Agosto 1st, 2016 Riccardo Fucile
ALL’ITALIA SERVE UN PROGETTO LIBERAL-POPOLARE CREDIBILE, UNA NUOVA E FERVENTE SFIDA, NON CHIACCHIERE E DISTINTIVO
Quelli che non hanno (proprio) più, nè “arte”, nè “parte”, salvo la spasmodica voglia di provare a
conservarsi qualche poltroncina comoda “ad ogni costo”…
Hanno rinnegato tutti i valori nei quali l’elettorato si immedesimava e grazie ai quali le nuove generazioni avevano immaginato di costruire la destra del futuro (quella delle libertà , del liberismo “solidale” e dell’Europa dei popoli, tanto per intenderci).
Hanno piegato le visioni ardite alle logiche della “conservazione”.
Hanno imboccato la strada della deriva greve e retriva, dimenticandosi (totalmente) che sono cresciuti all’ombra di uomini (e mi riferisco ad Almirante, Rauti, Fini e Tatarella) che, nel bene e nel male, erano avanti “anni luce”…
Oramai non sono più “nè carne, nè pesce”.
Rinnegano (sostanzialmente) finanche la legalità preferendo trincerarsi dietro le seducenti ali di un drammatico “legalese”. Immaginando che gli avrebbe portato in dote un 7, 8% di voti in più (oltre ai soldi della relativa Fondazione: il vero fine ultimo della “grande azione politica”), hanno usato tutti i mezzi per impossessarsi del simbolo di Alleanza Nazionale. Arroganti e presuntuosi. Fanno solo tristezza!
Gli Italiani non hanno bisogno di una spilletta da applicare sulla giacca e lo stesso Paese non ha bisogno di sedicenti camerati travestiti coi colori “alla moda”…
Dopo le ultime politiche furono pubblicati diversi studi secondo i quali, lo spazio, a destra, ci sarebbe stato a condizione che si fosse imboccata la “strada lepenista”… Personalmente mi faceva letteralmente “senso” un’idea del genere ed i tristi fatti verificatisi negli anni successivi (la sempre più consistenza perdita di consenso elettorale, insomma) hanno dimostrato che facevo bene a provare quella ritrosia (ma chiamarlo “schifo” sarebbe più corretto) concettuale e valoriale…
E’ vero che c’è tanta gente che non va più a votare, ma non saranno gli hashtag a convincerli. Studiate. Leggete, Appassionatevi veramente.
Tirate fuori gli attirbuti se li avete davvero…
Immagino che posssa essere davvero triste risvegliarsi un giorno e rendersi conto di essere stati soltanto “chiacchiee e distintivo”… Problemi loro, comunque…
Al Paese serve un progetto liberal-popolare netto e preciso. Una nuova e fervente sfida. Qualcosa di cui i “cognati d’Italia” non saranno mai all’altezza.
Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale
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Luglio 24th, 2016 Riccardo Fucile
CHI FA POLITICA DEVE ESSERE AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO… LA LEZIONE DI PAOLO BORSELLINO
A Napoli, in Campania, se la destra vorrà davvero provare a rappresentare nuovamente “qualcosa di serio e di credibile”, dovrà avere il coraggio di prendere posizione (anche) sulla questione morale.
Il coraggio di dire “Sì al garantismo” (che è un principio sacrosanto) ma solo nelle aule di giustizia…
In questa terra, per svolgere (in modo serio e credibile) una pubblica azione, devi essere (obbligatoriamente) al di sopra di ogni sospetto. Non puoi mediare. Non puoi cedere al compromesso di principio.
Della “moglie di Cesare non si deve nemmeno ipotizzare che possa rubare”…
È un antichissimo principio: la destra, i suoi uomini, e le sue donne, ripartano da quello.
Non sei più al di sopra di ogni sospetto? Ok! Ritirati a vita privata: quando (e se avrai chiarito) ne riparleremo…
Paolo Borsellino era un uomo di destra: quella seria, però.
Un uomo il cui ricordo e’ stato variamente strumentalizzato… È tempo di “riprendercelo”…
Come è tempo di riprenderci quella bandiera della legalità che è stata la stella polare di una destra che immaginava di governare l’Italia facendola diventare grande…
Salvatore Castello
Right BLU – la Destra Liberale
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Luglio 8th, 2016 Riccardo Fucile
PIPPI MELLONE: “L’ATTENZIONE PER GLI ULTIMI E’ LA NOSTRA BUSSOLA, NELLE CAMPAGNE ADESSO CI SONO CONTAINER CON L’ARIA CONDIZIONATA. LE SPESE? AL COMUNE HO TOLTO ANCHE IL TELEVISORE”
«Il povero e il diseredato non hanno colore nè nazionalità . L’attenzione per gli ultimi è la nostra
bussola»: Pippi Mellone, giovane avvocato, classe 1984, neosindaco di Nardò in provincia di Lecce, non ha fatto in tempo ad indossare la fascia tricolore che si è cimentato in una battaglia per «l’umanesimo del lavoro».
«L’amministrazione – spiega al Corriere – ha ottenuto che nelle campagne neretine fossero installati container con aria condizionata, dove far riposare di notte i lavoratori stranieri impegnati nel raccolto».
A questo risultato si è giunti grazie alla concertazione con la Coldiretti: gli imprenditori si accolleranno tutte le spese, circa cinquanta mila euro.
«Un segnale di civiltà », commenta il primo cittadino.. «Gli imprenditori del settore agricolo locale – racconta – si sono ritrovati sotto processo per schiavismo. E noi abbiamo fatto la battaglia per la costituzione del Comune come parte civile in Tribunale, mentre la precedente amministrazione di centrosinistra non scelse di difendere l’immagine della città …».
Nell’operato di Mellone c’è un filo rosso, quello del socialismo antimaterialista che alimentava le elaborazioni degli eretici del Msi, fino alla destra sociale teorizzata da Giano Accame: «Ho “scavalcato” la Cgil sui migranti? Succederà spesso. C’è una certa sinistra parolaia, che si dimentica di difendere i non garantiti per schierarsi al fianco del capitale e delle banche», chiosa il sindaco, ritornato quattro volte in sette giorni nel più grande campo di braccianti, per alternarsi con la Caritas nel portare rifornimenti di acqua.
Il progetto politico per Nardò di Mellone è nato con una lista civica, “Andare oltre”, ha sbaragliato i rivali candidati con il Pd e con i fittiani, e ora punta a superare le vecchie categorie novecentesche: «Destra e sinistra non sono sufficienti a inquadrare i bisogni dei cittadini. Ho schierato candidati consiglieri di ogni orientamento politico, determinati a voltare pagina dopo il malgoverno del passato».
Nel pantheon di Mellone, cresciuto nella scuola missina di Graziano De Tullie, «c’è Berto Ricci e Che Guevara, Ezra Pound e Paolo Borsellino, ma anche l’attenzione per l’ecologia con Fare Verde e l’elaborazione dei Campi Hobbit. E la passione per la musica: nella mia stanza a risuonano le note di Rino Gaetano…»
Tra le priorità , dopo il ratificato taglio del 20% dello stipendio, c’è la campagna contro i privilegi della casta e «i malvezzi partitocratici delle precedenti giunte».
Si concretizza la lezione di Marco Pannella e Giorgio Almirante contro i privilegi della politica: «Ho messo in vendita l’auto blu in dotazione al sindaco. Vado alle riunioni in Regione o a Lecce con la mia auto, una Mini-Cooper. A mie spese».
Poi ha rottamato la televisione nel palazzo comunale: «Il canone Rai costava tanto. Tagliato. Come gli abbonamenti ai quotidiani cartacei: li ho convertiti in più economici contratti digitali».
Non ci sono più nemmeno i telefonini per gli amministratori («avevamo un sindaco che spendeva 4600 euro di bolletta l’anno per l’utenza in sua dotazione»).
La lotta agli sprechi di risorse pubbliche è solo all’inizio. «Questi denari – puntualizza Mellone – li investiremo nei capitolati dei servizi sociali, per dare ristoro alle famiglie in difficoltà ».
Il chiodo fisso: le periferie. «Il territorio va ascoltato ogni giorno. Andando nei quartieri periferici e rendendo la casa comunale una campana di vetro. La mia segreteria – conclude Mellone – è aperta tutti i giorni».
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 16th, 2016 Riccardo Fucile
IL FENOMENO PIPPI MELLONE, AVVOCATO 31ENNE, DAL 5% AL BALLOTTAGGIO, CINQUE ANNI DI OPPOSIZIONE VERA, CONTESTANDO SPRECHI E COSTI… HA DENUNCIATO GLI INTERESSI DI UNA CLASSE POLITICA TRASVERSALE IN NOME DI UNA DESTRA SOCIALE E POPOLARE… ORA L’ULTIMA SFIDA PER DIVENTARE SINDACO: TUTTI UNITI CONTRO DI LUI, COMPRESA LA VERGOGNA DEI COGNATI D’ITALIA… ATTESA PER IL COMIZIO FINALE: LUI SCEGLIE LA PIAZZA PIU’ GRANDE, IL PD QUELLA PICCOLA
Il possibile tsunami è localizzato a Nardò, 32.000 abitanti in provincia di Lecce, secondo comune del Salento, dove domenica si vota per il ballottaggio: gli elettori dovranno scegliere tra il sindaco uscente Marcello Risi (Pd e liste di centrosinistra collegate) che al primo turno ha ottenuto il 40,29% e la sorpresa Pippi Melloni (candidato di più liste civiche, in primis “Andare Oltre”, di chiara origine di destra sociale) che parte dal 30,09%.
Un primo uragano in verità c’è già stato: Pippi è arrivato al ballottaggio travolgendo il candidato Antonio Vaglio (portato dai fittiani e da Fratelli d’Italia) fermo al 22,33% e Massimo De Marco (M5S) che ha raccolto il 7,27%.
Una prima annotazione rivelatrice: Risi (Pd) ha raccolto il 2% in meno della sua coalizione, Vaglio (fittiano e Fdi) il 4% in meno dei partiti che lo sostenevano, Mellone il 4% in più.
Giusto per la cronaca Fdi ha preso solo il 2,12%, contribuendo ben poco al 22,33% del fittiano Vaglio.
Ma al ballottaggio che sta accadendo?
La logica vorrebbe che i fittiani e Fdi appoggiassero il candidato di destra contro quello di sinistra… E invece no.
Per salvare la faccia ufficialmente “lasciano liberi gli elettori” di votare per chi gli pare.
Ma come? Per un candidato del Pd?
Forse Cameron direbbe di votare per i laburisti?
O la Meloni per Giachetti e Fassina?
Eppure a Nardò anche questo accade, perchè qua vige la regola del consociativismo, della torta da spartirsi, degli interessi da tutelare.
E allora ecco il passaparola: “non votate Pippi, questo vuole ripristinare regole e legalità , è un pericolo”.
Ma chi è Pippi Mellone? Potrebbe essere l’emblema della “destra che non c’è” in Italia.
Avvocato, 31 anni, si forma in “Azione Giovani”, cinque anni fa raccoglie da solo con la sua lista civica il 5%, entra in Comune e li manda in tilt: attiva la regola di accesso agli atti, spulcia pratica per pratica, spesa per spesa, persino il costo dei lumini del cimitero e mette tutti in mora.
Battaglia dopo battaglia, diventa il difensore dei cittadini defraudati e tartassati ( qua tutte le tasse comunali sono al massimo consentito e i servizi un disastro) e attorno a lui si forma un gruppo di decine di giovani.
Movimentista, attento ai diritti dei più deboli e alla tutela ambientale, raccoglie simpatie anche a sinistra, ingaggia lotte a tutela dei lavoratori e contro il degrado delle periferie, consuma scarpe sui marciapiedi per ascoltare e avanzare proposte.
Un giovane coraggioso contro la casta, la malavita e la rassegnazione del Sud.
A furor di popolo si presenta candidato sindaco con otto liste civiche di appoggio, alla fine anche Forza Italia locale converge su di lui.
E arriva a sfondare al primo turno il 30%.
Ora la Casta e i poteri forti locali tremano, decenni di “affari” sono in pericolo: ed ecco che destra e sinistra si alleano sottobanco per evitare lo tsunami che spazzerebbe via la vecchia e compromessa classe dirigente.
I ragazzi di Mellone stamane hanno presidiato poste e banche di Nardò per la “Giornata di mobilitazione contro il Vampiro di Palazzo. Con lui Imu, Tasi, Irpef e tassa sulla spazzatura al massimo consentito dalla Legge”.
E ora Pippi lancia l’ultima sfida: stasera chiude la campagna elettorale in Piazza Salandra, la più grande di Nardò, il suo avversario Risi sceglie la piccola Piazza delle Erbe, la paura serpeggia tra i compagni di merenda.
Se sommassimo le percentuali dei due schieramenti si parte con un 62% di Pd-fittiani-Fdi contro il 30% di Mellone, 32 punti di distacco, ma l’aria che si respira è diversa.
Lo slogan di Pippi è “la rivoluzione sta arrivando”: spingiamolo tutti verso l’impossibile.
La “destra che non c’è” in ogni caso per una volta ha dimostrato di esserci.
Forza Pippi.
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Maggio 4th, 2016 Riccardo Fucile
UN DECLINO INARRESTABILE DELLA “DESTRA CAPITALE”: 24,07% DI AN NEL 1997, 21,04% NEL 2001, 19,46% NEL 2006, FINO AL 19,21% DEL PDL ALLE ULTIME COMUNALI
I dati sono già nel titolo ed esprimono in tutta evidenza il declino inarrestabile della destra romana, divisa da decenni in correnti, spifferi, ducetti di periferia, sette esotiche più che esoteriche.
Tramontati i grandi riferimenti “ideologici”, messi in soffitta i set di sopravvivenza, archiviati i tanti giovani martiri, azzerate passioni e weltanschauung, siamo arrivati alla generazione dei talent senza avere talenti.
L’unico “talento” di riferimento è quello relativo alla “monetizzazione” delle cariche, possibilmente estesa a parenti, sorelle e cognati.
Si è partiti dalle piazze per arrivare a “Piazza Pulita”, dalla occupazione sociale delle case si è giunti a occupare stabilmente solo i talk televisivi dove possono trovare seguito persino asini, ruttologi e mascotte ritoccate nelle forme perchè per esserlo nei contenuti bisognerebbe almeno averli.
Dalla “presenza militante” al “presenzialismo”, ecco la sintesi rivoluzionaria della “destra de noiatri”.
Se si vince si sistema qualche centinaia di amici nelle municipalizzate, se si perde qualche incarico si rimedia sempre, grazie alla tribù di appartenenza.
Altro che “non rinnegare e non restaurare”, qua si sono venduti pure i mobili, non serve neanche lo stucco: non a caso l’unico argomento che suscita ancora grande passione è il tesoretto di An.
Ogni tanto qualcuno rispolvera vecchie parole d’ordine, un salto in cantina e si sistema nel salotto buono la falsa copia della “destra sociale”, divenuta nel frattempo asociale causa inquinamento xenofobo nell’aria, essendo noto quasi a tutti che il concetto di sociale sarebbe sinonimo di “solidarietà ” e non di “respingimento”.
Il tutto condito con mirabili contorsionismi come quello di mandare ai confini dell’inferno qualche connazionale in divisa per poi poterne chiedere la liberazione e trovare così un argomento che giustifichi una forma-partito.
La destra dei rottamandi ora si appresta all’ultima battaglia sull’orlo della discarica.
Sperando che ai rom non venga l’idea di abbandonare Roma prima del 5 giugno, altrimenti so’ cazzi…
Dopo che ci hanno restituito i marò, se pure i rom fanno la furbata, che argomenti rimangono agli sfascisti della destra italiana?
Eia, eia, quaquaraqua’, la destra dove sta?
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Aprile 16th, 2016 Riccardo Fucile
NELLA CAPITALE DELLA PADANIA LA LEGA NON VA OLTRE IL 17% NEL SONDAGGIO PIU’ FAVOREVOLE, AL 12% IN QUELLO PEGGIORE…E NELLA ROMA DOVE IL CENTRODESTRA VALEVA IL 50% LA MELONI RESTA SOTTO QUOTA 20%…. CHI RAPPRESENTANO?
In attesa che i nodi vengano al pettine, leggi candidature ufficiali e inizio della campagna elettorale, le
vicende interne al centrodestra meritano una riflessione da una angolatura particolare, quella del carisma leaderistico dei presunti vertici della presunta destra nostrana.
Quanti voti prendono nelle loro roccaforti Salvini e la Meloni?
Iniziamo da Salvini che non a caso, di fronte alla proposta di candidarsi a sindaco di Milano, è scappato a una velocità persino maggiore di quando a Bologna ha intravisto a 200 metri i suoi ex amici dei centri sociali.
Eppure un leader, nella capitale della sua Padania, non dovrebbe temere l’esito elettorale.
In realtà la Lega a Milano non conta una cippa, le sue quotazioni variano dall’11,5% al 17%, a seconda dei sondaggisti, poco sotto Forza Italia.
Tradotto: da sola non va da nessuna parte.
E Salvini infatti si è ben guardato dal rischiare la brutta figura che vorrebbe facesse invece la Meloni a Roma.
A Roma la somma tra Fdi e Lega è data tra il 17% e il 20%: anche qui con queste percentuali può vincere solo la coppa del nonno.
Eppure notoriamente Roma è una città dove il centrodestra rappresenta almeno il 50% dei cittadini, se avessero motivo di andare a votare.
Giova ricordare che i leader del centrodestra negli ultimi 20 anni, da Berlusconi a Fini, nelle loro roccaforti raggiunsero consensi di partito a livelli ben più alti, come peraltro accade all’estero (vedi Marine Le Pen in Francia).
Per non parlare del misero 13,5% e 4% nazionale di cui sono accreditati Lega e Fdi, percentuali ormai vicine a quelle della Lega di Bossi da un lato e appena un terzo dei consensi che raccoglieva AN dall’altro.
E allora le Tv non erano impestate quotidiamente dalla presenza di Bossi e/o Fini e non si doveva assistere a repentini cambi di felpe o ad annunci di gravidanze programmate.
E il fenomeno profughi su cui speculare non si era manifestato con tale virulenza.
Insomma, nelle condizioni di campo migliori, questi due presunti bomber sollevano più zolle dal campo che ovazioni del pubblico pagante.
Prima rientrano negli spogliatoi meglio è per lo spettacolo.
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Marzo 22nd, 2016 Riccardo Fucile
LE COMICHE: ORA TUTTI NON SONO “MAI STATI FASCISTI”… DAL PASSO DELL’OCA A QUELLO DELLE OCHE
Una spina. Un prurito.Un’ossessione. Il lavacro di Fiuggi del ’95 non ha sradicato il passato in fondo al cuore.
Il peso di una storia mai smaltita che si fa sentire fino ad oggi.
«Io non sono mai stata fascista», dice di sè Giorgia Meloni rispondendo a Berlusconi che ha bollato con disprezzo usando l’epiteto (ancora?) infamante di «fascisti».
«Mai» è molto impegnativo.
Chissà perchè allora il Msi ha sentito il bisogno di non chiamarsi più così e di ribattezzarsi Alleanza Nazionale.
E perchè nelle tesi di Fiuggi si è addirittura scomodato l’antifascismo come momento storicamente necessario al ritorno della libertà in Italia.
E perchè Gianfranco Fini, con il parere entusiastico e unanime dei colonnelli che via via gli hanno voltato le spalle fino ad arrivare all’attuale irrilevanza collettiva, ha sentito il bisogno nel ’93 di andare in pellegrinaggio alle Fosse Ardeatine, e poi ad Auschwitz, e poi in visita commossa allo Yad Vashem di Gerusalemme, faccia a faccia con il «male assoluto» della Shoah, mentre in Italia borbottavano per quella kippah in testa.
Il fascismo è stata una storia grande e tragica. Con la fine della Prima Repubblica, fondata sull’antifascismo costituzionale, quella storia sembrava essersi esaurita. Hanno chiuso le insegne del comunismo e del fascismo.
Restano i fantasmi, i residui, i ricordi che stregano le idee e le teste. E lo psicodramma che non si spegne mai
Con lo spettro del fascismo il centrodestra berlusconiano ha duellato sin dall’inizio. Quando Berlusconi disse di optare per Fini come sindaco di Roma (la storia comincia nei pressi del Campidoglio e qui sta volgendo alla fine, potenza dei simboli e dei ricorsi), gli avversari gli misero un fez in testa: il Cavaliere nero.
Bossi, alleato riluttante di governo, si mise in marcia sotto il diluvio nel 25 aprile milanese che sembrava rinato dal nulla, dopo anni di celebrazioni ufficiali stanche e sfibrate. Disse anche, con la sua prosa trattenuta e moderata, che i fascisti sarebbero stati inseguiti «casa per casa» e che con i fascisti mai più da nessuna parte.
Poi invece il «da nessuna parte» diventò Palazzo Chigi.
La sinistra impazziva per il «regime» in agguato. Ogni manifestazione del centrodestra nella Capitale diventava la «marcia su Roma».
Berlusconi faceva finta di non sentire: scherzava addirittura sulle isole del confino fascista dipinte come ameni luoghi di vacanza.
I missini smisero di essere tali: divennero aennini. Sparirono saluti romani e labari. Anzi, riapparvero in qualche funerale (che Fini e i suoi dovevano abbandonare prima che risuonasse lo stentoreo «Presente!» con braccio teso) e quando un gruppo di ex fascisti, o postfascisti, o fascisti salutarono con entusiasmo Gianni Alemanno che aveva vinto le elezioni a Roma.
Sempre al Campidoglio: quando si dice la fissazione dei luoghi.
Non erano più fascisti, fuori e dentro? Alessandro Giuli, che dedicò al gruppo dirigente di An uno sferzante pamphlet, scrisse che il passo delle oche aveva sostituito il passo dell’oca.
Chi voleva restare fascista aveva a disposizione da Fiuggi in poi la Rifondazione nera capeggiata da Pino Rauti. Gli altri si adagiarono sulla strada dello sdoganamento e addirittura confluirono disciplinatamente nel Pdl nato dal predellino di Berlusconi. Tranne Francesco Storace, che con Daniela Santanchè mise su «La Destra», in rotta con il Fini che a Gerusalemme si era spinto troppo oltre.
Una storia grande e tragica, quella del fascismo e anche quella del neofascismo.
La scommessa di una destra che finalmente all’aria aperta, finalmente non più ghettizzata, finalmente non più confinata nel reparto dei reprobi della Repubblica, avrebbe potuto dimostrare tutte le sue potenzialità , è stata una scommessa persa.
Quando Fini osò alzare il capo con Berlusconi, i colonnelli che erano stati di An e che erano cresciuti insieme nella palestra missina per disegnare «il fascismo del Duemila» sfilarono sul palco per condannare il refrattario e per giurare fedeltà imperitura al Capo.
Questa parola, «fascismo», ristagnava sullo sfondo, chiusa in un armadio, con la naftalina perchè non esalasse cattivi odori.
Ma i conti con il passato non sono mai stati fatti.
«Fascista»? Giammai, sembra dire Giorgia Meloni avanzando le prove dell’anagrafe. Il rimosso non se ne va. Il passato non passa.
Sotto il tappeto è già tutto pieno.
Pierluigi Battista
(da “il Corriere della Sera”)
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Marzo 20th, 2016 Riccardo Fucile
UNA TURBA DI MORTI CHE CAMMINANO HA DECISO DI AFFRETTARE LA PROPRIA FINE, FACENDO CASCARE LA CATAPECCHIA DOVE SI ERANO RIFUGIATI… PRESTO DOVRANNO TROVARSI UN LAVORO DI RIPIEGO PER CAMPARE
Ve lo ricordate quel marito che per far dispetto alla moglie si taglia gli zebedei?
Ci sono capi e capetti del centrodestra italiano che si comportano esattamente così. Vogliono disfarsi del vecchio Silvio Berlusconi, un ottantenne senza forze, capace di dare segni di vita soltanto se gli capita di imbattersi nel pelo fresco di una ventenne.
Così testardo da non voler passare il mazzo di carte a qualche erede meno sfasciato di lui. Ma nella speranza di ricoverarlo alla Baggina, il famoso ospizio milanese per i vegliardi, questi dirigenti, personaggetti da quattro soldi, stanno montando una baraonda che distruggerà anche loro.
La politica italica ci sta offrendo un caso da manuale che fino a oggi non conoscevamo. Una turba di morti che camminano ha deciso di affrettare la propria fine, facendo cascare la baracca dove si erano rifugiati.
Succede nel centrosinistra dove gli ex comunisti, un tempo campioni di arroganza feroce, si mettono in fila davanti al boia arrivato da Firenze per accopparli. E lo pregano tremebondi di tagliare tutte le teste che gli fanno ombra.
Ma succede soprattutto nella catapecchia di centrodestra. Qui si assiste a un fenomeno pressochè unico al mondo. Quello di un gruppo dirigente che ha deciso di eliminarsi da solo, in modo autarchico, senza nessun intervento esterno.
Neppure quello dei kamikaze del Califfato nero che, prima o poi, faranno una visitina a Roma. E tra qualche settimana i piccoli boss dovranno trovarsi un lavoro di ripiego per riuscire a campare.
Debbo confessare che il Bestiario e il suo autore, considerati dalla Casta un esempio da manuale del giornalismo criminale, è preoccupato soprattutto della sorte che toccherà alla star del momento: la Giorgia Meloni, ragazzona bionda, dai singolari occhi azzurri, una vulcanica rompiscatole. Si è candidata a fare il sindaco della capitale. Ma è matematico che neppure Santa Scarabola, la patrona delle imprese impossibili, la aiuterà ad arrivare almeno al ballottaggio.
Madama Meloni lo pensa anche lei. Infatti, ecco un’altra maxi sciocchezza senza precedenti, si è già affrettata a rivelare per chi voterà nel duello tra i candidati che riceveranno più voti: la grillina Raggi, la sconosciuta uscita dal cilindro di Casaleggio che tutti danno per vincente.
Che cosa potrà fare la signora Meloni dopo la sconfitta, se non vorrà arruolarsi nei reparti femminili della Legione Straniera per espiare la sua fenomenale ingenuità ?
Il mago Otelma ha rivelato al Bestiario che ha già trovato un mestiere alternativo: andrà in tivù a fare la cuoca.
Viviamo in un’epoca di suprema stoltezza che vede gli chef imperversare su tutte le emittenti pubbliche e private. Ma di solito sono maschi, quasi sempre panciuti e barbuti. Giorgia bucherà il video e porterà alle stelle l’audience di qualunque boiata in cucina.
Il suo collaudato spin doctor, il missino Fabio Rampelli, architetto e campione di nuoto, indosserà anche lui il grembiulone bianco.
E assisterà Giorgia nel preparare primi, secondi e terzi piatti, felice di servire quella che fu la sua leader.
Voleva un impiego analogo un altro degli scudieri meloneschi, il satanico Ignazio La Russa, ma Giorgia l’ha considerato troppo demoniaco. E così anche lui andrà in tivù, ma a interpretare il mostro cattivo di Guerre Stellari.
Spaventerà i bambini che poi la cuoca consolerà con merende elaborate, il giusto alimento per i futuri Fratelli d’Italia.
E Matteo Salvini che cosa farà , dopo aver tentato invano di conquistare Palazzo Chigi? Non lascerà la politica, ma aprirà una stagione cruenta di lacrime e sangue. Il Matteo leghista si è già confezionato una divisa strabiliante: da Dittatore dello Stato Identitario di Bananas.
E comincerà ad accoppare tutti i capi leghisti che gli fanno ombra.
Ammazzerà il vecchio Umberto Bossi, soffocandolo con il sigaro toscano che insiste nel fumare. Liquiderà il Roberto Maroni, uno zitellone che non si vergogna di portare occhiali rossi. Il colore preferito dai gay comunisti che Salvini vorrebbe rinchiudere in un lager apposito, costruito alle sorgenti del Po.
Poi farà pugnalare il fantasioso Roberto Calderoli. Costui ha ricevuto un assaggio di quanto gli toccherà . Il dittatore leghista ha già cacciato la presidente della provincia di Cuneo, Gianna Gancia, che guarda caso è la moglie del Calderoli.
Il governatore veneto, l’esangue Luca Zaia, con quel suo eterno vestito nero che lo fa sembrare un becchino triste, si prepari a espatriare in Austria: i killer di Matteo prima o poi gli andranno addosso e lo faranno sparire.
Il secondo tempo della pulizia etnica decisa da Salvini prenderà di mira i fedelissimi di Berlusconi.
Il tecnico delle emergenze, Guido Bertolaso, sarà costretto a chiedere asilo politico al premier Renzi, che lo spedirà a velocizzare gli eterni lavori della Salerno-Reggio Calabria.
La senatrice badante del Cavaliere, Maria Rosaria Rossi, per salvarsi la ghirba si rinchiuderà in un convento di suore di clausura. I servizi segreti salviniani daranno la caccia persino alla fata bionda di Bolzano, la statuaria Michaela Biancofiore, che ha osato parlare di «un centrodestra suicida».
E il povero Cavaliere? Il dittatore leghista non oserà toccarlo. Ma lo sfratterà dalla villa di Ancore.
Poi deciderà di mandarlo al tappeto con l’affronto più velenoso: fare una proposta di matrimonio alla fidanzata di Silvio, la solare Francesca Pascale.
Infine manderà i propri scherani a impadronirsi dell’Impero televisivo di Mediaset. Marina verrà costretta a cercarsi un impiego da segretaria. Pier Silvio dovrà rassegnarsi a fare l’usciere.
L’unico a salvarsi sarà il grande Fedele Confalonieri. Scriverà un libro di memorie dal titolo: «I miei sessant’anni con Silvio». Lo stamperà la Mondazzoli che ne venderà un milione di copie.
Travolti da questo suicidio collettivo, spariranno nel nulla le figure di secondo piano del centrodestra.
L’ingenuo Storace, solitario e immarcescibile. I capi e i gregari di CasaPound, monaci generosi della militanza in camicia nera. Stefano Parisi che a Milano perderà la battaglia contro quel furbone del Sala. Osvaldo Napoli, rottamato dal Dittatore come candidato sindaco a Torino, dovrà limitarsi a sfoggiare le sue belle cravatte nei talk show, ammesso che vogliano ancora invitarlo.
Una volta scomparso il centrodestra, l’Italia starà meglio o peggio di prima.?
Nessuno lo sa. A meno che non si avveri una previsione che molti stanno già facendo.
I due dittatori rimasti in campo, il Ganassa fiorentino e il Bananista della Lega, si metteranno d’accordo e firmeranno il cosiddetto patto del Doppia Emme.
Le conseguenze si vedranno subito. Un regime autoritario con una coppia di ducetti in grisaglia. Nessuna opposizione. Caccia ai dissidenti. I posti di potere soltanto ai fedeli del Matteo nazionale e di quello leghista.
Resterà un problema.
Che cosa fare delle tante donne che avevano militato nel centrodestra del Cavaliere, anche a titolo privato?
La soluzione la scoverà Filippo Sensi, il super consigliere renzista. Lui si rammentò che Denis Verdini era un vecchio sottaniere e coltivava il sogno di farsi un harem. Le femmine di Silvio passarono a Denis.
Il Grande Voltagabbana le concentrò in un villone sui colli di Firenze. E tutte si rivelarono il trastullo allegro della sua vecchiaia.
Giampaolo Pansa
(da “Libero”)
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Marzo 4th, 2016 Riccardo Fucile
I GIUDICI DI FIRENZE: “QUELLO NON E’ UN PARTITO”… LA NOTA DI PRECISAZIONE DEL MOVIMENTO SOCIALE – FIAMMA TRICOLORE
La battaglia per lo storico simbolo del ‘Movimento Sociale Italiano’ è giunta alla svolta con la sentenza della Corte d’Appello di Firenze che, dopo un decennio di carte e avvocati, ha attribuito l’uso della Fiamma Tricolore al Nuovo M.S.I. di Maria Antonietta Cannizzaro che ora dichiara guerra a chi la sta usando.
Alleanza Nazionale (associazione e fondazione) vede respinto l’appello avverso.
Con ricorso l’associazione Alleanza Nazionale chiedeva al Tribunale di Firenze di inibire all’associazione ‘Movimento Sociale Italiano — Destra Nazionale — Nuovo Msi’, l’uso della denominazione ‘Movimento Sociale Italiano — Destra Nazionale — Nuovo Msi’ della sigla ‘Msi’ e dell’emblema costituito dalla fiamma tricolore su base trapezoidale, di cui rivendicava la titolarità esclusiva.
Il giudice designato accoglieva il ricorso nei confronti dell’associazione, mentre lo respingeva nei confronti delle persone fisiche.
L’ordinanza veniva confermata il 4 luglio 2006 in sede di reclamo al collegio.
Con atto di citazione notificato il 17 maggio 2006, An introduceva quindi il giudizio di merito, chiedendo l’accertamento dei propri diritti assoluti sulla denominazione e sul simbolo in oggetto, con pubblicazione a mezzo stampa della emananda sentenza e condanna delle controparti al risarcimento dei danni.
L’associazione ‘NMSI’ si costituiva in giudizio contestando la fondatezza delle avverse domande.
Avverso la decisione i soccombenti interponevano appello, dolendosi in estrema sintesi di quanto che An aveva abbandonato le sue origini, rinunciando di fatto ad ogni continuazione politica con la formazione del Msi.
Al contempo, interveniva volontariamente in giudizio la ‘Fondazione Alleanza Nazionale’ costituita con atto notarile del 18 novembre 2011, proponendosi come successore a titolo particolare.
La similitudine tra i simboli di due aggregazioni politiche non configura necessariamente un’illegittima interferenza, laddove siano introdotti adeguati elementi di distinzione atti a salvaguardare l’identità personale.
La comparazione tra i segni, infatti, non deve essere analitica, ovvero riferita ad ogni singola componente distintiva, ma sintetica e globale tenuto conto di tutti gli elementi costitutivi.
L’associazione An, nel frattempo posta in liquidazione, si costituiva in giudizio contestando l’ammissibilità e comunque la fondatezza dell’appello sotto ogni profilo di fatto e di diritto.
Passando al merito, va subito rilevato che il nostro ordinamento non riserva ai segni distintivi politici un’apposita disciplina, se non preoccupandosi della confondibilità degli emblemi in occasione delle competizioni elettorali, sicchè gli ambiti concettuali della tutela vanno ricavati dai principi generali vigenti in materia di identità personale. La lacuna del resto non sorprende, in quanto coinvolge l’intero assetto del sistema partitico, non essendo mai stata varata una normativa volta a regolamentare lo status giuridico o il funzionamento dei partiti, che rientrano puramente e semplicemente nel novero delle associazioni non riconosciute.
La tendenza analizzata non innalza la sfera materialistica del commercio a quella ideale della politica, quanto piuttosto abbassa la sfera ideale della politica a quella materialistica del commercio.
Si vuol dire che la protezione tipica del marchio può trovare spazio naturale laddove la politica entri legittimamente nel commercio a fini di autofinanziamento coi gadgets, coi social network o quant’altro, ma non laddove il commercio provi ad entrare in politica, contaminando con ragioni di tutela negoziali simboli che nascono come espressione di pura idealità .
Da questo punto di vista, il diritto all’identità personale si pone addirittura in antitesi con la logica dello scambio economico perchè mentre il marchio è infatti un valore cedibile, l’identità personale è incedibile e irrinunciabile, nella misura in cui si lega ad un patrimonio morale unico e caratteristico del soggetto, seppur affiliato ad una corrente ideologica storicamente riconoscibile.
Il ‘NMSI’ non si è messo a vendere prodotti o servizi di An o della Fondazione, protetti da un segno distintivo d’impresa, ma si è limitato similmente a riprendere l’ispirazione politica abbandonata dalle controparti, come storicamente propugnata dal vecchio Movimento Sociale Italiano, così rinsaldando il ponte ideologico smantellato dalla trasformazione politica di An verso la convergenza col Popolo delle Libertà . Anche l’impiego della fiamma tricolore ha seguito lo stesso tragitto giustificativo, trattandosi del simbolo concepito nel dopoguerra, dopo la messa al bando delle insegne fasciste, per ricollegarsi alle tradizioni della destra nazionalistica italiana che aveva un tempo abbracciato quel regime.
Così come la falce e martello simboleggiano la tradizione comunista internazionale, la fiamma tricolore simboleggia un patrimonio ideologico ben radicato nella storia politica italiana, che a ben vedere sovrasta l’occasionale utilizzatore e vive di vita propria, denotando un coacervo omogeneo e storicamente riconoscibile di propensioni politiche.
In definitiva la Corte d’Appello di Firenze definitivamente pronunciando nella causa in oggetto ogni altra domanda, eccezione o deduzione disattesa, in riforma della sentenza n. 1660 emessa il 28 aprile 2008 dal Tribunale di Firenze, respinge tutte le domande proposte dall’Associazione Alleanza Nazionale e dalla Fondazione Alleanza Nazionale e le condanna in solido al pagamento delle spese processuali dei due gradi di giudizio, oltre accessori a favore del Corpo Politico Movimento Sociale Italiano — Destra Nazionale — Nuovo M.S.I.
(da “progettoItalianews”)
Riceviamo e pubblichiamo volentieri la nota di precisazione del Movimento Sociale – Fiamma Tricolore
Egregio Direttore, leggiamo con disappunto nell’articolo quanto segue:
1. (Titolo di testa): “Il Nuovo MSI si riprende la Fiamma Tricolore, la Fondazione AN perde la causa”;
2. (Testo dell’articolo): “..ha attribuito l’uso della Fiamma Tricolore al Nuovo M.S.I. di Maria Antonietta Cannizzaro..”;
3. (Spalla all’articolo): Simbolo del “Movimento Sociale Fiamma Tricolore;
Dobbiamo precisare che trattasi di informazioni e pubblicazione del simbolo totalmente errate, a partire dal titolo, per le seguenti motivazioni:
1. La “Fiamma Tricolore” NON è stata ripresa dal Nuovo MSI, in quanto il “Movimento Sociale Fiamma Tricolore”, comunemente conosciuto semplicemente come “Fiamma Tricolore” è partito differente dal Nuovo MSI e dalle altre formazioni politiche rappresentate nell’articolo, con le quali non ha nessuna forma di collaborazione;
2. L’uso della “Fiamma Tricolore”, è attribuito al “Movimento Sociale Fiamma Tricolore” e NON al Nuovo M.S.I.;
3. Il simbolo pubblicato di spalla è di titolarità esclusiva del “Movimento Sociale Fiamma Tricolore” (http://www.fiammatricolore.com/).
Giuseppe MANOLI
Responsabile Ufficio Stampa
Movimento Sociale Fiamma Tricolore
argomento: destra | Commenta »