COSI’ MATTARELLA COL PPI SALVO’ PREVITI DAL CARCERE
QUANDO ERA CAPOGRUPPO DEL PARTITO E LASCIO’ LIBERTA’ DI VOTO
Era il 20 gennaio 1998, stagione segnata da un Silvio Berlusconi in trepidante attesa di riprendersi il governo, come accadrà da lì a tre anni.
Alla Camera si vota sulla richiesta di arresto per Cesare Previti.
Un momento di scontro e la vigilia di una stagione che forse non è terminata neanche oggi.
Quel giorno Sergio Mattarella è a Montecitorio in qualità di capogruppo del Partito popolare italiano.
Sono gli ex dc l’ago della bilancia sulla richiesta di arresto, e nonostante alla fine usciranno con una spaccatura, saranno loro a far pesare il loro “no”.
Autore del miracolo politico è proprio l’attuale presidente della Repubblica eletto, oggi “grande garante della Costituzione”.
Quel giorno non tutti lo ricordano così. Il primo a saltare sul banco fu il giornalista Federico Orlando, all’epoca eletto con Rinnovamento Italiano e scomparso pochi mesi fa: “Il no all’arresto di Previti è un ritorno alla grande della Democrazia cristiana. Siamo tornati alla prima Repubblica”.
Quel ritorno alla Democrazia Cristiana era rivolto a Mattarella, che cercò di non scomporsi. “Abbiamo lasciato la libertà di scelta ai nostri deputati”.
E nella libertà anche Mattarella disse no all’arresto di Previti. Supportato, nelle argomentazioni, da un imminente inizio del processo, anche se non sarà così.
Ma quel giorno fu il governo Prodi a subire il contraccolpo più forte.
Il Professore, in qualità di presidente, non ha votato, ma sei ministri misero con voto palese la faccia sul sì all’arresto dell’avvocato di Berlusconi: Walter Veltroni, che di Prodi era il vice, Livia Turco, Anna Finocchiaro, Vincenzo Visco, Claudio Burlando e Luigi Berlinguer.
Uno solo si astenne: Augusto Fantozzi.
Accadde così che Berlusconi e Bossi, grazie al partito di Mattarella, ritrovano l’affiatamento perduto. Votano in blocco no. Claudio Scajola si alza vociante: “Avete visto? Oggi è finito il tintinnio delle manette”. Questo era il clima.
E Mattarella, serafico, rivendica il voto: “Siamo l’unico partito che ha lasciato la libertà di scelta”. “Il gruppo popolare — spiega — è tutt’altro che lacerato e diviso, ma è, al contrario, assolutamente unito”.
L’atmosfera non è serena affatto. Federico Orlando non è l’unico a polemizzare con gli ex dc e con la Lega, lo fanno anche Veltroni, Massimo D’Alema e Fabio Mussi.
“Il rifiuto davanti alla richiesta del gip di Milano è un giudizio negativo del Parlamento nei confronti dei magistrati”.
Una vicenda, che poi porterà alla condanna in via definitiva di Previti e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, iniziata l’11 marzo 1996: la magistratura milanese dispone l’arresto del capo dell’ufficio dei gip di Roma, Renato Squillante, e dell’avvocato civilista Attilio Pacifico, che vengono accusati di corruzione (avrebbero ricevuto denaro per “aggiustare” alcuni processi). Nel registro degli indagati finiscono anche Cesare Previti e Silvio Berlusconi.
Ad accusarli è Stefania Ariosto, la teste Omega, allora compagna dell’ex capogruppo alla Camera di Forza Italia, Vittorio Dotti.
“Previti si è spesso vantato con me di avere corrotto magistrati”, dirà l’Ariosto. “Io ho anche assistito ad alcune dazioni di denaro”.
Il 23 settembre 1997 Previti viene interrogato a Milano dai magistrati del pool, che chiedono al gip l’arresto.
A dicembre il gip autorizza l’arresto ma, un mese dopo, la Camera dice no.
Emiliano Liuzzi
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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