COSI’ IL NUOVO REDDITO DI CITTADINANZA ESCLUDE I GIOVANI
UNA FORMA DI SQUALIFICAZIONE INGIUSTA E RISCHIOSA
Cambiano gli acronimi – non più Mia, ma Gil e Gal – ma la sostanza della riforma del sostegno a chi si trova in povertà rimane la stessa delineata nella legge di stabilità e poi presentata in prima battuta circa un mese fa: riduzione drastica della platea di chi può chiedere il sostegno, forte riduzione dello stesso e drastica limitazione temporale per chi non è minorenne, disabile, anziano o non ha una di queste figure in famiglia.
Confermata e rafforzata è l’idea di introdurre due misure che ora hanno anche nomi diversi: una – Garanzia per l’inclusione sociale e lavorativa (Gil) – destinata alle famiglie con minorenni, o disabili o anziani, l’altra, di importo più modesto, di durata più breve e non rinnovabile – Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal) – destinata a chi, povero, non ha minorenni, né disabili, né anziani in famiglia e non lo è egli o ella stessa, a prescindere dall’occupabilità.
Scaduti i 12 mesi massimi di beneficio, anche se non avranno trovato una occupazione con reddito superiore a quello al di sotto del quale si avrà accesso al Gal, rimarranno senza alcun sostegno.
Con buona pace della Raccomandazione europea sul Reddito minimo, secondo la quale occorre garantire a chi si trova in povertà, a prescindere dalla composizione familiare e dalle caratteristiche personali, un sostegno economico in grado di consentire a lei/lui e alla sua famiglia una vita dignitosa per il tempo necessario e finché il bisogno persiste, con misure di politica attiva del lavoro per chi è in grado di lavorare e di inclusione sociale per chi non lo è.
Le novità, rispetto alla bozza del Mia, sono due. La prima, in contrasto con propositi di miglioramento annunciati, è l’introduzione di una scala di equivalenza, nel caso del Gal, ancora più restrittiva dell’attuale per i minorenni. Il coefficiente per loro non è più 0,2, ma 0,15 per i primi due e 0,10 per quelli successivi (con un massimo complessivo di 2,2), penalizzando così le famiglie numerose. Il coefficiente 0,4 rimane per il componente maggiorenne con carichi di cura e anziani o disabili.
La seconda novità, più dirompente, è l’esclusione di molti giovani da entrambi i benefici. Per quanto riguarda il Gil, infatti, i figli maggiorenni conviventi non vengono conteggiati ai fini del calcolo dell’ammontare del sussidio, anche se a carico. Mentre a fini del Rdc contano il doppio dei minorenni, per il Gal non contano nulla.
Forse è così che il governo pensa di correggere lo svantaggio dei minorenni e delle loro famiglie presente nel disegno del Rdc: non migliorando la loro situazione, ma cancellando i maggiorenni giovani. Ma questi vengono cancellati in larga misura anche dal pur modesto Gal (che per altro fornirà sostegno solo a non più di due adulti per nucleo).
Secondo la bozza di normativa (articolo 2, comma 5, lettera c), infatti, i figli maggiorenni non conviventi con i genitori sono comunque considerati far parte del nucleo di questi se tra i 18 e i 30 anni, a carico, non coniugati o in unione civile o senza figli.
Quindi, anche se disoccupati e non più in formazione, non possono chiedere autonomamente il Gal come nucleo a sé stante, a meno di essere in coppia e/o con un figlio, una situazione rara tra i giovani italiani. Rimangono a carico dei genitori, che questi siano o meno in grado di mantenerli, senza che tuttavia questo “carico” venga riconosciuto nella definizione dell’ammontare del sussidio.
Immagino che la norma miri a evitare uscite fittizie dalla famiglia di origine per ottenere il sussidio. Ma, stante che la presenza di figli adulti a carico non fa aumentare il beneficio, l’esito è solo una riduzione delle risorse disponibili per tutti, inclusi i minorenni.
Aggiungo che, mentre si negano i loro bisogni e il diritto a una vita dignitosa, questi figli adulti sono tenuti a osservare le prescrizioni relative alla disponibilità al lavoro e alla formazione rivolte a tutti gli adulti teoricamente occupabili, e l’inosservanza da parte di un solo componente della famiglia fa decadere il beneficio per tutti, minorenni, disabili e anziani inclusi.
È già discutibile che i familiari siano ritenuti di fatto responsabili in solido dei comportamenti di uno di loro. Lo è ancora di più se la persona il cui comportamento è stigmatizzato di fatto non ha i diritti connessi al comportamento atteso.
Una forma di squalificazione non solo ingiusta, ma potenzialmente rischiosa per la costruzione di un senso del proprio valore e capacità, per la disponibilità e la fiducia a impegnarsi nello sviluppo delle proprie competenze – caratteristiche spesso già indebolite da percorsi scolastici accidentati e tentativi falliti di entrare nel mercato del lavoro.
(da La Repubblica)
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