CHI HA SOFFIATO SUL FUOCO DELLA RIVOLTA IN BRASILE? GLI ASSALITORI DEL “PLANALTO” AVEVANO ALLE LORO SPALLE UNA PARTE DELL’ESTABLISHMENT BRASILIANO
LI HANNO FINANZIATI OLTRE 100 IMPRESE PRIVATE, CHE HANNO PAGATO DECINE DI AUTOBUS PER FARLI ARRIVARE. POI CI HANNO PENSATO POLIZIA E GENERALI, NOSTALGICI DELLA DITTATURA, CHE LI HANNO LASCIATI PASSARE
La colpa è del Codice Fonte. Senza quell’algoritmo occulto progettato dai complottisti della sinistra internazionale, le elezioni in Brasile le avrebbe vinte Bolsonaro, quindi non ci sarebbe stato bisogno di tentare il colpo di Stato. «Fate gli spiritosi, ma le cose stanno proprio così».
Si irrita Telma Vieira, quando avverte scetticismo. Quarantotto anni, parrucchiera, madre di due figli e bolsonarista della prima ora, custodisce una foto del Codice Fonte nel telefonino, per chi non ha fede. «Eccolo ». Lettere, numeri, punteggiatura e stringhe su sfondo nero, come la matrice del film Matrix. Ed è solo l’inizio di questa escursione nel delirio cospirazionista che anima gli assalitori della democrazia.
«Ci hanno teso una trappola, sull’Esplanada», attacca Telma. Chi? «Come chi? Gli infiltrati di Lula! Era tutto organizzato. Erano vestiti come i patrioti, con le maglie della Seleção. Sono loro ad aver spaccato tutto». Tira dritto col ragionamento, incurante di centinaia di filmati in cui si vede l’orda dei bolsonaristi partire dal campo-base, sorto sul prato dello Stato maggiore dell’Esercito.
«L’idea era occupare pacificamente l’Esplanada e costringere le forze armate a prendere posizione». Chi vi ha chiamato? «Qualcuno, non so chi. Pensavamo che i generali alla fine avrebbero destituito Lula, per mettere al governo il legittimo inquilino: Bolsonaro, l’uomo che ha aperto gli occhi al Brasile e ci ha mostrato come stanno realmente le cose sul Covid, sui diritti, sulla politica.
«I capitani, i maggiori, i colonnelli sono sempre stati dalla nostra parte, ci hanno trattato bene nei due mesi al camping di Brasilia. Io ci andavo ogni fine settimana, senza che nessuno mi pagasse i viaggi. Ma i generali, nel momento cruciale…i generali hanno tradito».
Telma afferra il telefono e invia un audio nella chat “Achamos a Luz” (troviamo la luce): uno dei mille canali dove i bolsonaristi più folli si lasciano sedurre dalle teorie complottiste degli estremisti di destra QAnon, riadattate al deep state sudamericano. «Stanno portando via altri patrioti, dobbiamo intervenire! ».
Queste chat sono così: chiunque può chiamare alla rivolta, spargere fake news, indicare obiettivi. La marcia sui palazzi del potere brasiliano, domenica, è iniziata lì dentro: qualcuno ha lanciato l’idea di prendersi la piazza dei Tre Poteri, ed è successo. Certo, tra mille connivenze e complicità degli apparati di sicurezza, motivo di inquietudine per il governo in carica. «Non abbiamo leader, è un movimento spontaneo: il nostro unico leader è Bolsonaro », ripete, per l’ennesima volta, Telma.
Domenica erano leoni inferociti disposti a distruggere i palazzi del potere, due giorni dopo sono diventati una massa piagnucolante e spaventata per le conseguenze dei loro atti. Molte le lamentele e le scene di panico tra gli oltre mille bolsonaristi arrestati per il sacco di Brasilia, assiepati nella mega palestra della polizia federale, in attesa di essere incriminati per delitti gravissimi, dall’invasione di edifici pubblici al tentativo di insurrezione. Contro i golpisti della domenica sono arrivate intanto oltre trentamila denunce. «Se identificate qualcuno nei diversi filmati in Rete – recita l’appello del governo – denunciatelo e sarà punito».
Il governo ha promesso mano dura, anche se la stampa conservatrice mette in guardia su una possibile caccia alle streghe. Non tutti i manifestanti, in effetti, hanno invaso i palazzi e nel sistema giudiziario brasiliano l’onere della prova spetta a chi accusa.
Lula, che nel frattempo ha chiamato a sé tutti i governatori statali oltre ai leader dei principali partiti, vuole andare fino in fondo per scoprire la catena dei finanziatori e dei fiancheggiatori. L’obiettivo finale è ovviamente l’ex presidente Jair Bolsonaro.
Il procuratore Lucas Rocha ha chiesto il blocco dei suoi conti correnti oltre a quelli del governatore di Brasilia, Ibaneis Rocha, e di Anderson Torres, indicato come il grande organizzatore dell’assalto. Torres è stato ministro della Giustizia del governo uscente, poi è diventato capo della sicurezza a Brasilia, domenica si trovava in ferie negli Stati Uniti, a pochi passi dalla residenza di Orlando dell’ex presidente.
Troppe coincidenze tutte insieme, una pista spianata per gli investigatori. Bolsonaro, intanto, ha passato una giornata presso la clinica Florida Advent Helth dopo aver contratto forti dolori addominali, anche se l’ospedale ha poi negato che sia stato ricoverato in pianta stabile.
Non è la prima volta che accusa dei disturbi allo stomaco, conseguenza delle operazioni seguite alla pugnalata ricevuta durante la campagna elettorale del 2018. Il ministro della Giustizia Flavio Dino ha spiegato ai giornalisti che non ha senso invocare richieste di estradizione perché al momento non ha nessuna pendenza con la giustizia.
Ma poi ha ricordato che è un ex presidente senza immunità e che quindi non sfuggirebbe ad eventuali richieste di arresto, se mai dovessero arrivare.
Patricia Campos Mello ha conosciuto di persona la forza dell’estremismo di destra bolsonarista. Autrice di un’accurata indagine che ha scoperto la rete di finanziatori e propagatori di fake news nella campagna elettorale del 2018, è stata attaccata dal presidente e oggetto di una campagna di odio da parte dei suoi sostenitori.
Dopo essersi aggiudicata nel 2019 l’International Press Freedom Award del Comitato internazionale per la protezione dei giornalisti, ha vinto una causa per danni morali contro Bolsonaro. Investiga ancora oggi la rete dei movimenti bolsonaristi per il quotidiano Folha de Sao Paulo e per questo non si dice affatto sorpresa per quanto sia successo a Brasilia.
Lei si aspettava l’assalto di domenica?
«Lo aspettavamo da tempo. Si tratta di un movimento organizzato, non sono dei marziani piombati dal nulla. Si organizzano attraverso canali Telegram, reti di messaggi Whatsapp e continueranno ad agire». «L’intelligence ha fallito, questo preoccupa.».
«Credo che questa invasione sia stata controproducente per Bolsonaro e i suoi alleati. La maggioranza dei suoi elettori non l’approva, l’attacco alle istituzioni spaventa l’opinione pubblica.
I governatori cercheranno di distanziarsi il più possibile dall’estremismo. La stessa cosa non si può dire della polizia, dove molti elementi simpatizzano per il Bolsonaro duro e puro, sono nostalgici della dittatura, non accettano imposizioni da parte del potere politico. Lì c’è un pericolo per la tenuta democratica del Brasile».
Macchiette radicali? Forse, ma ben foraggiate. Oltre 100 imprese private, contro cui è stato chiesto il blocco dei beni, sono sospettate di aver finanziato gli estremisti: avrebbero pagato decine di autobus che nei giorni scorsi hanno trasportato i «bolsonaristi» da diversi località del Brasile fino al cuore della capitale.
Ieri il vice procuratore generale Lucas Furtado ha chiesto il blocco dei conti bancari anche dell’ex presidente Bolsonaro e del governatore del Distretto federale, Ibaneis Rocha mentre il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes, ha ordinato l’arresto sia dell’ex segretario alla sicurezza del Distretto federale (Df), Anderson Torres, già ministro della Giustizia di Bolsonaro, che ha raggiunto gli Usa, sia dell’ex comandante della Polizia militare del Df, che avrebbero dovuto garantire l’ordine nella capitale e ora sono sospettati di connivenza con gli assaltatori.
(da agenzie)
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