Marzo 21st, 2021 Riccardo Fucile
L’IDEA DI LETTA: DUE DONNE CAPIGRUPPO… LE CORRENTI SBRAITANO, MARCUCCI E DELRIO NON MOLLANO LA POLTRONA
Si sbriciola l’unanimità con la quale l’Assemblea nazionale del Partito democratico ha issato Enrico Letta alla segreteria del Nazareno appena un mese fa.
Sui capigruppo il braccio di ferro al Senato sta scuotendo il partito, nella neonata segreteria fresca di nomina è già dura polemica.
“La guida del Pd è tutta al maschile. Ho detto domenica che non va, lo ripeto oggi. Ai gruppi Camera e Senato suggerisco che dopo tre anni di guida maschile, gli ultimi due siano a guida femminile. I gruppi sono autonomi, a loro di scegliere con chi”, ha detto oggi il segretario in un’intervista al Tirreno.
Un uomo vicino al segretario spiega che “sarebbe un gesto di buona consuetudine che i capigruppo mettessero a disposizione il proprio ruolo quando cambia la guida del partito”. Così è stato fatto per esempio a Bruxelles, dove il capogruppo uscente Brando Benifei si è dimesso per poi essere rieletto dai suoi colleghi.
Il sospetto è che quello di Letta sia un preteso per liberarsi dei una figura, quella di Andrea Marcucci, considerata troppo ingombrante e divisiva dal nuovo corso di Letta. “Mi sfugge il nome della donna Pd eletta capogruppo al Parlamento europeo al posto di Benifei”, il tweet al vetriolo di Salvatore Margiotta, collega di Marcucci a Palazzo Madama.
Sono le correnti che fanno sentire tutta la propria inerzia e tutto il proprio peso. Perchè il Senato è una roccaforte di Base Riformista, l’area che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti, che conta 22 senatori su 35 e di cui Marcucci è uno dei leader.
“Qui bisogna fare politica, che motivazione è quella di fare una foto?”, chiede polemico uno degli uomini più vicini al capogruppo. Il riferimento è al passaggio dell’intervista nella quale Letta spiega che “non possiamo fare una foto di gruppo del vertice del partito e presentare volti di soli maschi. In Europa sono cose che può fare Viktor Orbà¡n in Ungheria o Mateusz Morawiecki in Polonia”.
Non c’è dubbio che l’entrata sia stata a gamba tesa, fonti dem parlano di “sconcerto e malumore”. I più maliziosi fanno notare che sia stata rilasciata al Tirreno e pubblicata anche sulla Gazzetta di Reggio Emilia, due quotidiani locali molto letti proprio nelle regioni del toscano Marcucci e dell’emiliano Graziano Delrio, capo dei deputati.
Un intervento “sgraziato”, lo definisce un parlamentare, anche perchè Letta “con un eccesso di paternalismo” spiega di avere le idee chiare su cosa i senatori debbano fare e su come vada affrontata quella che è a tutti gli effetti una decisione del suo nuovo leader: “Suggerisco che votino e scelgano senza drammi. Non le indico io le capogruppo, le scelgano”.
Poi sottolinea il mandato larghissimo ottenuto all’ultima assemblea: “Tutti mi hanno votato, quindi non c’è maggioranza e minoranza”. Un modo per sgombrare il campo dagli equilibri correntizi con i quali dovrebbe essere gestita la transizione, o piuttosto la permanenza degli attuali capigruppo.
A microfoni accesi prevale la prudenza nel cercare di evitare uno scontro palese. Perchè martedì e mercoledì si riuniranno i gruppo proprio per discutere sul punto, e Base Riformista al momento si compatta intorno a Marcucci.
Il capogruppo, un saldo e storico rapporto di amicizia con Matteo Renzi, continua a esercitare la sua influenza di pontiere con Italia viva. A lui viene attribuita la paziente tela che oggi ha portato al ritorno di Eugenio Comincini nel gruppo del Pd, a lui si attribuiscono contatti avviati con altri due renziani in bilico. Una prova di forza per blindarsi politicamente.
Ma Letta sembra tirare dritto per la sua strada, e il rischio di uno scontro è tutt’altro che improbabile. E c’è già chi avverte: “Il segretario sa che la nostra autonomia è garantita e le elezioni dei due nuovi presidenti avverranno a scrutinio segreto”.
Lo dice anche Graziano Delrio, con il solito garbo cui ha abituato: “Condivido che dobbiamo essere all’avanguardia sulla parità di genere, e che questa sfida sia tanto più importante oggi, alla luce di decisioni prese anche in questi giorni che confermano nella politica una preponderanza di ruoli maschili”. Per poi aggiungere: “Condivido anche che, in ogni caso, l’autonomia dei gruppi parlamentari vada rispettata”. La partita, anche a Montecitorio, è tutta da giocare.
A rasserenare gli animi non contribuisce lo scontro a distanza tra due dei membri della nuova segreteria. A In mezz’ora in più esordiscono i due vicesegretari. Giuseppe Provenzano e Irene Tinagli si dicono entrambi favorevoli alla proposta di Letta sui gruppi.
Quest’ultima nella prima intervista a un quotidiano concessa a La Stampa aggiunge alcune osservazioni sullo stato del partito negli ultimi anni. Stefano Vaccari, confermato quale responsabile dell’organizzazione dopo gli anni trascorsi nello stesso ruolo con Nicola Zingaretti, non la prende bene: “Cara Tinagli – twitta durissimo – forse è il caso che prima di parlare sullo stato del partito alzi il telefono e ti informi su ciò che è stato fatto in questi 2 anni anche per rispetto dei nostri dirigenti e militanti che sul territorio lo hanno rimesso in piedi. Non partiamo da zero oggi”. Si levano voci in difesa di Tinagli, si apre un’altra crepa nell’unità sbandierata appena una settimana fa.
Impazza intanto il totonomi nel caso il blitz del segretario abbia successo. Al Senato il nome più quotato è quello della già ministra Valeria Fedeli, ma qualche chances la hanno anche Roberta Pinotti, volto autorevole della franceschiniana AreaDem e Anna Rossomando, fresca di nomina in segreteria, che secondo i bene informati sarebbe la scelta di Letta.
A Montecitorio la situazione è estremamente liquida, ma i nomi più papabili sono quelli di Debora Serracchiani e Paola De Micheli.
A sera un parlamentare di certo non ostile alla nuova segreteria commenta: “Comunque vada, Enrico così ha diviso il partito, in un momento in cui restare uniti è fondamentale, l’obiettivo forse poteva essere raggiunto con una gestione diversa. E questo è un dato di fatto”.
Più che il tanto amato cacciavite, per questo ritorno alla politica italiana Letta sembra aver preferito la sciabola.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 21st, 2021 Riccardo Fucile
CHAT INFUOCATE: “E ORA CHE SI FA?”,,, IPOTESI DE MICHELI O SERRACCHIANI ALLA CAMERA, AL SENATO SI PARLA DI FEDELI
L’intervista di Enrico Letta è esplosa come una bomba nelle chat dei parlamentari Pd sin da questa mattina. “Hai visto? E ora, che si fa?”, è la domanda che corre tra deputati e senatori dem spiazzati dal blitz del segretario.
Letta oggi, nella sua prima intervista ad un quotidiano, dice che i due capigruppo di Camera e Senato dovranno essere donne. Lo dice al Tirreno, che è lo storico quotidiano della sua regione ma – si fa notare – che è anche quella di Andrea Marcucci.
E l’intervista esce anche in un altro quotidiano del gruppo, la Gazzetta di Reggio Emilia: a casa di Graziano Delrio, insomma.
L’ipotesi di un cambio era nell’aria da giorni. Ora le indiscrezioni sono diventate una richiesta esplicita di Letta. E i gruppi – le assemblee sono previste martedì – saranno chiamati ad esprimersi su una richiesta che suona un po’ come un atto di fiducia verso il nuovo segretario Pd.
“Certo, è un’entrata a gamba tesa”, dice un deputato dem, “ci ha spiazzato tutti. Da Parigi è tornato Enrico ‘Matteo’ Letta, è tornato un rottamatore…”.
La presa di posizione del segretario va a scardinare un sistema di equilibri tra correnti articolato tra presidenti e vice nei gruppi. E non è stata affatto presa bene.
A palazzo Madama c’è molta irritazione, a quanto si riferisce. I senatori più vicini ad Andrea Marcucci reagiscono a caldo con stizza, si dicono pronti a ‘sfidare’ il segretario e tentati di andare alla conta: “Vediamo, non è detto che Andrea non venga rieletto… e poi se il problema è la foto per la parità di genere, ma di che parliamo?”.
Anche se il ragionamento tra i senatori dem è che difficilmente si andrà a uno scontro: “Non sappiamo cosa intende fare Marcucci, lui di certo ha i numeri ma arroccarsi e per di più sulla parità di genere non avrebbe senso”.
Il riferimento del senatore dem sulla ‘foto’ è nel passaggio dell’intervista di Letta quando dice: “Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile nel nostro partito: tre ministri sono uomini, io sono un uomo. Penso che per forza di cose due capogruppo debbano essere due donne. Non possiamo fare una foto di gruppo del vertice del partito e presentare volti di soli maschi. In Europa sono cose che può fare Viktor OrbàŸn in Ungheria o Mateusz Morawiecki in Polonia”.
Il segretario sottolinea che per Delrio e Marucci “non è una bocciatura. Sono fra le figure di maggiore rilievo che abbiamo, hanno lavorato benissimo e potranno tornare utilissimi in altri ruoli. Siamo intorno alla metà della legislatura ed è giusto lasciare spazio a due donne”.
Quanto alla scelta, sarà affidata all’autonomia dei gruppi: “Suggerisco che votino e scelgano senza drammi. Non le indico io le capogruppo, le scelgano. Tutti mi hanno votato, quindi non c’è maggioranza e minoranza”.
Dice Cecilia D’Elia: ci sono “molte donne capaci e competenti. Spetta ora ai Gruppi decidere il nome in piena autonomia, oltre ogni logica legata alle correnti”. Eppure tra i parlamentari si ragiona invece su “una scelta complessiva”, ovvero che tenga conto degli equilibri interni pesando i ruoli a Camera e Senato.
A Montecitorio il gruppo è articolato tra varie anime dem e le possibilità sono diverse da Paola De Micheli a Debora Serracchiani fino a Alessia Morani e Marianna Madia.
Al Senato le cose sono più complicate anche per la presenza corposa di parlamentari di Base Riformista. Nel caso di un cambio, la senatrice di area più riconoscibile sarebbe stata Simona Malpezzi che però è impegnata al governo.
C’è poi l’ex-ministra Valeria Fedeli, che da alcuni senatori viene data in pole. Ed ancora Anna Rossomando, che è vicepresidente del Senato e neonominata in segreteria da Letta, vicina ad Andrea Orlando. E infine Roberta Pinotti, figura autorevole, di Areadem di Dario Franceschini.
(da agenzie)
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Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile
CHE SE NE VA DA UN GRUPPO FINISCE TRA I “NON ISCRITTI” SENZA PRENDERE SOLDI, COME AVVIENE NELLA UE
La richiesta è arrivata giovedì pomeriggio, l’incontro si dovrebbe tenere forse già lunedì: sarà in quella sede che il nuovo segretario del Pd Enrico Letta presenterà alla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati la sua proposta di modifica dei regolamenti parlamentari in chiave “anti-trasformismo”.
Letta ne ha già parlato con il presidente della Camera Roberto Fico ma la vera moral suasion dovrà farla sulla seconda carica dello Stato perchè è il Senato l’ala del Parlamento che in questi anni ha creato più problemi ai governi — basti pensare solo a quello di Giuseppe Conte caduto per 18 senatori di Italia Viva — per le maggioranze più risicate rispetto a Montecitorio.
Ognuna delle due Camere ha la facoltà di approvare un proprio regolamento e l’occasione arriverà presto: il Parlamento dovrà modificare i regolamenti alla luce del taglio degli eletti che, dopo la vittoria del “Sì” al referendum, dalla prossima legislatura passeranno da 945 a 600. Ed è in quel contesto — si dovranno tarare nuove soglie per le votazioni, lo scrutinio segreto e le maggioranze — che il segretario del Pd ha intenzione di incidere: “Ora il trasformismo parlamentare deve finire” ha detto domenica nel suo discorso di insediamento.
La bozza Il modello è quello del parlamento europeo
Per redigere la proposta si stanno muovendo gli esperti in materia del Pd insieme a quelli della giunta per il Regolamento del Senato che stavano già discutendo su come cambiare i testi per dare attuazione al taglio dei parlamentari.
L’obiettivo lo ha indicato Letta nella conferenza con la stampa estera: “I cambi di casacca e il gruppo Misto non sono capiti all’estero” ha detto il segretario dem. La proposta non andrà a imporre divieti o forzature che rischiano di collidere con il divieto di mandato imperativo dell’articolo 67 della Costituzione ma si baserà sul principio del “disincentivo” a cambiare gruppo: chi lo farà , nel corso della legislatura, non conterà più niente in termini politici e soprattutto economici.
La proposta si ispira al regolamento del Parlamento Ue dove il gruppo Misto non esiste e gli eurodeputati che non vogliono iscriversi ad alcun gruppo o decidono di andarsene finiscono tra i “non iscritti”. Completamente ininfluenti e senza potere politico. “Non iscritti” Non contano più e zero fondi pubblici.
In Italia il gruppo Misto — ormai ingrossato così tanto da diventare la quinta componente del Parlamento (78 alla Camera e 39 al Senato) — non si potrà abolire ma la proposta del Pd prevede di permettere l’ingresso nel Misto solo all’inizio della legislatura nel caso in cui deputati e senatori eletti non riescano a raggiungere la soglia per formare un gruppo autonomo: il caso più tipico è quello di LeU che a inizio legislatura aveva 14 deputati e 3 senatori.
Nel corso della legislatura, però, chi deciderà di cambiare gruppo finirà nel limbo dei “non iscritti” senza la possibilità di formare un gruppo autonomo perdendo tutti i benefici: non potranno partecipare alla conferenza dei capigruppo ma soprattutto non avranno quella quota di finanziamento pubblico che oggi permette loro di restare in piedi o di assumere personale, per esempio i collaboratori parlamentari.
In questo modo, sostengono dal Pd, i cambi di casacca sarebbero fortemente disincentivati: gruppi come Italia Viva o gli “Europeisti/Maie” senza i fondi farebbero difficoltà a stare in piedi. Se i parlamentari “ribelli” decidessero di continuare a stare nel gruppo di appartenenza pur votando in dissenso, alla fine sarebbero espulsi tra i “non iscritti”.
Norma anti-Renzi Basta gruppi senza il simbolo.
Inoltre, il Pd è pronto a presentare anche una norma cosiddetta “anti Italia Viva”, per evitare che si ripeta un caso come quello di Renzi del 2019.
Il regolamento del Senato del 2017, rispetto a quello della Camera, prevede già che non si possa formare un gruppo senza un simbolo che abbia concorso alle elezioni ma, per aggirare questa norma, nel Renzi e i suoi formarono Iv grazie all’apporto di Riccardo Nencini eletto con il simbolo del Psi.
Ora i dem vorrebbero stringere le maglie introducendo un principio: ci si potrà spostare solo in gruppi che hanno presentato il proprio simbolo alle elezioni. Come fare? Almeno dieci senatori del gruppo devono aver corso alle elezioni con quel simbolo evitando l’apparentamento con singoli senatori come nel caso di Nencini.
A ogni modo, nuovi gruppi parlamentari si potranno formare con una soglia più bassa: dai 10 attuali a 7, proporzionalmente con la riduzione dei parlamentari.
Il progetto “anti voltagabbana” convince i costituzionalisti. Il professore dell’Università Kore di Enna Salvatore Curreri spiega che “il trasformismo parlamentare è una malattia congenita del nostro sistema politico” e ritiene che disincentivare il cambio di casacca vada “nella giusta direzione”.
Ma ci vuole qualcosa in più: in primo luogo, spiega Curreri, si deve “alzare le soglie minime per formare un gruppo nuovo: non più 10 al Senato e 20 alla Camera ma un numero più alto”.
Curreri vorrebbe anche una soluzione politica: “Bisognerebbe fare come in Spagna: un patto anti-transfughi di tutte le forze politiche che si impegnano a non ricandidare chi cambia gruppo. Così i cambi di casacca diminuirebbero molto”.
Anche il professore di Diritto Costituzionale della Luiss Nicola Lupo pensa che il meccanismo di “incentivi e disincentivi” sia migliore di “norme draconiane che potrebbero andare a intaccare l’art. 67”: “Oggi abbiamo un regolamento che premia la frammentazione per cui un unico gruppo di centro conta meno di dieci piccoli gruppi — dice — vanno alzate le soglie per formare gruppi. Il problema è che molte scissioni sono l’effetto e non la causa della possibilità di cambiare gruppo: se IV non avesse potuto formare un gruppo autonomo, la scissione ci sarebbe stata?”.
Il costituzionalista dell’Università di Pisa Andrea Pertici pensa che la proposta dem “sia in linea con l’art. 67” ma il problema rischia di essere organizzativo: “Con 20-30 non iscritti i lavori parlamentari e le maggioranze rischiano il caos — spiega — è fondamentale alzare la soglia per evitare la formazione di nuovi gruppi”.
(da “Huffingtonpost”)
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Marzo 20th, 2021 Riccardo Fucile
IL SEGRETARIO PD INTERVIENE SU TWITTER CONTRO IL LEADER DELLA LEGA
“Molto bene – scrive Letta su Twitter – Il DecretoSostegni interviene su salute, scuola, turismo, cultura e aiuta lavoratori e imprese. Bene Draghi. Bene i Ministri. Male, molto male che un segretario di partito tenga in ostaggio per un pomeriggio il cdm (senza peraltro risultati). Pessimo inizio Salvini”.
In altri tweet il segretario dem ha poi lodato l’azione dei suoi ministri, Dario Franceschini e Andrea Orlando, per gli interventi a favore rispettivamente della Cultura e della protezione dei lavoratori. E ha concluso: “Il Pd unito rende efficace e forte il governo”.
Tra gli argomenti affrontati da Draghi nella conferenza stampa di ieri c’è anche il Mes, uno dei motivi della rottura di Renzi con il governo Conte 2.
Ma mentre Carlo Calenda dichiara apertamente di non aver apprezzato le parole del premier, Italia viva esprime un commento più misurato. “Per chiarezza e serietà devo dire che non condivido affatto la risposta sul MES – twitta il leader di Azione – Grave non avere un Piano per SSN. E non è che se lo dice Conte è un errore e se lo dice Draghi va bene”.
Mentre Luigi Marattin, responsabile economico di Iv, si limita a osservare: “Il presidente Draghi ha perfettamente ragione quando dice che prima di decidere sul Mes, occorre decidere cosa fare con quei soldi. L’anno scorso Italia Viva, assieme alla richiesta di accedere al Mes, presentò un piano dettagliato per spendere quelle risorse, preparato dal nostro gruppo parlamentare. Lo mettiamo a disposizione del governo Draghi. Perchè ancora pensiamo che questa opportunità non vada sprecata”.
(da agenzie)
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Marzo 16th, 2021 Riccardo Fucile
SI RICOMINCIA A PARLARE DI SISTEMA MAGGIORITARIO MA IL M5S RESTA FERMO AL BRESCELLUM PROPORZIONALE
Enrico Letta rilancia il maggioritario e il Mattarellum. Ne parla con Giorgia Meloni e sa che a Matteo Salvini l’idea non dispiace.
Ma dovrà fare i conti, oltre che con le resistenze dentro al Pd, con il no del Movimento Cinque Stelle.
Giuseppe Brescia, presidente grillino della Commissione Affari costituzionali della Camera, padre della proposta di legge elettorale proporzionale che porta il suo nome, ribadisce quanto già affermato qualche giorno fa e cioè che l’orizzonte in cui si muove il Movimento è quello proporzionale.
“Al momento in commissione c’è un testo base già votato in materia elettorale ed è il proporzionale e quello per noi resta il punto da cui partire”, ha scritto su Facebook nei giorni scorsi. “Nessuno, tranne il Movimento 5 Stelle, parla delle preferenze. Noi ci batteremo per restituire ai cittadini il diritto di scegliere i propri rappresentanti”, ha aggiunto.
E basta questo per dire no al Mattarellum, dove il 25 per cento di seggi sono assegnati con metodo proporzionale e liste bloccate. Liste però corte e che, dunque rispettano il criterio indicato dalla Corte costituzionale per l’uso di questo sistema di elezione dei rappresentanti.
Brescia, invece, sembra aperto al confronto e all’accordo su altri punti. “Una politica concreta dovrebbe pensare a sbloccare la riforma costituzionale per il voto dei 18enni al Senato. Manca davvero poco per approvarla definitivamente. – ha scritto – Ci aspettiamo poi dal Viminale entro giugno il decreto per la sperimentazione del voto elettronico. Questi sono i temi che andrebbero affrontati a breve in materia elettorale”.
I favorevoli al maggioritario
Il cammino di Letta quindi appare piuttosto impervio. Al fondo del suo ragionamento c’è il principio che le alleanze si devono fare prima del voto. Ma una delle critiche più efficaci che venivano mosse al Mattarellum era il peso enorme che nella coalizione, soprattutto nel centrosinistra, acquisivano i famosi “cespugli”, portatori dell’1 per cento determinante per la conquista di un collegio.
E su questo aspetto basterebbe riguardare un tavolo dove si riuniva l’Unione. E dunque il ritorno al Mattarellum sarebbe una festa per Carlo Calenda, Emma Bonino, Sinistra Italiana, Matteo Renzi e una miriade di altri micro partiti. Che lucrerebbero anche con il proporzionale. E infatti il blocco del Brescellum non era dovuto all’amore per il maggioritario, ma al disaccordo sulla soglia di sbarramento al 5 per cento.
E comunque questo progetto era su un binario morto perchè i numeri al Senato erano traballanti e l’unica speranza era un via libera da Forza Italia. Che però non sembrava intenzionata a rompere con la Lega su questo.
Ancora prima delle alleanze, però, si pone il problema di cambiare qualcosa nel Mattarellum. Anche alla luce del taglio dei numero dei parlamentari. Dunque si dovrebbe ridisegnare i collegi per evitare che siano troppo grandi. Si dovrebbero immaginare meccanismi che spingano verso le coalizioni. Si dovrebbe ripensare il famoso inghippo dello scorporo: nel Mattarellum tutti i voto serviti per eleggere un parlamentare nell’uninominale venivano tolti dalla parte proporzionale. E questo ha provocato la nascita delle liste civetta per eludere il meccanismo.
Voto ai sedicenni
Inoltre, il ritorno al maggioritario, nei pensieri del nuovo segretario del Pd si dovrebbe accompagnare al diritto di voto ai sedicenni. Ma questo implica di mettere mano alla Costituzione. L’articolo 48, recita infatti: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età “. Che è fissata a 18 anni. A meno che di abbassare questa soglia a 16 anni. E viste le difficoltà ad abbassare il diritto di voto per il Senato a 18 anni, sembra difficile pensare di arrivare al voto politico per i sedicenni. E le prime reazioni alla proposta di Letta fanno pensare ad un no del centrodestra.
Nuove regole per evitare i cambi di casacca
Letta pensa poi a mettere mano al successivo articolo, il 49, dove si parla del ruolo dei partiti politici e della regolamentazione democratica della loro vita interna. Ma questo è sempre stato un tabù e lo è stato a maggior ragione anche nei tempi di massimo splendore elettorale del Movimento Cinque stelle. Dalla disciplina dell’articolo 49 discende anche la battaglia che Letta vorrebbe fare contro la “casta” e il fenomeno dei transfughi, le decine e decine di parlamentari che eletti in un partito una volta in Parlamento passano da un gruppo all’altro. L’idea del segretario del Pd è di fare concorrenza ai grillini e togliere loro le residue bandiere della lotta alla casta. Forte anche del fatto che fu il suo governo nel 2014 ad abolire i rimborsi elettorali ai partiti.
Oggi, voluta dall’allora presidente Piero Grasso, esiste una norma del regolamento del Senato che vieta di formare gruppi parlamentari che non siano collegati a partiti presenti con un simbolo alle elezioni politiche.
Alla Camera la riforma del regolamento non fu mai approvata e una norma simile non esiste. E dunque c’è il diritto di transumanza. Ma anche a Palazzo Madama, la norma voluta da Grasso viene elusa e tradita. Basti pensare alla nascita del gruppo di Italia Viva, resa possibile grazie alla concessione del simbolo elettorale da parte del Psi di Riccardo Nencini.
E anche quelli che non riescono a formare un gruppo e finiscono nel Misto sono un problema. Perchè fanno crescere di numero questo raggruppamento, creano componenti che hanno diritto di parola e di spazio. Si pensa a soluzioni drastiche che arrivano ad ipotizzare, sul modello del Parlamento europeo, lo scioglimento del gruppo Misto e la nascita della figura del parlamentare non iscritto che ha meno poteri e diritti. O addirittura come ipotizza qualcuno la decadenza del parlamentare se passa dalla maggioranza all’opposizione o viceversa.
(da TPI)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
L’OBIETTIVO E’ COSTRUIRE UN PARTITO NON SUBALTERNO MA GUIDA DEL “NUOVO CENTROSINISTRA”
Una sorta di piccola rivoluzione copernicana. L’archiviazione di una stagione. L’addio agli ultimi 10 dieci anni di storia politica. E il recupero di quella che ha segnato il centrosinistra tra il 1996 e il 2008.
La prima sfida di Enrico Letta è questa: ricostruire un Pd capace di non essere subalterno, che sia anzi la guida del sistema politico e del “nuovo centrosinistra”. Che trasformi il governo Draghi in una sorta di mallevadore di un nuovo sistema dei partiti e di levatrice del nuovo centrosinistra. E che restituisca ai Dem anche il compito di indicare il futuro premier
Basta tenere presente le poche citazioni fatte nel discorso con il quale ha proposto la sua candidatura alla segreteria per capire la cesura effettuata con il recente passato.
Oltre al governo Draghi, ha fatto riferimento per due volte a Romano Prodi, poi a Nino Andreatta, quindi a Paolo Gentiloni e infine, pur senza nominarlo, a Enrico Berlinguer.
Ha rammentato che le vittorie elettorali del fronte progressista sono avvenute solo con l’Ulivo, ossia con una coalizione che aveva il perno e il motore nel Partito Democratico. Ha così aperto di fatto la competizione dentro e fuori il centrosinistra. All’interno perchè spiega che il rapporto con il M5S non sarà e non potrà essere ancillare. Anzi, ha sottolineato che mentre la natura del Pd – seppure opacizzata nelle ultime due legislature – è comunque presente, quella dei grillini è tutta da definire.
Il rapporto con Conte, ossia con il capo del Movimento 5Stelle, sarà inevitabile ma competitivo, non rassegnato. Da alleati. E soprattutto con rapporti di forza invertiti rispetto a quelli presenti attualmente in Parlamento.
Anche il richiamo all’applicazione dell’articolo 49 della Costituzione (l’atttività dei partiti si deve svolgere “con metodo democratico”), va interpretato come uno schiaffo ai pentastellati. In questo quadro il segretario dem cambia anche la prospettiva del suo incarico e ritorna ad essere anche un candidato premier. La gara con Conte e i grillini riguarda anche questo aspetto.
Due ex presidenti del Consiglio con le carte per riproporsi per quel ruolo. E si contendono pure il compito del “federatore” che ora non è più solo nelle mani del professore fiorentino.
Lo schema preparatorio assomiglia molto a quello che lo ha visto protagonista negli anni ’90. L’esecutivo in carica, nella sua idea ricopre allora il ruolo avuto da quello di Ciampi dal ’93 al ’94. Come allora Letta non intende lasciare l’ex presidente della Bce nelle mani del centrodestra. “Draghi è il nostro governo, non della Lega”. Proprio come in quegli anni la scelta europeista del centrosinistra si contrapponeva alle perplessità del centrodestra, adesso rivendica la linea comunitaria contro la conversione poco credibile di Salvini al progetto dell’Ue.
Naturalmente l’obiettivo finale sono le prossime elezioni politiche. La battaglia con la destra di Salvini e Meloni. E arrivare a quella data senza la rassegnazione della sconfitta. Per questo ha proposto un nuovo impianto culturale.
Che non riguarda, come doveroso, solo l’adeguamento della forma-partito alle nuove tecnologie, ma anche il recupero di alcune funzioni e precondizioni. A cominciare dalla competenza. Le parole “corpi intermedi” erano scomparse dal lessico della politica italiana. E con ogni probabilità questa assenza aveva fatto subire una torsione alla nostra democrazia che lo stesso Letta definisce “malata”.
Di certo rappresenta, il cestinamento del concetto di “disintermediazione” – a cominciare dal rapporto con i sindacati – che si era presentata negli ultimi anni come stella polare di tutti i populismi. Questo punto di vista può essere letto anche come il superamento del “renzismo” con il quale il nuovo leader dem ha sicuramente un conto ancora aperto.
Ovviamente tutto questo passa dalla definizione di un “nuovo Pd”. Il suo partito, in effetti, si era trasformato in un insieme di correnti che non si distinguevano per la produzione ideale ma per la spartizione del potere. Letta ne è consapevole e sa che questa deriva è stata giustificata dal ruolo di equilibratore istituzionale assunto dal Pd negli ultimi anni. Dinanzi ai radicalismi irresponsabili di M5S e Lega, i Dem si presentavano come gli unici garanti di una certa normalità . Una situazione che si è trasformata lentamente ma inesorabilmente in un alibi.
Ma uno dei test più importanti per capire come sarà il Pd di Letta, sarà la legge elettorale. Il neo segretario ha accennato alla riforma, ma ora deve decidere se il suo progetto sia o meno compatibile con un sistema proporzionale. I precedenti di vittoria citati sono stati raggiunti nel contesto del maggioritario.
(da “Repubblica””)
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
IL COMMENTO DI ROTONDI: “UN TIPO GENTILE CHE NON FARA’ PESARE LA SCONFITTA DI NOI MODERATI DEMOCRISTIANI”
E’ il giorno di Letta, ed è un bel giorno: per il Pd, per il Paese.
Enrico è una persona seria, davvero. Ha qualche anno meno di me, ma la generazione dc è quella. Abbiamo fatto assieme la scissione del Ppi, da fronti opposti. Era già il migliore di noi, per unanime riconoscimento. Ha avuto una grande carriera dopo la Dc, ma la avrebbe avuta uguale vivente mamma Dc. E sono sicuro che gli sarebbe piaciuta di più. Enrico è un vero democristiano, a tutto tondo.
Ma la sua sfida è adesso e qui: nel Pd, il partito che ha contribuito a fondare con le scelte ispirate nel bugigattolo dell’Arel dal suo mentore, il mitico, intelligentissimo e permalosissimo Nino Andreatta.
Al vecchio Nino, e al suo portasilenzi Enrico Letta, si debbono le grandi scelte della sinistra dc degli anni novanta: l’opzione europeista, la discesa in campo di Romano Prodi, la scelta di campo per il centrosinistra, l’Ulivo, il Pd.
Letta est ‘substantia rerum’: è il Pd.
C’è una lettura tutta democristiana della elezione di Letta, e l’ha data ‘ante litteram’ un dc di rito andreottiano come Vito Bonsignore, lo scorso ottobre a Saint Vincent, al convegno della fondazione ‘Democrazia Cristiana’.
Cito testualmente Bonsignore: ‘il Pd non è la ditta ex pds, ma la sinistra dc che lo ha preso in mano al punto da permettersi il lusso di lasciarne la gestione a Zingaretti’.
E ancora: “smettiamola di parlare di comunisti, il Pd è il partito della sinistra dc che ha vinto la sua scommessa; una Dc ancora fortissima si divise nel 1995, da una parte i moderati, dall’altra la sinistra che scelse l’Ulivo, e che ha egemonizzato il Pd esprimendo quattro premier e un presidente della Repubblica”. “Hanno vinto loro”, concluse Bonsignore, quasi a concludere un congresso postumo.
E sissignori, concediamola questa vittoria, e profittiamo che a riscuoterla è un tipo gentile come Enrico, che non ci farà pesare la sconfitta. Che è tutta dei moderati democristiani.
Non abbiamo concluso un cavolo. Giocavamo nel campo più favorevole, quello moderato, dove stazionava l’elettorato ex democristiano. L’abbiamo diviso con Berlusconi, che era una specie di Democrazia Cristiana formato Standa. Ma poi abbiamo lasciato che quell’elettorato si radicalizzasse nei populismi, tra Lega, destra e persino Cinquestelle.
Da noi dc, manco un vagito. Ci siamo baloccati in partitelli dai nomi improbabili, abbiamo fatto cause sullo scudo crociato, in tre o quattro siamo andati persino al governo, ma l’uno contro l’altro, e sempre senza una strategia che non fosse quella di fotterci tra di noi. Solo Casini ebbe un quarto d’ora istituzionale alla presidenza della Camera, poi si stufò e ora gira il mondo.
Si dirà che ce la siamo vista col trentennio berlusconiano, ma è un’aggravante: Enrico e soci si sono mangiati i comunisti, altro che il Cavaliere che attaccava i manifesti della Dc (e non ha mai frenato la ricostruzione democristiana).
La colpa è nostra, senza appelli: non eravamo all’altezza. Ancora adesso consumiamo l’ultimo anno di legislatura sperando che ce ne sia ancora un altro, senza una iniziativa, un’idea forte, un guizzo.
Eppure la ragione ideale sarebbe dalla nostra parte: ma come diceva Cossiga, non basta aver ragione, devi trovare qualcuno che te la dia. E soprattutto devi avere il coraggio di farti avanti e di chiederla.
In bocca al lupo, Enrico.
Gianfranco Rotondi
deputato di Forza Italia
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Marzo 14th, 2021 Riccardo Fucile
PROMETTE BATTAGLIA SU VOTO AI SEDICENNI E IUS SOLI
Un ringraziamento speciale a Nicola Zingaretti “con cui continuerò a lavorare, legati da un rapporto di lunga amicizia e sintonia”, un pensiero “ai centomila morti e al mezzo milione di italiani che hanno perso il lavoro, a loro noi guardiamo cercando le migliori soluzioni per il loro futuro”.
Priorità quindi al lavoro, ma anche alle donne e ai giovani. Ammette che dentro il Pd c’è un problema sulla parità di genere.
Promette battaglia sul voto ai sedicenni e per lo Ius Soli, scatenando le prime reazioni di Lega e FdI. E assicura che la liberazione dal Covid è vicina, grazie al vaccino.
Enrico Letta, proclamato segretario del Partito democratico con 860 voti a favore (2 i no e 4 gli astenuti), è salito sull’inedito ‘palco’ al Nazareno in diretta streaming per il suo discorso durante l’assemblea nazionale del Pd con la consapevolezza di essere il nuovo segretario anche se quello che serve è “un nuovo Pd”.
“Mi viene in mente la frase di Papa Francesco che dice che vorrebbe un mondo che sia un abbraccio fra giovani e anziani – ha detto Letta prendendo la parola – Da solo nessuno si salva. Ce lo ha detto il Papa”. Non solo. È fondamentale per Enrico Letta “fare un partito che abbia le porte aperte. L’apertura sarà il mio motto: spalanchiamo le porte del partito”. Poi dopo la votazione ha ringraziato tutti “siamo chiamati a uno sforzo terribile, ce la metterò tutta”, ha assicurato.
È il suo giorno. Che è iniziato con un tweet pubblicato all’alba: “Le ultime aggiunte, le ultime correzioni. Ci vediamo oggi alle 11.45 sulla pagina Facebook del Pd e di Radio immagina. Io ci sono”. Una frase accompagnata da una foto della tastiera del computer con cui ha scritto la relazione da presentare all’assemblea che, questa mattina, è chiamata ad eleggerlo segretario Pd. Poi un altro post. “Lo ammetto. L’emozione non manca a salire di nuovo al Nazareno, più di sette anni dopo”. Con 713 sottoscrizioni è il candidato unico alla segreteria, come ha riferito Cuppi.
Il discorso di Letta: priorità a donne e giovani
Il discorso di Letta è il cuore di questa insolita assemblea senza dibattito, ma puramente ‘elettiva’, con voto elettronico. E poco prima di mezzogiorno, l’ex premier ha preso la parola dalla sede del partito: “Vorrei che oggi la discussione non si chiudesse ma iniziasse. Domani presenterò un vademecum di idee da consegnare al dibattito dei circoli per due settimane. Ne discutiamo insieme e poi facciamo sintesi in una nuova assemblea”. Ha messo subito le cose in chiaro, riconoscendo i limiti del Pd: “Lo stesso fatto che sia qui io e non una segretaria donna dimostra che esiste un problema” sulla parità di genere. “Io metterò al centro” il tema delle donne: è “assurdo” che sia un problema
Ius soli e voto ai sedicenni
E dopo le donne, i giovani. Che “saranno al centro della mia azione”. Tanto che, ha assicurato, “l’altra battaglia da fare è quella per il voto ai sedicenni, anche se so che sarà una battaglia divisiva, complicata, ma dobbiamo allargare il peso dei giovani nella società “. Ma non solo. “Voglio rilanciare lo Ius soli – ha precisato Letta – Credo che sarebbe una buona cosa se il governo Draghi, il governo del tutti insieme, sia quello di una normativa sullo Ius Soli”.
(da agenzie)
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Marzo 13th, 2021 Riccardo Fucile
I MILITANTI: “RIPARTIAMO DALLA BASE”
Blitz di Enrico Letta al circolo Pd di Testaccio, il suo quartiere. Quando giovedì era sbarcato a Roma, i ragazzi della sezione lo avevano chiamato per dirgli che avrebbero voluto piazzare uno striscione sotto casa sua con la scritta: “Dicce de sì”.
E lui, ridendo, aveva risposto: “Meglio di no, passo io da voi appena sciolgo la riserva”. Promessa mantenuta. Alle 11.15 eccolo.
I militanti non sono tantissimi, lui ha preteso che l’iniziativa non fosse pubblicizzata, d’altronde è solo un saluto. Ma il segretario romano Andrea Casu e la presidente del I municipio Sabrina Alfonsi l’hanno saputo all’ultimo istante e si sono precipitati.
Arriva a piedi da solo, “eccolo eccolo” lo acclamano i militanti. Saluta tutti, a distanza, mi raccomando, poi entra e si mette in posa davanti all’enorme lenzuolo di benvenuto: “Daje Enrì ripiamose sti cocci”. Ride Letta: “Questo è il rione dei cocci…”.
Poi interroga gli iscritti: “Che devo dire domani?”. Risposta, di getto: “Le tue parole ci rappresenteranno tutti”. “E sul partito, che devo dire?”. “Che bisogna ripartire dalla base, aprire le porte e le finestre”.
E ancora il segretario in pectore: “E in autunno a Roma cosa dobbiamo fare?”. Un’altra replica, di pancia: “Dobbiamo vincere”. E Yuri Trombetti, uno dei pilastri del circolo mostra il poster di Gualtieri appiccicato lì accanto: “Noi l’abbiamo lasciato qui per sicurezza”.
Letta è sereno, sorridente. “Noi abbiamo la fortuna di avere la sezione davanti al mercato più bello che c’è – dice – Dobbiamo utilizzare i sabati per aprire, parlare con la gente”.
Chiede altri suggerimenti in vista dell’assemblea di domani, il quasi segretario. A cui i militanti chiedono di “tenere insieme il partito”. E poi promette: “Come sapete da lunedì vorrei che in ogni circolo si facesse una discussione e, se voi siete d’accordo, in questo circolo la posso fare direttamente io”. I militanti, sono increduli, entusiasti. “Enrico è uno di noi”. E lui, prima di scusarsi: “Mi perdonerete se torno a casa, ma devo finire il discorso”, dà un ultimo segnale: “Bisogna resistere, dare l’esempio a tutti quelli che ci stanno intorno”.
La sua segreteria è già cominciata: con un giorno di anticipo, dalla sezione Pd di Testaccio, cuore (ex) popolare di Roma
(da agenzie)
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