COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO A PAROLE, NEI FATTI “AIUTIAMOLI A CASA LORO” E’ UNA BALLA
L’ITALIA E’ SOLO 14ESIMA IN EUROPA PER CONTRIBUTI VERSATI… DESTINA SOLO LO 0,29% DEL PIL E CONTEGGIA PURE IL COSTO DELL’ACCOGLIENZA, QUINDI NON AIUTA UNA MAZZA
Nell’intervista HuffPost del 18 settembre, la vice ministra degli Esteri Emanuela Del Re racconta la cooperazione allo sviluppo in maniera un po’ romanzata. Nelle sue parole, si legge un’enfasi (che, tra l’altro, suonano come propaganda inconsapevole a favore del governo precedente) sconfinante nella retorica.
L’Italia viene presentata come un “gigante” della cooperazione. Troppa grazia. Almeno per quanto concerne la cooperazione “pubblica”, non sembra questo il dato che emerge. Chi lavora nel mondo delle ONG dovrebbe saperlo.
Nel 2017 la spesa per la cooperazione (sul PIL) è stata dello 0,29%.
Per il 2018, la previsione è dello 0,30%. È una previsione, ricordiamolo.
Aspettiamo il rendiconto dello Stato, che consegna sempre amare sorprese.
A ogni modo, tra i paesi OCSE non siamo messi bene.
In classifica, ci piazziamo al 14esimo posto per spesa (in rapporto al PIL) in cooperazione allo sviluppo.
Pochi anni fa eravamo penultimi: magra consolazione. E davanti a noi ci sono Paesi come Austria, Belgio, Irlanda e Finlandia.
Oltretutto c’è da ricordare che gran parte dei soldi che in Italia vengono conteggiati come “spesa per la cooperazione”, in realtà sono soldi spesi per accogliere i migranti. E il piccolo aumento delle risorse della cooperazione è dovuto sostanzialmente a questo.
Alcune stime indipendenti parlano del 40%, l’OCSE dice il 31%.
Che legame hanno queste spese con la cooperazione allo sviluppo?
In Germania – che, negli ultimi anni, ha accolto molti più rifugiati di noi – le spese per l’accoglienza vengono conteggiate come spese per la cooperazione solo in ridottissima parte. Noi facciamo esattamente l’opposto.
Se togliamo le spese per l’accoglienza, la cooperazione italiana si riduce a molto meno.
E poi c’è quell’espressione: quella “aiutiamoli a casa loro” che una vice-ministra che si occupa di cooperazione dovrebbe rifiutarsi di usare, anche se l’intenzione è quella di declinarla in maniera positiva.
Non c’è nulla da declinare in positivo in quella frase. Le parole contano. “Aiutiamoli a casa loro in modo nuovo”, come recita il titolo dell’intervista, non suona bene. L’ultima legge sulla cooperazione (2014) ha sostituto l'”Aiuto Pubblico allo Sviluppo” con la “Cooperazione Pubblica allo Sviluppo”.
E questo per superare un approccio assistenzialistico, asimmetrico e umanitaristico della cooperazione allo sviluppo. “A casa loro” lascia presupporre subalternità all’alleato leghista, ma ormai ci siamo abituati.
Manca, infine, qualsiasi riflessione della vice-ministra sulla coerenza delle altre politiche, senza la quale la cooperazione rischia di diventare pura “testimonianza”, inefficace.
Qualche spicciolo in più per la cooperazione, speso senza strategia comune con le altre politiche (monetarie, finanziarie, commerciali, ecc.) non cambierà granchè la situazione.
Parlare di “sviluppo condiviso” o di cambiamento del rapporto “donatore-beneficiario” è di tendenza, ma, oggi, è rimane mera parte del catalogo delle buone intenzioni.
(da agenzie)
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