guida la classifica.
È Dario Nardella, successore di Matteo Renzi a Palazzo Vecchio: il sindaco di Firenze ottiene il 65% dei consensi, quasi 6 punti in più rispetto all’elezione.
Appena più sotto Antonio Decaro, primo cittadino di Bari, che ha tuttavia visto già erodere parte del gradimento, cedendo quasi un punto e mezzo rispetto all’elezione al 64%.
Al terzo gradino del podio l’ex renziano di ferro Giorgio Gori, che in undici mesi da sindaco di Bergamo ha visto il suo gradimento crescere di quasi 10 punti al 63%.
Da sottolineare anche la quarta posizione, di Giorgio Falcomatà , sindaco di Reggio Calabria, che ottiene il 62%.
Nella Top Ten c’è anche Piero Fassino, primo cittadino torinese, eletto nel 2011, ma forte di un gradimento in crescita, che supera il 60%.
Per gli amministratori delle altre grandi città , mala tempora currunt.
Leoluca Orlando, primo cittadino di Palermo, è al 43° posto: se il consenso al momento della sua elezione, nel 2012, era pari al 72,4%, nell’ultima rilevazione di Ipr Marketing il dato è 17 punti inferiore, al 55%.
A Napoli Luigi De Magistris registra un gradimento del 52,5% e si piazza al posto numero 58, con un consenso in calo di quasi 13 punti rispetto al momento dell’elezione nel 2011.
Stessa posizione per Marco Doria, amministratore di Genova, che cede 7 punti al 52,5%.
Bisogna scendere fino alla posizione 67 per trovare Giuliano Pisapia, sindaco della Milano dell’Expo, che dal momento della sua elezione ha visto erodersi il proprio consenso di oltre 4 punti al 51%.
Meno di un romano su due, per l’esattezza il 49,5% esprime gradimento invece per Ignazio Marino, addirittura all’82° posto, ben 14 punti e mezzo in meno rispetto al consenso registrato nel giorno della sua elezione.
Infine, al quartultimo posto, posizione numero 98, si trova Virginio Merola, sindaco di Bologna, ex fiore all’occhiello dell’amministrazione di sinistra, con sei punti di consenso persi e un gradimento fermo al 44%.
Da evidenziare infine la performance dei primi cittadini a 5 Stelle.
Sono al 43° posto sia Federico Pizzarotti, sindaco di Parma (-5 punti dall’elezione al 55%), sia Federico Piccitto, primo cittadino di Ragusa (-14,4 punti al 55%), mentre il livornese Filippo Nogarin è al 76° posto, con 3 punti in meno al 50%.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 14th, 2014 Riccardo Fucile
I SINDACI DOVRANNO RECUPERARE 624 MILIONI… SULLA CRISI DEL MATTONE PESA ANCHE LA STRETTA FISCALE
Almeno due proprietari di casa su tre non si facciano illusioni, nonostante l’emendamento alla legge di stabilità «blocca aumenti» il prelievo sul mattone è destinato ad aumentare.
Il perchè è presto detto.
Circa due terzi dei Comuni, che fino ad oggi si sono tenuti al di sotto delle aliquote massime ora bloccate per tutto il prossimo anno, dovranno probabilmente spremere di più i proprietari.
Questo per compensare i 624 milioni che lo Stato nel 2014 ha messo di tasca propria, ma che non metterà più ad integrare il gettito delle tasse sugli immobili.
Così Milano perderà oltre 89 milioni, Napoli 37, Torino 36,7, Genova 27, Roma 22,6 e così via.
«Tutti soldi che, sommati agli altri tagli ai trasferimenti verso gli enti locali, finiranno per inasprire ancora la tassazione sulla casa», prevede il Presidente di Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani.
Un’escalation che ha trasformato in un bel ricordo persino la «tassa più odiata dagli italiani», la vecchia Ici, che nel 2011 valeva 9 miliardi di euro, lievitati quest’anno a circa 25 miliardi con Tasi e Imu.
Tre volte tanto, calcola l’Ance, l’associazione dei costruttori.
E paradossalmente sotto torchio è finito chi possiede case di modesto valore, che prima pagava poco o non pagava affatto, grazie alla detrazione fissa di 200 euro, andata a farsi benedire con la nuova imposta.
Salvo qualche sconticino fiscale, introdotto da un terzo dei sindaci, ma a fronte di un aumento dello 0,8 per mille dell’aliquota Tasi.
E sempre sul mattone ha finito per pesare la tassa sui rifiuti che, secondo i dati della Uil politiche territoriali, dal 2011 è passata da 6,8 a 7,5 miliardi.
Perchè ora la tariffa deve coprire per intero il costo dello smaltimento rifiuti, recita la legge che ha ribattezzato Tari l’imposta sull’immondizia. Magari quella che l’inchiesta «mafia Capitale» sta tirando via da sotto il tappeto dell’Ama, l’azienda municipale di pulizia, tanto per fare un esempio di quali costi siano stati finanziati con gli aumenti .
La spremitura fiscale ha avuto ricadute anche sul mercato immobiliare, che in questi 4 anni ha visto scendere del 15% i prezzi, secondo la Cgia di Mestre.
Se in media una casa di tipo civile accatastata A2 valeva 200mila euro, ora si acquista per 170mila.
Peccato però che, anche per colpa delle super-imposte, 2,3 milioni di italiani non ce la facciano proprio a permetterselo un tetto, come fotografa un recente studio di McKinsey.
E neanche a dire che l’aumento della tassazione abbia fatto lievitare l’offerta di case in locazione. «Questo — spiega Sforza Foglian – perchè nonostante il maggior peso fiscale, i proprietari temono che al calo dei prezzi si sommi il deprezzamento dell’immobile occupato e sempre a rischio di morosità . Così molti stringono i denti e preferiscono mantenere libera la proprietà ».
Intanto tra soli due giorni è il tax day.
Tra imposte sulla casa, Irpef e tasse varie gli italiani verseranno la bellezza di 44 miliardi.
Quasi 24 milioni di proprietari saranno chiamati alla cassa per saldare Tasi e Imu.
Un conto che sulla prima casa sarà più salato per una famiglia su due, informa la Uil. A Torino e Roma il maggior salasso, rispettivamente con 403 e 391 euro.
Con il paradosso che se per 6 famiglie su 10 la Tasi sulle abitazioni a bassa rendita costerà più dell’Imu, per le abitazioni di maggior pregio lo stesso numero di famiglie finirà invece per pagare meno.
Incongruenze di una tassa regressiva che il governo voleva correggere con la nuova local tax. Rinviata invece al 2016 o a chissà quando.
Paolo Russo
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