Novembre 29th, 2020 Riccardo Fucile
MODERATI E NEONAZISTI ALLA RESA DEI CONTI
“Portiamo le mascherine solo perchè dobbiamo”. È questa frase lapidaria a segnare la prima parte del
Congresso dell’estrema destra tedesca. Un Congresso svolto nonostante la pandemia. Seicento delegati più un centinaio di altre persone si sono ritrovate nella città di Kalkar, piccolo centro al confine con l’Olanda, in un impianto di energia nucleare realizzato nel 1985 ma mai entrato in funzione ed oggi riconvertito in un parco con annesso un centro fieristico.
La scelta di svolgere il Congresso in presenza, diversamente da quanto fatto dai Verdi che l’hanno tenuto online o dalla Cdu che l’ha rimandato al 2021, ha dominato il dibattito mediatico tedesco. Eppure la decisione non avrebbe dovuto sorprendere considerato che AfD ritiene che le misure di contrasto alla pandemia siano eccessive, inutili e inaccettabili.
All’ordine del giorno del partito c’erano due questioni. La prima era l’elezione di due membri del consiglio di presidenza dopo le dimissioni del tesoriere (Klaus Fohrmann) e l’espulsione del neonazista Andreas Kalbitz. I nuovi membri (il tesoriere Carsten Hà¼ttere e Jaona Cotar), entrambi esponenti della corrente moderata, sono stati eletti con una maggioranza risicatissima. La seconda questione all’ordine del giorno era la votazione di una proposta in ambito sociale con una proposta di riforma del sistema pensionistico. Un argomento già concordato nel partito nei primi mesi di quest’anno e puntualmente votato.
La sfida del presidente
Come spesso accade nei veri Congressi di partito, non sono mancate le sorprese. Il presidente del partito, Jà¶rg Meuthen, ha sorpreso tutti con un discorso durissimo. Si è trattato di una chiamata all’ordine e alla disciplina di partito che è sfociata in un regolamento di conti interno.
“Non otterremo più successo diventando più aggressivi, più grossolani, più disinibiti. Non si può andare avanti”. Parole rivolte alle frange più estreme del partito che manifestano con movimenti antidemocratici, negazionisti e cospirazionisti. Meuthen ha ridicolizzato i compagni di partito che sostengono vi sia una dittatura del Covid-19 (“Se ci fosse veramente una dittatura non saremmo qui a svolgere il nostro Congresso”) e attaccato chi ha paragonato la recente legge sulle infezioni votata dal Parlamento con la legge dei pieni poteri con cui Adolf Hitler instaurò la dittatura (“una banalizzazione implicita della barbarie nazista”).
Con il suo discorso il presidente di AfD ha lanciato la sua sfida per l’immediato futuro: fare di AfD un partito conservatore nazionale, borghese, antieuropeista ma democratico e rispettoso delle regole istituzionali. Ha posto una questione esistenziale: “Cosa vogliamo essere?” A meno di un anno dalle elezioni, secondo Meuthen, se AfD non si dà un profilo credibile verrà spazzata via e il consenso diminuirà drasticamente. Le elezioni saranno tra meno di un anno, il 26 settembre 2021.
Le parole di Meuthen, che hanno suscitato pochi applausi e qualche piccola protesta, erano rivolte anche ad Alexander Gauland e ad Alice Weidel, due pezzi da novanta che con il loro linguaggio radicale e violento strizzano l’occhio ai movimenti di protesta. Entrambi non l’hanno preso bene: il primo lo ha considerato un discorso divisivo e fuori luogo e la seconda una diffamazione dei movimenti di protesta con cui AfD manifesta contro le misure di contenimento alla pandemia.
Meuthen non è il primo a cercare di trasformare AfD da partito di protesta che cavalca il malcontento sociale e politico in un partito conservatore moderno. Prima di lui ci aveva provato Bern Lucke che dovette uscire dal partito e successivamente Frauke Petri che dovette subire un umiliante Congresso in cui venne duramente criticata. Dopo le elezioni del 2017 ha abbandonato il partito.
Durante il Congresso si è aperta la questione della leadership che, tuttavia, dopo un lungo dibattito e qualche tensione si è deciso di posticipare senza che ci fosse una votazione su Meuthen.
Il tentativo del presidente è significativo perchè mostra che AfD ha effettivamente intrapreso una deriva estremista preoccupante tanto che sezioni regionali del partito sono già sotto osservazione da parte dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (Verfassungsschutz) e presto potrebbe esserlo tutto il partito. In questo senso il presidente onorario Gauland, prima di lasciare il Congresso in ambulanza per un malore improvviso, ha addirittura affermato che AfD deve lottare contro l’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione perchè c’è troppa sottomissione nei confronti del suo ruolo.
Un lezione per l’Italia
Il Congresso di AfD è anche un avviso e un monito alla destra italiana che sin dall’inizio ha dialogato con l’estrema destra tedesca ed è a sua volta lacerata dalla competizione tra Meloni, Salvini e Berlusconi, che ormai incarnano tre destre diverse e che oscillano tra naturale inclinazione alla polarizzazione e alla violenza verbale e un oramai lontano senso di responsabilità istituzionale. È certamente troppo presto per dire che il sovranismo populista degli ultimi anni si stia scontrando con i propri stessi limiti, ma il Congresso di AfD e la frattura interna mostrano che si è aperto un fronte di conflitto interno.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 27th, 2020 Riccardo Fucile
REGIONI SUL PIEDE DI GUERRA E LA MAGGIORANZA DEI POLACCHI SI SCHIERA CONTRO L’ESECUTIVO… CRITICHE PESANTI DAI LIBERALI DI PIATTAFORMA CIVICA
Gli enti locali prendono posizione contro la decisione di bloccare i fondi europei. Il sindaco di Varsavia parla di «un’azione suicida». E, secondo i sondaggi, oltre il 44% dei cittadini sta con Bruxelles
A Varsavia si levano sempre più critiche contro la decisione della Polonia di mettere il veto al bilancio 2021-2027 dell’Unione europea.
Una decisione che è legata alla volontà da parte degli altri Stati membri di vincolare i fondi al rispetto dello Stato di diritto e che ha come effetto indiretto quello di bloccare il via libera al Recovery Fund, il piano di aiuti agli Stati membri dell’Unione europea messo a punto da Bruxelles.
Negli ultimi giorni, a Varsavia si sono registrate voci di dissenso nei confronti della strategia perseguita dal partito populista di governo Diritto e Giustizia (PiS).
L’ultima voce critica s’è levata oggi, 26 novembre, quando Marek Woźniak, membro del partito di centrodestra Piattaforma civica presidente del voivodato della Grande Polonia, il secondo per estensione dei 16 in cui è diviso il Paese, ha espresso — anche a voce delle altre Regioni — grande preoccupazione per la situazione di stallo creatasi a Bruxelles:
«Per le autorità locali e regionali il rispetto dello stato di diritto è d’importanza fondamentale». «Vogliamo essere sicuri che la nostra voce sia udita in maniera chiara: noi siamo la voce di una Polonia diversa», ha chiarito Woźniak, che è membro del Partito popolare europeo (Ppe), «la situazione è seria, c’è il rischio di perdere nuovi investimenti a causa di questo veto».
A rischio fino a 57 miliardi di euro
La Polonia è stata finora uno dei maggiori beneficiari dei fondi europei.
Per Varsavia, il blocco del Recovery Fund significherebbe una perdita fino a 23 miliardi di euro di sovvenzioni e 34,2 miliardi di euro di prestiti.
Le preoccupazioni di Woźniak sono quelle di una fetta importante della popolazione, come evidenzia un sondaggio dell’istituto Ibris, realizzato per il quotidiano nazionale polacco Rzeczpospolita, di orientamento conservatore-liberale.
Secondo la rilevazione, il 44,8% dei cittadini è favorevole al meccanismo che vincola i fondi europei al rispetto dello stato di diritto, mentre il 44,2% è contrario e l’11% non ha un’opinione.
Nei giorni scorsi, a prendere posizione contro il governo era stato anche Rafał Trzaskowski, sindaco di Varsavia e membro, come Woźniak, di Piattaforma Civica.
In una nota firmata anche dall’omologo di Budapest Gergely Karà¡csony, Trzaskowski ha attaccato: «Il veto al bilancio, di cui la Polonia sarà il maggior beneficiario, è semplicemente un’azione suicida».
«È noto da anni che i principi fondamentali dello Stato di diritto vengono violati», ha scritto Trzaskowski, secondo cui il governo dovrà affrontarne le conseguenze, «ed è esattamente ciò che sta accadendo proprio ora davanti ai nostri occhi».
(da agenzie)
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Novembre 19th, 2020 Riccardo Fucile
EUROPEISTI QUANDO DEVONO PRENDERE SOLDI EUROPEI, SOVRANISTI QUANDO DEVONO NEGARE DIRITTI E VALORI EUROPEI… IL 77% DEI CITTADINI EUROPEI E’ FAVOREVOLE A TAGLIARE I FONDI A QUEI PAESI CHE VIOLANO LO STATO DI DIRITTO
Stato di diritto for dummies. La questione è molto semplice. Se tu chiedi di iscriverti a un club, ne
rispetti le regole che tutti i soci si sono dati. Se quelle regole non ti piacciono, o abbandoni il club oppure provi a cambiarle trovando la maggioranza dei consensi all’interno.
Tra le regole che l’Unione europea si è data, sin dalla sua nascita, c’è il rispetto dei diritti fondamentali, delle libertà democratiche, dell’indipendenza dell’informazione e della magistratura, della lotta contro la corruzione.
Polonia e Ungheria hanno aderito al club Ue, pretendono i benefici soprattutto economici derivanti da questa appartenenza, ma non vogliono più rispettarne le regole sancite dall’articolo 2 del Trattato.
In pratica fingono di essere europei quando si tratta di ricevere i miliardi di euro dell’Europa e fanno i nazionalisti quando si tratta di rispettare le regole e i valori che hanno sottoscritto. Troppo facile così.
Questa posizione irricevibile trova inoltre la sponda dei sovranisti nel resto d’Europa, a cominciare dall’Italia: nella migliore ipotesi, utili idioti di Orbà¡n o del PiS, che vanno contro gli interessi del nostro Paese.
Altro che prima gli italiani. L’unico e vero obiettivo di costoro, spesso anche dichiarato, è quello di distruggere l’Unione europea.
Salvini esalta Orbà¡n (alleato europeo di Tajani), mentre Orbà¡n va contro l’Italia sul Recovery plan e immigrazione; Meloni presiede il partito europeo con i polacchi del PiS che negano alle donne il diritto di scelta sull’aborto. Non prevarranno.
In un recente sondaggio il 77% dei cittadini europei si è detto favorevole alla negazione dei fondi Ue a chi viola lo Stato di diritto. La maggioranza: anche in Italia, Polonia e Ungheria.
Come sempre, i cittadini sono molto più sensibili al rispetto delle libertà di vari governi che restano in silenzio e di chi giustifica e difende le gravi violazioni perpetrate da alcuni governi loro alleati.
L’Unione europea è nata per garantire ai nostri popoli libertà , pace e democrazia. Chi non rispetta e riconosce tutto questo, è fuori dalla storia e si mette fuori dall’Europa. Tutto questo è un bluff: polacchi, ungheresi e i loro alleati nazionalisti cederanno. E se non cederanno, noi andremo avanti lo stesso con i governi e i popoli che vogliono tutelare diritti e democrazia.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 18th, 2020 Riccardo Fucile
LA PERCENTUALE CONTINUA A SALIRE DOPO LE MISURE DI AIUTO STANZIATE DALLA UE
La pandemia sembra aver inciso in positivo sull’atteggiamento degli italiani verso l’Europa e l’euro: è quello che emerge dal sondaggio Winpoll per il Sole 24 Ore pubblicato ieri, in cui l’apprezzamento dei cittadini italiani viene legato al Recovery Fund e alla gestione europea dell’emergenza Covid-19.
Secondo il sondaggio Winpoll per Il Sole 24 Ore, il 63 per cento degli intervistati si trova d’accordo o abbastanza d’accordo con l’affermazione “è importante che l’Italia continui a far parte dell’Unione Economica e Monetaria con l’Euro come moneta unica”.
La percentuale arriva a 74 se si esclude il 15 per cento che non ha risposto. Solo il 7 per cento dice invece di non essere per nulla d’accordo.
Anche l’ultimo sondaggio Eurobarometro, riportato sempre dal Sole 24 Ore e realizzato l’estate scorsa, al tempo dell’approvazione del Recovery Fund, prevedeva una domanda molto simile sull’euro, e circa il 60 per cento degli intervistati ha dichiarato di essere a favore alla moneta unica.
Invece, un precedente sondaggio Winpoll pubblicato sul Sole 24 Ore lo scorso aprile, quando l’Europa ancora non aveva dato risposte alla pandemia, evidenziava che, alla domanda se fosse un fatto positivo per l’Italia far parte dell’Unione europea, solo il 35 per cento aveva risposto in modo affermativo.
Nell’ultimo sondaggio Winpoll, lo schieramento a favore o contro l’euro varia a seconda dello schieramento politico. Gli elettori Pd schierati a favore sono l’82 per cento, quelli di Forza Italia sono il 74 per cento, quelli della Lega il 36 per cento, mentre gli elettori M5s al 54 per cento. Anche l’età incide: l’euro piace molto ai giovani sotto i 30 anni e agli adulti sopra i 65.
(da agenzie)
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Novembre 18th, 2020 Riccardo Fucile
LA NECESSITA’ DI UN’EUROPA AUTONOMA DELINEATA DALL’UNICO LEADER EUROPEO CHE HA UNA VISIONE OLTRE IL CONTINGENTE
In Europa solo il presidente della Repubblica francese può esprimere giudizi fulminanti senza troppo
timore di essere smentito o ignorato.
L’aura para-monarchica della Rèpublique e la convinzione di una perdurante grandezza nazionale consentono questo e altro.
Uomo di visione e di slanci anche coraggiosi, Emmanuel Macron non fa eccezione e non disdegna di usare le parole come spade affilate. Un anno fa aveva puntato il dito contro “la morte cerebrale” della Nato. Ora, in una chilometrica intervista rilasciata alla rivista Le grand continent, ha tra l’altro preso di petto personalmente, con singolare virulenza, il ministro della Difesa tedesco, Annegret Kramp-Karrenbauer, per molti più semplicemente Akk.
Già candidata alla successione di Angela Merkel, ma poi dimessasi dalla presidenza della Cdu per un’oggettiva carenza di leadership in seno al partito, Akk si era distinta per una lusinghiera gestione politica della Saar, di cui è stata presidente, e per aver assunto la guida della Difesa, tra le amministrazioni più complicate in Germania.
Originaria dell’estremo lembo occidentale della Repubblica federale, in altalena per decenni tra Germania e Francia, di solidi convincimenti atlantici e fedele interprete della linea della cancelliera, Kramp-Karrenbauer aveva ricordato pubblicamente che gli europei non sono in grado di sostituire gli Stati Uniti come partner di sicurezza, “l’Europa ha ancora bisogno dell’America”. In altre parole, senza l’ombrello nucleare e convenzionale degli Usa, Germania e Europa oggi non possono proteggersi adeguatamente.
A Parigi l’affermazione, alquanto ortodossa in Germania e altrove, è stata interpretata come un rifiuto della “più ampia autonomia strategica” dagli Stati Uniti rivendicata dalla Francia in materia di difesa.
Da qui la censura senza appello di Macron, che bacchetta la malcapitata responsabile della Difesa tedesca, accusandola di propagare “un controsenso storico” e di essere disallineata rispetto ad Angela Merkel.
La tesi dell’Eliseo è più sbrigativa, si tratta di costruire la nostra autonomia, come europei, “per noi stessi come gli Stati Uniti fanno per loro, e come la Cina fa per sè”.
Nel suo lungo discorso Macron tocca punti fondamentali, sullo sfondo dell’impegno per un nuovo multilateralismo efficace, che superi l’attuale assetto di cui è emblema un Consiglio di Sicurezza dell’Onu paralizzato.
Immagina una originale solidarietà , che apra la strada a un accesso mondiale ai vaccini. L’agenda per l’Europa è chiara e ambiziosa, possiamo, dobbiamo essere i primi nell’educazione, nella salute, nel digitale, nell’economia verde, preservando sovranità nazionale e sovranità popolare contro le scorciatoie antidemocratiche e le sirene degli autocrati.
Nè si discute del rispetto delle culture e della difesa di diritti inviolabili di libertà e tolleranza, da secoli parte del nostro dna sociale, o della priorità di un rapporto nuovo e stretto con l’Africa. Sono tutti argomenti validi.
Resta invece una cacofonia di Parigi sulle relazioni transatlantiche, con qualche eco neo-gollista. Può sorprendere che l’idea francese sulla autonomia in tema di difesa sia riproposta proprio ora, alla vigilia di un avvicendamento importante a Washington. In vista del cambio di inquilino alla Casa Bianca, l’Europa sbaglierebbe ad attendersi rivolgimenti copernicani, ma anche a trascurare le possibilità di ripresa di un dialogo proficuo tra le due sponde dell’Atlantico, dopo gli ultimi, difficili quattro anni.
L’obiettivo di una maggiore responsabilità europea su sicurezza e difesa non contraddice quello di un consolidamento del rapporto con gli Stati Uniti. A Berlino lo sanno bene, a Parigi evidentemente ci credono meno.
Negli ultimi dieci anni, come riporta l’Istituto internazionale per le ricerche sulla pace di Stoccolma (Sipri), le spese militari tedesche sono aumentate del 15%, quelle francesi del 4%, mentre le spese italiane sono diminuite dell’11%.
Peccato, perchè forse un nostro maggiore impegno ci aiuterebbe a far sentire la voce dell’Italia per coniugare al meglio, con l’opportuno equilibrio e la necessaria sinergia, forza europea e partnership americana.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
IPOTESI DI TRASFORMARE IL FONDO IN TRATTATO GOVERNATIVO MA SERVIREBBERO ALTRI 6-8 MESI
Quando Polonia e Ungheria hanno bloccato la decisione che andava presa all’unanimità sulle
cosiddette ‘risorse proprie’ e posto così il loro veto al bilancio pluriennale dell’Ue e al ‘recovery fund’, al tavolo dei 27 ambasciatori dell’Ue nessuno si è sorpreso.
La mossa era più che annunciata dai governi di Varsavia e Budapest, furiosi per come si è concluso il negoziato con l’Europarlamento sullo stato di diritto, trasformato in una condizione ‘sine qua non’ per avere i fondi Ue.
Ma adesso che lo stallo è ufficiale e il recovery fund è davvero avviato sul treno dei ritardi (non entrerà in funzione a gennaio come inizialmente previsto), la presidenza tedesca sta studiando come poter aggirare il ‘cartellino rosso’ dei due paesi del blocco di Visegrad. Per evitare che l’Unione si fermi per colpa di due Stati.
Complicato. La materia ritorna sul tavolo ‘politico’ dei capi di Stato e di governo: giovedì i 27 leader dell’Ue vi dedicheranno una parte nella videoconferenza convocata per gli aggiornamenti sul covid. Soluzione cercasi.
A partire dal fatto che, fanno notare fonti europee, il capitolo sullo stato di diritto è comunque passato a maggioranza alla riunione degli ambasciatori: non era richiesta l’unanimità , quindi è in vigore.
E se si legasse il recovery fund all’attuale schema di bilancio, le violazioni dello stato di diritto impedirebbero comunque a Ungheria e Polonia di accedere ai fondi Ue. Insomma, il veto non risolverebbe i ‘problemi’ di Orban e Kaczynski e anzi, visto in questa luce, sembra un boomerang. Ma intanto c’è.
E se giovedì i leader non trovassero una soluzione, non ci sarebbe più il tempo per approvare il bilancio pluriennale in Europarlamento e l’Ue andrebbe in esercizio provvisorio.
Il che vuol dire non poter effettuare pagamenti se non su spese già contratte o previste dai Trattati tipo la Pac (politica agricola comune). Però anche in esercizio provvisorio si applicherebbero le nuove regole sullo stato di diritto: l’Eurocamera deve ancora approvarle definitivamente, ma non sembra proprio ci siano problemi di maggioranza.
Ma verrebbe a mancare il nuovo quadro pluriennale di bilancio 2021-27, che insieme al recovery fund ammonta a 1800 miliardi di euro.
Inoltre, la parte sulle risorse proprie necessita della ratifica dei Parlamenti nazionali dell’Ue: ogni Stato potrà tirarla per le lunghe, a partire da Polonia e Ungheria che hanno bloccato l’unanimità richiesta oggi.
Senza le ‘risorse proprie’, vale a dire nuove tasse sul digitale, sul carbone o sulle transazioni finanziarie, la Commissione europea non avrebbe la copertura adeguata per vendere bond sul mercato e raccogliere i fondi del recovery fund. Non ci sarebbe insomma garanzia sul pagamento di questo debito comune europeo.
Per il recovery fund vero e proprio, la soluzione che diverse fonti europee citano come ipotesi per risolvere l’impasse è di trasformarlo in un trattato intergovernativo, tipo il Mes. Sarebbe un modo per aggirare l’osacolo Varsavia e Budapest. Ma, politicamente parlando, non appare una decisione semplice da prendere. E poi servirebbero 6-8 mesi, perchè il trattato dovrebbe essere negoziato con chi ci sta e poi ratificato dai Parlamenti nazionali. Troppo lunga.
In molte capitali, tra cui Roma, prevale la convinzione che quello di Polonia e Ungheria sia solo un bluff, che i due paesi hanno bisogno dei fondi europei e dunque bisognerebbe soltanto insistere con loro. Ma anche per questo serve tempo: il rischio ritardi non è scongiurato.
“Le stelle polari del sovranismo mondiale, i governi della Polonia e dell’Ungheria, hanno bloccato in sede di Consiglio il via libera al Recovery Fund — dice Tiziana Beghin, capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo – Ancora una volta gli amici europei di Salvini e Meloni dimostrano la loro vera natura politica: sono anti-italiani e anti-europei. Bloccare il via libera al prossimo bilancio pluriennale dell’Ue e al piano di ripresa Next Generation EU in piena crisi economica e sanitaria è da irresponsabili. Anzichè pensare al bene comune, ‘Orban and company’ si preoccupano solo del loro orticello, ma l’Unione europea sulla difesa dello stato di diritto non si tirerà indietro”.
Che sia un bluff o meno, intanto oggi l’annunciato veto è arrivato. Un’ennesima grana per Angela Merkel e la presidenza tedesca dell’Unione, che rischia di terminare con magri risultati a fine anno.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 16th, 2020 Riccardo Fucile
“ONU INEFFICACE, SERVE UN’EUROPA SOVRANA, MOLTO PIU’ FORTE, CON UNA SUA DIFESA”
Dinanzi alle crisi e alle sfide degli ultimi mesi e anni, l’Europa deve cambiare registro e “collaborare”
per fronteggiare la pandemia di Covid-19, ma anche il terrorismo islamista che ha colpito con forza il Vecchio Continente, in particolare la Francia, ma anche l’Africa.
Questa la posizione espressa da Emmanuel Macron in una lunga intervista concessa a tre giovani studiosi di politica internazionale, redattori della rivista “Le Grand Continent”, pubblicata oggi sul Corriere della Sera.
“Siamo in un momento di frattura del capitalismo, che deve pensare alle diseguaglianze e al cambiamento climatico” spiega il presidente francese.
“Dobbiamo collaborare. Non riusciremo a sconfiggere l’epidemia e questo virus se non collaboriamo. Oltre a ciò, in questo momento ritengo che un’ulteriore rotta da seguire sia anche l’importanza – e l’uno per me è complementare all’altro – di rafforzare e strutturare un’Europa politica. (…) Ciò presuppone che si prenda atto del fatto che gli ambiti della cooperazione multilaterale oggi sono diventati fragili, perchè sono bloccati: non posso far altro che constatare che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, oggi, non produce più soluzioni utili; siamo tutti corresponsabili quando alcuni diventano ostaggio delle crisi del multilateralismo, come l’OMS. (…) Se cerco di guardare oltre il breve termine, direi quindi che dobbiamo avere due assi forti: ritrovare le modalità per una cooperazione internazionale utile che eviti la guerra, ma che consenta di rispondere alle sfide contemporanee; costruire un’Europa molto più forte, che possa far valere la sua forza, mantenendo i suoi principi, in uno scenario così rifondato”.
Macron vede un “punto di rottura” rispetto al quadro multilaterale del 1945, “il relativismo contemporaneo che sta emergendo segna davvero una frattura e fa il gioco di potenze che non sono a proprio agio nell’ambito dei diritti umani delle Nazioni Unite. Su questo tema è evidente il gioco portato avanti dalla Cina e dalla Russia, che promuovono un relativismo dei valori e dei principi”. Non solo la rottura avviene anche “rispetto al post-1989.
“Le generazioni nate dopo il 1989 non hanno vissuto l’ultima grande lotta che ha strutturato la vita intellettuale occidentale e le nostre relazioni: l’anti-totalitarismo. (…) Tutti questi elementi producono fratture molto profonde nella nostra vita, nella vita delle nostre società e nello spirito che è emerso in queste date di riferimento. Ed è per questo che voglio lanciare quello che potremmo chiamare il “Consenso di Parigi”, che però sarà il consenso di tutti, che consiste nel superare questi momenti storici importanti per mettere in discussione l’elemento di concretizzazione del cosiddetto Washington Consensus: diminuzione del ruolo dello Stato, privatizzazioni, riforme strutturali, apertura delle economie attraverso il commercio, finanziarizzazione delle nostre economie, il tutto all’interno di una logica piuttosto monolitica basata sulla creazione di profitti. (…) Il funzionamento dell’economia di mercato centrata sulla finanza ha permesso l’innovazione e una via d’uscita dalla povertà in alcuni Paesi, ma ha aumentato le disuguaglianze nei nostri. Le nostre classi medie in particolare, e una parte delle nostre classi popolari, sono state la variabile di aggiustamento della globalizzazione; e questo è insostenibile. È insostenibile, e l’abbiamo indubbiamente sottovalutato. (…) Siamo in un momento di frattura del sistema capitalistico, che deve pensare allo stesso tempo alle disuguaglianze e al cambiamento climatico. A questo si aggiunge un fatto nuovo, ma che si sta strutturando in modo perverso: i social network e Internet. (…) L’ultimo punto di svolta è il cambiamento demografico, che spesso tendiamo a dimenticare. Abbiamo una popolazione che continua a crescere ad una velocità folle. (…) Non credo ci sia mai stato un periodo della storia che abbia concentrato così tanti elementi di frattura”.
Un’Europa politica più forte, a partire dalla difesa, è la via indicata da Macron.
“Sono sicuro di una cosa: non siamo gli Stati Uniti d’America. Sono i nostri alleati storici, abbiamo a cuore come loro la libertà e i diritti umani, abbiamo dei legami profondi, ma abbiamo, per esempio, una preferenza per l’uguaglianza che non c’è negli Stati Uniti d’America. I nostri valori non sono esattamente gli stessi. Abbiamo un attaccamento alla socialdemocrazia, a una maggiore uguaglianza, e le nostre reazioni non sono le stesse. Credo anche che da noi la cultura sia più importante, molto di più. Infine, siamo proiettati in un altro immaginario, legato all’Africa, al Vicino e Medio Oriente, e abbiamo un’altra geografia, che può disallineare i nostri interessi. La nostra politica di vicinato con l’Africa, con il Vicino e Medio Oriente, con la Russia, non è una politica di vicinato per gli Stati Uniti d’America. È quindi insostenibile che la nostra politica internazionale dipenda da loro o che segua le loro orme”.
Dura bordata di Macron, nei confronti della ministra tedesca della Difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, che in in’intervista a Politico.eu aveva esposto la sua visione del legame transatlantico dicendo che “le illusioni di una autonomia strategica europea devono cessare”.
Macron risponde per le rime:
“La domanda, per essere diretti, è questa: il cambiamento di amministrazione americana (con l’arrivo di Joe Biden) rallenterà le iniziative europee? Sono profondamente in disaccordo, per esempio, con l’editoriale su Politico firmato dal Ministro della Difesa tedesco. Penso che si tratti di un controsenso storico. Per fortuna, la Cancelliera non è sulla stessa linea, se ho capito bene. Ma gli Stati Uniti ci rispetteranno come alleati solo se rimarremo seri con noi stessi e se saremo sovrani con la nostra stessa difesa. Quindi penso che, al contrario, il cambiamento di amministrazione americana sia un’opportunità per continuare in modo totalmente pacifico e sereno quello che degli alleati devono capire: dobbiamo continuare a costruire la nostra autonomia per noi stessi, come gli Stati Uniti fanno per loro, e come la Cina fa per sè”.
La seconda sfida d’Europa riguarda i valori.
La lotta contro il terrorismo e l’islamismo radicale è una lotta europea, ed è una lotta alla nostra altezza: credo che, in fondo, la lotta contemporanea sia contro la barbarie e l’oscurantismo.
La terza sfida è il “cambiamento di prospettiva nei confronti dell’Africa e la reinvenzione dell’asse afro-europeo. È la lotta di una generazione, ma credo che sia fondamentale per noi”.
Altra sfida, il cambiamento climatico.
“Penso che la lotta contro il cambiamento climatico e quella per la biodiversità sia centrale nelle scelte politiche che dobbiamo fare. (…) Allo stesso modo, prendiamo l’esempio di una famiglia francese, che ha fatto tutto quello che le è stato chiesto per trent’anni. Le è stato detto: “devi trovare un lavoro” – ha trovato un lavoro. Le abbiamo detto: “Devi comprare una casa” – ma una casa è troppo costosa nella grande città , così l’ha comprata a 40, 50, 60 chilometri dalla grande città . Le è stato detto: “Il modello del successo è avere ciascuno la propria auto” – ha comprato due auto. Le è stato detto: “Se siete una famiglia degna di questo nome, dovete crescere bene i vostri figli, devono andare a musica e poi al club sportivo”. Così, il sabato, facevano quattro viaggi per portare in giro i loro figli. A questa famiglia, poi dite: “Siete grandi inquinatori, avete una casa mal isolata, avete una macchina e la guidate per 80, 100, 150 chilometri. Il nuovo mondo non vi ama”. La gente impazzisce! Dicono: “Ma ho fatto tutto bene! Compreso il fatto che il governo francese per decenni mi ha chiesto di comprare il diesel, e io ho comprato il diesel!”. Ho fatto l’esempio di questa famiglia perchè è esattamente così che mi hanno visto alla fine del 2018: come il tizio che all’improvviso ha detto, “tutto quello che fate ogni giorno, seguendo i nostri consigli, ora diventa di colpo cattivo”. Ma mi sono reso conto che abbiamo commesso un errore. Dobbiamo coinvolgere le nostre società in questo cambiamento. Quando dicevamo “cambieremo le cose in meglio”, come il commercio, hanno perso il lavoro. Se ora diciamo loro: “la transizione climatica è una cosa veramente buona perchè i vostri figli potranno respirare, ma sarete comunque voi a pagare il prezzo perchè saranno il vostro lavoro e la vostra vita a cambiare. Ma non la vita dei potenti, perchè loro vivono nei quartieri alti, non guidano mai un’auto e potranno continuare a prendere l’aereo per andare dall’altra parte del mondo”, non funzionerà ”.
(da agenzie)
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Novembre 7th, 2020 Riccardo Fucile
NON VEDEVANO L’ORA DI LIBERARSI DI TRUMP
La vittoria di Joe Biden e Kamala Harris alle presidenziali Usa era stata annunciata da poco e
già arrivavano, in particolare su Twitter, i messaggi di congratulazioni – e gli auspici – di molti leader internazionali. Eccone alcuni.
Sergio Mattarella , presidente della Repubblica, in un messaggio inviato direttamente a Joe Biden, scrive “Desidero esprimerLe, a nome della Repubblica italiana e mio personale, i più calorosi rallegramenti per la Sua elezione alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Il popolo americano ha affidato a Lei, a seguito di un confronto che ha visto una straordinaria partecipazione, il mandato di guidare gli Stati Uniti in un momento drammaticamente complesso per l’intero pianeta. La comunità internazionale ha bisogno del contributo statunitense, a lungo protagonista nel costruire le regole del multilateralismo, per affrontare una crisi senza precedenti che sta mettendo a repentaglio la salute, la vita e l’avvenire di milioni di persone”.
Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, afferma: “Siamo pronti a lavorare con il presidente eletto Joe Biden per rafforzare le relazioni transatlantiche. Gli Stati Uniti possono contare sull’Italia come un solido alleato e un partner strategico”.
La cancelliera Angela Merkel, commenta: “La nostra amicizia transatlantica è insostituibile se vogliamo superare le grandi sfide di questo tempo”.
Anche Emmanuel Macron, presidente francese, si congratula con Joe Biden per l’elezione a presidente degli Stati Uniti e lancia un invito: “Lavoriamo insieme”.
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen commenta : “L’Ue e gli Usa sono amici e alleati, i nostri cittadini condividono i legami più profondi. Non vedo l’ora di lavorare con il presidente eletto Biden”.
C’è poi il premier britannico, Boris Johnson, che dice: “Gli Usa sono il nostro più importante alleato e non vedo l’ora di lavorare insieme da vicino sulle nostre priorità comuni dal cambiamento climatico al commercio alla sicurezza”.
Le congratulazioni arrivano anche dal premier spagnolo, Pedro Sanchez: “Vi auguriamo buona fortuna e tutto il meglio – commenta -. Non vediamo l’ora di collaborare con voi per affrontare le sfide che ci attendono”.
(da “Huffingtonpost”)
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Novembre 5th, 2020 Riccardo Fucile
GLI EFFETTI SU BREXIT, CLIMA, IRAN E MULTILATERALISMO
Ieri, all’indomani dell’election day negli Usa, mentre Donald Trump iniziava a minacciare
ricorsi e sobillare le piazze, da Bruxelles è partita una batteria di coordinamento con le capitali dell’Unione.
L’ordine tassativo: non procedere in ordine sparso ma attendere i risultati definitivi prima di parlare.
E’ sfuggito solo il tweet del nazionalista sloveno Janez JanÅ¡a, premier del paese di Melania Trump, che si è affrettato a riconoscere la vittoria al presidente uscente.
Ora l’Unione aspetta i risultati definitivi, ma, da quanto raccontano auterovoli fonti europee, più di un calcolo è già stato fatto nelle cancellerie del vecchio continente.
Il primo è di ordine politico. Senza Trump alla Casa Bianca, sarebbero più soli i sovranisti europei, a cominciare dal ‘semi sconosciuto per il grande pubblico’ JanÅ¡a, per continuare con l’ungherese Viktor Orban, il polacco Jaroslaw Kaczynski, ma soprattutto Marine Le Pen a meno di due anni dalle presidenziali in Francia nel 2022. Tutte leadership che perderebbero un punto di riferimento internazionale come Trump, importante in un mondo globale e interconnesso.
E anche il britannico Boris Johnson si sentirebbe un po’ più solo, a capo di una Brexit nata nello stesso anno del trumpismo, il 2016, ma destinata a compiersi proprio quando Trump finisce il mandato.
Ormai è fatta, si ragiona in ambienti europei, ed è interesse di Londra arrivare ad un accordo con l’Ue entro fine anno per uscire definitivamente dall’Unione, indipendentemente da chi ci sarà alla Casa Bianca.
Senza Trump mancherà l’ombrello politico a tutta la pratica, non quello dei nuovi accordi commerciali con Washington.
Ma in tempi di tendenze sovraniste e nazionaliste che finora hanno attraversato i continenti, le coperture politiche internazionali sono importanti.
Trump mancherà anche a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni. E magari anche a Giuseppe Conte, che proprio da Trump incassò il sostegno finale e fondamentale per avviarsi ad essere confermato premier del governo M5s-Pd l’anno scorso, dopo il fallimento del suo primo esecutivo sostenuto da M5s e Lega.
L’assenza di Trump alla presidenza Usa potrebbe addirittura avvicinare M5s e Pd, suggerisce qualche osservatore politico, ma su questo serve la cabala.
Piuttosto, a livello europeo, appaiono chiari i dossier sui quali l’Ue potrà contare su una maggiore collaborazione da parte di Washington in caso di vittoria di Biden.
In primis, il clima: il candidato Democrat ha già annunciato di voler riportare gli Stati Uniti nel perimetro degli accordi di Parigi rinnegati da Trump.
E poi Iran: Barack Obama fece, Trump ha disfatto la tela di dialogo che ora, con Biden presidente, potrebbe essere ripresa togliendo l’Ue dall’imbarazzo di dover decidere se applicare sanzioni oppure no.
Con il presidente Democrat ci si aspetta una relazione più serena con Washington, senza i toni ultimativi di Trump, le minacce di dazi.
Soprattutto, è la riflessione in Eurogruppo, una presidenza Biden potrebbe garantire maggiori investimenti per una ripresa dell’economia Usa, un traino anche per l’Ue.
E si potrebbe contare su un maggiore dialogo sulla lotta alla pandemia, la riforma dell’Organizzazione mondiale della sanità , le nomine al vertice dell’Organizzazione mondiale del Commercio.
Ma: ci sono dei ‘ma’.
In Europa nessuno si illude: anche se alla Casa Bianca viene eletto il vice di Obama, non significa che si torna ai tempi di Obama. Impossibile: il mondo è cambiato. E già Obama era meno ‘europeo’ di Bill Clinton.
Fu Obama il primo a chiedere agli alleati europei maggiori contributi alla Nato, ha continuato l’aggressivo Trump, proseguirà anche ‘sleepy Joe’.
Dall’altro lato, ormai l’Europa ha intrapreso la strada per arrivare ad un’autonomia strategica. Punta, seppure con le sue lentezze fiosologiche, ad affermare una propria sovranità in materia digitale e industriale. Il ‘Make Europe strong again’, slogan del semestre tedesco di presidenza dell’Ue, rimarrà bussola anche quando la Germania terminerà il suo turno alla guida dell’Unione a fine anno.
Su certe cose, insomma, non si torna indietro. Nemmeno un cambio così drastico alla Casa Bianca, come potrebbe essere quello tra il ‘rumoroso’ Trump e il ‘mite’ Biden, riporterebbe indietro il treno della storia.
Per esempio, la diplomazia europea non si aspetta grandi cambiamenti a proposito dei rapporti con la Cina, che resta primo competitor globale con gli Usa.
Mentre la Russia resta un mistero, tutto da scoprire. Di certo, non è che, con Biden presidente, Washington approverebbe il progetto North Stream, il gasdotto dalla Russia alla Germania, finito nelle polemiche sulla scia del caso Navalny.
E non si scommette in alcun cambiamento sostanziale di approccio verso Israele, dopo la firma degli accordi di Abramo con la regìa degli Usa.
L’eventuale mancata riconferma di Trump alla Casa Bianca cambierebbe il ciclo politico mondiale, prosciugando una buona parte dell’acqua che in questi ultimi quattro anni ha alimentato i movimenti anti-europeisti, sovranisti, nazionalisti dell’ultra destra. Ma non a caso, per ora, è più l’eventuale assenza di Trump che l’eventuale presenza di Biden a ispirare previsioni.
Senza Trump presidente di un paese così influente come gli Stati Uniti, i sovranisti avrebbero un megafono fondamentale in meno. Ma in tempi di estreme disuguaglianze e di nuova crisi da pandemia potrebbero continuare a disporre di un terreno fertile per crescere, se anche Biden non troverà la chiave (economica, culturale) per spegnerli.
(da “Huffingtonpost”)
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