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CROLLO MORANDI, IL PROCURATORE COZZI: “LETTERA SUL ‘DEGRADO IMPRESSIONANTE DEL PONTE’ IGNORATA DAL MINISTERO SEI MESI PRIMA DELLA TRAGEDIA”

Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile

“SE FOSSERO STATI ASCOLTATI ALLARMI, IL PONTE NON CROLLAVA”… LE RESPONSABILITA’ DEL MINISTERO DELL’ALLORA GOVERNO M5S-LEGA

“Se si fossero ascoltati gli allarmi, se si fosse tenuto conto delle relazioni di esperti e tecnici, chissà come sarebbe andata. Sicuramente il Morandi non sarebbe crollato”.
E’ l’amara constatazione del procuratore capo di Genova Francesco Cozzi che arriva nella settimana in cui sono cominciati gli interrogatori delle nove persone che hanno chiesto di essere sentite dopo la chiusura delle indagini sul crollo del viadotto (14 agosto 2018, 43 vittime).
Tra gli allarmi inascoltati anche quello del professor Antonio Brencich, indagato nell’inchiesta. L’architetto il 29 febbraio 2018 mandò una mail a Salvatore Buonaccorso del Provveditorato alle opere pubbliche per Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta.
In quella mail, mandata a ridosso della riunione per approvare il progetto di retrofitting sul Morandi, Brencich sottolineava come emergesse “uno stato di degrado del ponte impressionante, addirittura con la rottura di alcuni dei cavi metallici degli stralli… uno stato generale di degrado del calcestruzzo e delle armature dell’impalcato, un pessimo stato di conservazione e una incredibile pessima prestazione del manufatto. Quello che emerge dalla lettura dei documenti progettuali è la discrasia estrema tra l’attenzione nel controllo e nella manutenzione del ponte posta dal gestore e l’incredibile pessima prestazione di una struttura con soli 50 anni di servizio”.
Quella stessa mail venne poi inoltrata da Buonaccorso al provveditore Roberto Ferrazza e altri dipendenti del provveditorato. Ma, come emerso dalle indagini, quei rilievi non vennero presi in considerazione e il progetto di retrofitting per le pila 9 (quella crollata) e 10, previsto per ottobre 2018, non si concretizzò perché il crollo avvenne prima.
Se fossero stati considerati, hanno scritto i pm Massimo Terrile e Walter Cotugno, “il ponte andava interdetto al traffico”.
I provveditorati alle opere pubbliche sono organi di amministrazione del Ministero dei lavori pubblici decentrati nelle regioni. I provveditori alle opere pubbliche rispondono al Ministro per i lavori pubblici di tutto quanto si attiene alle attribuzioni loro assegnate e sono vincolati all’osservanza delle direttive e delle disposizioni impartite dal Ministro. Nell’esercizio delle loro attribuzioni i provveditori alle opere pubbliche hanno la rappresentanza giuridica del Ministero dei lavori pubblici di fronte ai terzi ed in giudizio dinanzi a qualsiasi giurisdizione ordinaria o speciale.
(da agenzie)

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“NIENTE PROCESSO PER CAROLA RACKETE, AVEVA IL DOVERE DI PORTARE I MIGRANTI IN PORTO”: LA RICHIESTA DEI PM DI AGRIGENTO FA CROLLARE MESI DI BALLE SOVRANISTE

Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile

“NESSUNA RESISTENZA O VIOLENZA CONTRO UNA NAVE DA GUERRA”… FINALMENTE GIUSTIZIA PER CHI HA AVUTO IL CORAGGIO DI FAR CROLLARE DECRETI LIBERTICIDI… E ORA SALVINI DOVRA’ RISPONDERE DI DIFFAMAZIONE

Quasi due anni dopo quella notte ad alta tensione del 29 giugno 2019 a Lampedusa, la Procura di Agrigento chiede l’archiviazione per la comandante della Sea Watch 3 ,che entrò di forza nel porto dell’isola “toccando” la motovedetta della guardia di finanza che vigilava per impedire l’ingresso alla nave della Ong tedesca.
La Procura di Agrigento dopo aver chiesto una proroga delle indagini, ha deciso di adeguarsi alla pronuncia della Cassazione che nel 2020 aveva dato ragione alla Rackete.
Dunque la comandante agì per stato di necessità, aveva il “dovere di portare i migranti in un porto sicuro” non potendo più garantire la sicurezza a bordo delle 42 persone soccorse 17 giorni prima che l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini non voleva far sbarcare.
Dopo aver già disobbedito al decreto di Salvini che vietava alla nave l’ingresso in acque italiane, Carola arrivò davanti al porto di Lampedusa invocando lo stato di necessità e ribadendo la richiesta di sbarco immediato.
Poi, non ottenendo alcuna risposta sul ventilato impegno di alcuni Paesi europei alla ricollocazione dei migranti e con le motovedette schierate davanti al porto, all’1.50 di notte accese i motori e decise giustamente di entrare.
Nella manovra stretta tocco’ l’imbarcazione della Finanza che non doveva essere lì, ma semmai a scortare la nave all’attracco.
Fu il più grosso braccio di ferro tra Matteo Salvini e le Ong nell’estate dei decreti sicurezza-bis finito con i migranti portati a terra, in un porto sicuro, e con la 31enne capitana scortata a terra nella notte dai finanzieri e poi finita agli arresti domiciliari con l’accusa di aver disobbedito agli ordini di una nave da guerra oltre che favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Un arresto in flagranza, quello della Rackete, annullato qualche giorno dopo dal giudice delle indagini preliminari Alessandra Vella che ritenne prioritario il dovere della comandante di portare a terra le persone che aveva soccorso, un’interpretazione nei mesi successiva confermata dalla Corte di Cassazione con una sentenza che ha fatto giuriprudenza affermando che un soccorso non può ritenersi concluso fino a quando le persone salvate non sono condotte a terra, che una nave non può definirsi un porto sicuro e che il dovere prioritario di un comandante e dunque anche quello della Rackete era quello di portare in salvo i migranti.
“Carola Rackete – scrisse la Cassazione – agì correttamente seguendo le disposizioni sul salvataggio in mare perché l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”.
La sentenza della Cassazione fu il primo colpo di piccone ai decreti sicurezza dei quali fu sancita l’illegittimità nella parte che conferiva al ministero dell’Interno la possibilità di vietare l’ingresso in acque territoriali italiane di navi di soccorso, in violazione delle convenzioni internazionali sul soccorso in mare.
Concetti poi più volte rivalutati nelle successive inchieste che hanno visto negli anni successivi finire sul banco degli imputati per sequestro di persona Matteo Salvini.
Tre anni dopo il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, l’aggiunto Salvatore Vella e il sostituto Gloria Andreoli chiedono al gip di archiviare il caso.
Quella dell’estate 2019 fu l’ultima da comandante di una nave umanitaria per la Rackete.
L’attivista tedesca, in attesa della conclusione delle indagini preliminari, ha preferito impegnarsi in altri campi, a cominciare dall’ambiente. Ma non ha rinunciato alla sua personale battaglia contro Matteo Salvini, trascinandolo in tribunale e Salvini è stato rinviato a giudizio a Milano per diffamazione
(da La Repubblica)

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NEW YORK, INDAGINE PENALE SULLA TRUMP ORGANISATION: IPOTESI DI EVASIONE FISCALE E FRODE BANCARIA

Maggio 19th, 2021 Riccardo Fucile

L’INCHIESTA DA NATURA CIVILE PASSA A QUELLA PENALE

L’indagine è stata aperta a causa delle accuse dell’ex avvocato del presidente, Michael Cohen, che ha testimoniato al Congresso nel 2019, affermando che Trump ha deliberatamente fornito valutazioni errate del suo patrimonio in vari documenti ufficiali, al fine di ottenere agevolazioni fiscali e condizioni di credito vantaggiose. –
E così ora le indagini della Procura di New York sulla Trump Organization non sono più esclusivamente di natura civile, ma anche penale, ha annunciato il procuratore dello Stato Letitia James, attraverso il portavoce Fabien Levy. Levy ha aggiunto che l’indagine penale è condotta “insieme al procuratore di Manhattan” Cyrus Vance.
Vance, un democratico, nel 2018 aveva già avviato un’indagine inizialmente incentrata sui pagamenti effettuati, prima delle elezioni presidenziali del 2016, a due presunte amanti di Trump. L’indagine si è ora estesa alle ipotesi di evasione fiscale e frode bancaria. Trump, che ha lasciato la Casa Bianca a gennaio, nega ogni illecito
(da agenzie)

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FONDI LEGA: IL TESORIERE CENTEMERO, I COMMERCIALISTI IMPUTATI E QUEL RAPPORTO BASATO SU “LEGAMI LECITI E ILLECITI”

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

IL LIVELLO POLITICO NELL’INDAGINE MILANESE

“Controllori” alcuni anche “coperti”, una “comune militanza politica”, naturalmente sotto l’ombrello del nuovo “leader incontrastato” Matteo Salvini, e ancora “rapporti personali strettissimi (…) in parte occultati e dissimulati”.
È questa la cornice dentro la quale si consuma “l’intero progetto criminoso” che riguarda l’acquisto di un capannone da parte della fondazione regionale Lombardia Film Commission.
I passaggi eloquenti e che portano nel campo della stretta politica leghista l’affare Lfc condotto attraverso un “accordo collusivo” coordinato dagli ex contabili del Carroccio, Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, sono contenuti nelle 43 pagine di “note all’udienza” depositate dal procuratore aggiunto Eugenio Fusco e dal sostituto procuratore Stefano Civardi nel processo con rito abbreviato che vede imputati per peculato e turbata libertà nella scelta del contraente gli stessi Di Rubba e Manzoni.
E se pur il documento inevitabilmente è incentrato sulla ricostruzione del caso Lfc, alcuni passaggi fanno intendere chiaramente che l’inchiesta milanese sui presunti fondi neri della Lega prosegue a ritmo serrato e in modo parallelo ai processi in corso.
È, secondo la Procura, lo stesso Manzoni a illustrare indirettamente il nuovo scenario, spiegando “fattualmente la sua ascesa nel mondo del partito politico Lega sotto l’egida del nuovo indiscusso leader eletto segretario federale nel dicembre del 2013”.
E ancora: “L’asse, per sé penalmente irrilevante ai fini di questa porzione di indagine, è ben ricostruito dallo stesso Manzoni: Matteo Salvini posiziona Giulio Centemero nella delicata carica di tesoriere del partito e Centemero si avvale della collaborazione dello stimato amico e collega Manzoni, che a sua volta gli introduce Di Rubba”.
Così “i due giovani commercialisti bergamaschi costituiranno i cardini su cui ristrutturare la gestione economica della Lega”. Gestione già illustrata dal commercialista Michele Scillieri nei suoi lunghi verbali davanti alla Procura e che conduce anche verso flussi di denaro collegati al Lussemburgo.
Spiega Scillieri: “Quando lavoravo in Bellerio nel 2015 (…) avevo avuto modo di apprendere alcune circostanze da Di Rubba e Manzoni: in cassa della Lega c’erano circa dai 6 agli 8 milioni che sarebbero dovuti servire in parte per la riduzione del personale e per mettere ordine nella gestione delle diverse società (l’immobiliare, la radio, la finanziaria etc.). Nel dicembre 2018 (…) ebbi modo di ritornare sull’argomento con Di Rubba. Seven Fiduciaria era di un commercialista di Clusone Sergio Balduzzi dal quale avevano lavorato Di Rubba e Manzoni fino al 2014 e al quale avevano portato via molti clienti. Io chiesi a Di Rubba se c’era un collegamento fra le sette società possedute dalla Seven Fiduciaria e i sette milioni che erano all’estero in Lussemburgo. Di Rubba mi fece il gesto dei rivoli e io intuii che ogni società aveva in dote 1 milione. Le sette società erano gestite da loro e da Centemero (almeno una da Centemero)”.
Nel documento di cui qui si tratta vi è un passaggio ad oggi inedito e che spiega il modo in cui la Lega di Salvini ha tentato di sottrarre il denaro del partito ai sequestri ottenuti dalla procura di Genova che indaga dal 2018 sulla scomparsa dei 49 milioni. Spiega sempre Scillieri: “Incontrai Manzoni alla Camera dei deputati. Ripercorremmo assieme il tentativo di vendere l’immobile di via Bellerio, la riduzione del personale, la esternalizzazione tramite il loro studio della gestione contabile e amministrativa, la creazione delle associazioni regionali e provinciali per impedire l’aggressione del patrimonio della Lega”.
Si tratta delle cosiddette “casse esterne” sulle quali far girare il denaro e blindarlo da eventuali aggressioni da parte dei magistrati. Un dato già emerso nei verbali di Marco Ghilardi, ex direttore della filiale Ubi di Seriate sulla quale i leghisti oggi imputati movimenteranno molto denaro e tenteranno, senza riuscirci, di aprire conti correnti dedicati proprio alle varie ramificazioni locali del Carroccio.
Il rapporto a quattro, tra Centemero, Di Rubba, Manzoni, Scillieri, è definito di “grande intimità” e “validato sul campo” attraverso “la molteplicità di legami, leciti e illeciti”.
La lista è lunga: e va “dal “servizio di domiciliazione per la nuova Lega, agli studi sulla vendita dell’immobile di via Bellerio, al sistematico ritorno economico a Di Rubba e Manzoni degli emolumenti relativi agli incarichi che” i due “procuravano a Scillieri, nella Lega e in quella fitta selva di sottogoverno in cui rientrava Lfc”.
E se Centemero non risulta indagato qua, la sua presenza riempie diversi atti d’indagine. In particolare alcune chat acquisite dalla Procura di Genova e che riguardano il progetto di mettere in piedi uno studio di commercialisti con Scillieri e il duo Di Rubba-Manzoni.
Scrive il tesoriere della Lega. “Arrotondiamo a 30 x 6 anni. In quello spazio suppongo ci stia anche il coinquilino di Scillieri”. Giorni dopo Di Rubba scrive a Centemero: “Scillieri l’ho sentito venerdì ed è interessato a dividere con noi l’ufficio, sull’acquisto o affitto mi fa sapere a breve”. Centemero. “Great”. Alla fine il progetto non andrà in porto, ma, scrive la Procura, “Scillieri non spiega esaustivamente perché non abbia dato seguito al progetto di studio professionale a quattro”.
Insomma, quello che emerge da questa “fabbrica di carte” sul caso Lfc è che “nulla è come sembra”. Par di capire quindi che l’accusa di peculato rappresenti solo la punta dell’iceberg.
E del resto, scrive la Procura, l’intera vicenda Lfc si è snodata a partire dal 2016 “attraverso un’accorta apparecchiatura di mezzi, istanze, atti pubblici, fatture, contratti, consulenze, perizie”. Il tutto per uno scopo: “Impossessarsi di danaro pubblico, in ragione di qualche centinaia di migliaia di euro (…) inteso come ricompensa dovuta di più complessi e rischiosi servizi”. Quali che siano questi altri “rischiosi servizi” e forniti a chi, è una domanda alla quale vuole rispondere la Procura con le prossime indagini.
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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STUPRO DI GRUPPO SU DUE MINORENNI AD ALASSIO, CINQUE INDAGATI, HANNO GIRATO PURE UN VIDEO

Maggio 18th, 2021 Riccardo Fucile

SEQUESTRATI I TELEFONINI, IN CORSO INDAGINI DEI CARABINIERI… UN GIORNO QUALCUNO CI SPIEGHERA’ PERCHE’ I NOMI DEGLI INDAGATI (4 SU 5 SONO MAGGIORENNI) NON VENGONO DIFFUSI: SE FOSSERO STRANIERI SI USEREBBE LO STESSO “RIGUARDO”?

Ancora uno stupro, ancora una violenza di gruppo. Vittime due ragazzine minorenni, mentre cinque ragazzi, tra cui un minore, sono accusati della violenza e di aver girato un video di quello che hanno fatto per farlo circolare sui social.
I fatti si sarebbero verificati in un garage di Alassio, in provincia di Savona. I cinque, età fra i 17 ed i 24 anni, sono finora indagati per i reati di violenza sessuale di gruppo e adescamento di minori, ma se venisse accertato che hanno girato il video e che questo è finito sui social, rischiano anche una incriminazione per revenge porn e detenzione e diffusione di materiale pedopornografico.
Gli accertamenti sui cellulari dei ragazzi, che sono sequestrati dai carabinieri su ordine dei magistrati della Procura di Savona e della Procura presso il Tribunale dei Minori, verranno affidate ad un perito in una udienza apposita venerdì prossimo.
Non è stato facile raccontare quanto avvenuto per i genitori delle due ragazzine che hanno denunciato ai carabinieri quanto riferito loro dalle figlie. E non è stato facile per le due ragazzine, ma alla fine i fatti sono saltati fuori.
La violenza si sarebbe verificata diverse settimane fa, in un garage di pertinenza di una abitazione di Alassio. Appena le ragazzine hanno avuto la forza di raccontare tutto ai genitori, questi hanno immediatamente presentato la denuncia.
Subito sono partite le indagini effettuate con grande delicatezza e riservatezza dai militari dell’Arma, che, conoscendo bene il territorio e gli abitanti, sono stati punto di riferimento naturale per i genitori delle vittime.
Le indagini si sono svolte rapidamente ed hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati dei giovani, quattro di età che varia dai 23 ai 24 anni indagati dalla Procura del Tribunale di Savona e un quinto – che di anni ne ha 17 – dal Tribunale dei Minori. Sono tutti accusati di reati molto gravi.
“E’ stata fissata davanti alla Procura della Repubblica di Savona, dottoressa Venturi, un’udienza per accertamenti non ripetibili il 21 maggio”, ha riferito all’Ansa Erik Bodda, l’avvocato di uno degli indagati. “Sarà nominato un perito che dovrà esaminare alcuni supporti informatici e telefoni cellulari sequestrati, ma al momento nulla di più, le indagini sono ancora in corso. Non ci sono state misure cautelari e il mio assistito – ha aggiunto – è a disposizione dell’autorità giudiziaria”.
(da agenzie)

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LA TESTIMONIANZA DEL PROFESSORE DI CIRO GRILLO: “UN BULLETTO CHE SI SENTIVA PROTETTO”

Maggio 17th, 2021 Riccardo Fucile

SULLE ACCUSE DI STUPRO: “DA UN GRUPPETTO COME QUELLO NON DICO CHE TE LO ASPETTAVI, MA PENSI POTREBBE SUCCEDERE”

“L’impressione è che sentisse il peso non del comico ma della persona che si affaccia sulla politica. Tutti lo chiamavano Grillo, Grillo, cioè è un cognome pesante”. A Non è l’Arena su La7 si è parlato ancora di Ciro Grillo e dell’inchiesta della Procura di Tempio Pausania per violenza sessuale di gruppo in cui sono indagati quattro giovani, tra cui il figlio del leader dl Movimento 5 Stelle.
Nel corso della trasmissione è stata mandata in onda la testimonianza di un insegnante di Grillo jr. “Tra le medie e superiori è cambiato tantissimo, lui si era un po’ fissato sul fisico, aveva trovato questa MMA (un’arte marziale, ndr), poi lì diventa lavaggio del cervello. O hai questa violenza da tirar fuori, sennò… Magari ti fa sentire troppo superuomo” racconta il prof, che definisce “un bulletto” il suo ex alunno.
Quando ha sentito la vicenda, “ho pensato che potesse essere uno di quelli coinvolti in situazioni del genere. Soprattutto alle superiori magari vedi che trasgrediscono le regole. Secondo me non avevano intenzione di abusare – prosegue l’insegnante -, probabilmente hanno approfittato della situazione senza considerare le conseguenze vere”.
“Questi ragazzi qua hanno tutti dentro qualcosa, sono generazioni deboli. Nel caso poi l’atteggiamento di bullismo, da bulletto mascherava qualcosa. Compagnie sbagliate, atteggiamenti sbagliati e anche l’idea di essere non immune ma protetto tra virgolette uno magari può anche esagerare. Lo stupro? Da un gruppetto come quello non dico che te lo aspettavi, ma pensi potrebbe succedere. Il suo gruppetto di amici era quello che non vengono beccati, erano un pochino più furbi, più sgamati. Però non si pensa mai che possano arrivare a questo, però li vedi, un atteggiamento da ragazzini. O lo interrompi e maturi o se rimani infantile poi può degenerare”.
Ad accusare Ciro Grillo e compagni, nel luglio del 2019, una studentessa di 19 anni in vacanza in Costa Smeralda che a distanza di nove giorni dai fatti ha raccontato ai carabinieri quanto avvenuto nella villa dove lei e la sua amica era andate in compagnia dei quattro ragazzi.
(da Fanpage)

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TRUFFA DA 7 MILIONI DI EURO AL PARLAMENTO EUROPEO: MARINE LE PEN NEI GUAI A UN ANNO DALLE ELEZIONI

Maggio 16th, 2021 Riccardo Fucile

LE JOURNAL DU DIMANCHE PUBBLICA IL RAPPORTO FINALE DELL’UFFICO EUROPEO DELLA LOTTA ALLA CORRUZIONE

A meno di un anno dalle prossime elezioni presidenziali, lo spettro degli impieghi fittizi al Parlamento europeo del Rassemblement National torna a togliere il sonno a Marine Le Pen.
A far riemergere l’inchiesta lanciata nel 2015 ci ha pensato oggi il settimanale Le Journal du Dimanche, che ha pubblicato in esclusiva il rapporto finale dell’Ufficio della lotta alla corruzione e alle infrazioni finanziarie e fiscali (Oclciff).
Secondo gli inquirenti, il partito di estrema destra francese avrebbe messo in piedi un sistema “fraudolento di sottrazione di fondi europei a suo profitto”.
In altre parole, i fondi concessi da Bruxelles agli europarlamentari per stipendiare i propri assistenti sarebbero stati impiegati dal partito di estrema destra per coprire funzioni nazionali.
Un meccanismo lanciato in occasione delle elezioni europee del 2014, quando la formazione si chiamava ancora Front National ed era diretta da Jean-Marie Le Pen, che avrebbe così lasciato in eredità alla figlia un sistema ben rodato, diventato nel corso degli anni la norma da seguire per risparmiare sugli stipendi dei collaboratori.
L’attuale presidente del partito viene descritta dal Journal du Dimanche come “l’istigatrice e la beneficiaria di questo sistema”, grazie anche alla complicità del collaboratore belga Charles Van Houtte.
Le Pen avrebbe consentito agli europarlamentari di scegliere solamente un assistente, mentre gli altri sarebbero stati assunti direttamente da lei con compiti da svolgere per il partito, lontano dall’emiciclo europeo.
Secondo il rapporto, Van Houtte “faceva riempire delle deleghe ai deputati del Front National che gli permettevano così di avere accesso ai dati amministrativi e finanziari delle buste paga”. Il fedelissimo della Le Pen si è difeso rigettando tutta la responsabilità sulle spalle della sua leader: “Conoscete Marine Le Pen, con lei tutto è centralizzato”, ha detto ai giudici.
Adesso secondo il rapporto ci sono 17 dirigenti del Rassemblement National che rischiano di finire alla sbarra, tra cui Marine e Jean-Marie Le Pen, per una truffa stimata a 6,8 milioni di euro, contro la quale l’Europarlamento si costituito parte civile.
L’inchiesta è stata portata avanti negli anni nonostante le difficoltà, con i legali del Rassemblement National, che hanno presentato un’ondata di ricorsi nel tentativo di non far scoppiare un nuovo scandalo a ridosso del voto del prossimo anno.
Una strategia riuscita, visto che nel caso in cui il giudice dovesse rinviare a giudizio Le Pen è da escludere l’inizio del processo prima della primavera 2022.
(da agenzie)

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DA “IO APRO” A “TI CHIUDIAMO”: REVOCATA LA LICENZA A MOMI, LEADER DEI RISTORATORI RIBELLI

Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile

DOPO 20 MULTE E 7 SIGILLI (ROTTI DAL RISTORATORE) FINALMENTE IL PROVVEDIMENTO PER “MANIFESTO DISPREGIO DELLE REGOLE DI SALUTE PUBBLICA”

Doveva essere “Io apro”, è finita con “Io chiudo”. O, meglio, ti chiudiamo.
E’ quello che è accaduto a Momi El Hawi, ristoratore di Firenze e volto noto del movimento “Io apro” che nei mesi scorsi ha attirato decine di migliaia di adesioni e che ha organizzato centinaia di manifestazioni in tutta Italia, la più nota quella del marzo scorso davanti a Montecitorio, con tanto di cariche alla polizia e lanci di bottiglie contro le forze dell’ordine.
Oggi uno dei suoi protagonisti principali, sempre presente nelle piazze più calde, microfono alla mano, per aizzare il popolo dei ristoratori a ribellarsi contro il governo per le chiusure, si è visto arrivare quella che è una sorta di revoca della licenza. Tradotto?
Locale chiuso definitivamente e attività sospesa. Una misura estrema, quella presa dal Comune di Firenze d’intesa con la Prefettura del capoluogo toscano, che arriva dopo una lunga serie di violazioni (ben 20 le multe) e anche la rottura volontaria e ripetuta dei sigilli che per ben sette volte le forze dell’ordine avevano posto al locale negli scorsi mesi in seguit alle ripetute inadempienze da parte del titolare nel rispetto delle norme anti-Covid.
Insomma, un provvedimento duro ma inevitabile con cui Palazzo Vecchio ha deciso di “procedere con gli atti necessari per la chiusura definitiva dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande nei confronti di un esercente del territorio fiorentino”.
A motivarlo quello che nella nota lo stesso comune definisce una “chiara manifestazione del dispregio delle regole di condotta per la salvaguardia della salute e della sicurezza pubblica”.
“Momi adesso ha dieci giorni di tempo per presentare le priorie contro deduzioni” si legge sull’edizione online de “La Nazione”, “e successivamente entro trenta giorni Palazzo Vecchio potrà emanare il provvedimento.
Il comunicato del Comune di Firenze spiega che si è arrivati a questo passo perché «le violazioni contestate hanno riguardato la reiterata inosservanza dell’obbligo di rimanere chiuso e la rimozione dei sigilli apposti al locale, chiara manifestazione del dispregio delle regole di condotta a presidio della salute e della sicurezza pubblica e dei criteri di leale concorrenza che dovrebbero orientare il comportamento non solo di chi opera in un delicato settore del commercio pubblico, ma di qualunque cittadino”.
(da agenzie)

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CASO GREGORETTI: RIUSCIRA’ DOMANI LA PROCURA DI CATANIA A SALVARE SALVINI DAL GIUSTO PROCESSO? CI HA PROVATO IN TUTTI I MODI

Maggio 13th, 2021 Riccardo Fucile

TRE LE IPOTESI: RINVIO A GIUDIZIO, NON LUOGO A PROCEDERE O ULTERIORE FASE ISTRUTTORIA

E’ attesa per domani la decisione dell’udienza preliminare a Catania sul caso Gregoretti. Il Gup Nunzio Sarpietro, si ritirerà in camera di consiglio e poi dovrebbe leggere, nell’aula bunker di Bicocca, la sua decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio per sequestro di persona per l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini.
I fatti si riferiscono ai ritardi nello sbarco di 131 migranti dalla nave della Guardia costiera italiana nel porto di Augusta. Era il luglio del 2019.
Tre le ipotesi che si potrebbero delineare domani: un decreto di rinvio a giudizio, con la fissazione della prima udienza dell’eventuale processo, una sentenza di non luogo a procedere o un’ordinanza che dispone un’ulteriore fase istruttoria.
Il tribunale dei ministri di Catania aveva chiesto l’autorizzazione a procedere per sequestro di persona, mentre la Procura si è sempre schierata con le tesi della difesa e ha chiesto il non luogo a procedere. Tutti ricorderanno le prese di posizione del procuratore capo Zuccaro a difesa delle tesi “sovraniste”. Meglio stendere un velo pietoso. Vediamo se il Gup avrà la forza giuridica (chiamiamola così) di contraddire la Procura. A chi obietta che in questo caso anche altri ministri e il premier erano complici delle scelte di Salvini rispondiamo che per quanto ci riguarda possono andare pure tutti sotto processo, perchè il reato esiste. E la correità non esclude il processo.

(da agenzie)

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