COSI SPARISCONO 98 MILIARDI: LA BEFFA DELLE SLOT MACHINE
LO STATO CERCA SOLDI AGLI ITALIANI MA NON FA NULLA PER INCASSARE 98 MILIARDI DI EURO DI MULTE NON PAGATE DALLE CONCESSIONARIE DI SLOT MACHINE… DA TRE ANNI SI ATTENDE LA DECISIONE SULLA MAXI ELUSIONE: I TEMPI INFINITI DELLA GIUSTIZIA CONTABILE E LE PROTEZIONI DEI PARTITI
La mattina del 4 dicembre 2008 il procuratore della Corte dei Conti Marco Smiroldo aveva un sorriso più largo di quello del Joker di Batman.
Nè lui, nè gli uomini del Gat, il gruppo antifrodi tecnologiche della Finanza, che l’avevano affiancato per anni nelle indagini, ci credevano.
Nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato sulla possibilità che un processo del genere potesse mai arrivare in aula: le dieci potentissime concessionarie delle slot machine in Italia sul banco degli imputati, con una richiesta monstre di danno all’erario: 98 miliardi di euro.
Quello stesso giorno Smiroldo e i suoi sapevano già che cosa sarebbe accaduto negli anni successivi.
Perchè questi sono i tempi della giustizia italiana, anche di quella contabile.
E perchè le dieci sorelle, vista la posta in gioco, avevano messo in campo uno squadrone di principi del Foro, pronti a ogni mossa (ovviamente lecita) per allungare i tempi, creare dubbi, intorbidare le acque.
È così che il processo per la più grande sanzione mai contestata nella storia italiana non si è ancora concluso.
Anzi: sono state celebrate solo due udienze e nell’ultima il pm ha ribadito le sue richieste.
E ancora una volta ha ribadito: il danno per le casse dello Stato è di 98 miliardi.
Nel frattempo c’è stato un pronunciamento della Cassazione, che i legali avevano sollecitato sollevando un conflitto di competenze, che ha comportato quasi due anni di stop.
L’ultimo atto è una nuova perizia ordinata dai giudici, per capire se in questa storia debbano finire alla sbarra anche altri soggetti, oltre le concessionarie.
La Sogei, il braccio tecnologico e informatico del ministero dell’Economia.
O le compagnie telefoniche, che a loro volta non erano state in grado di garantire il flusso corretto dei dati delle scommesse.
Perizia che doveva essere consegnata ad agosto.
Ora si parla di un nuovo slittamento a ottobre e questo fa presagire che le cose andranno ancora per le lunghe, dopo quattro anni di schermaglie procedurali, fiumi di parole e nessuna decisione.
Anche il governo, sollecitato a più riprese dalle interrogazioni parlamentari a dar spiegazioni sulla vicenda, ha sempre avuto buon gioco nel difendersi: la questione è nelle mani della giustizia .
Anche perchè le società concessionarie non ci vogliono sentire e, ufficiosamente, hanno già inoltrato la loro offerta al super ribasso: chiudere la partita con 500 milioni tutto compreso.
Il procuratore, però, non molla e tutto si giocherà nella sentenza.
Tempi previsti? Solo Dio lo sa.
Così si trascinerà ancora, la decisione finale sulla supermulta, una vicenda rivelata per la prima volta nel maggio 2007 dal Secolo XIX.
Ma come si è arrivati ai 98 miliardi?
La requisitoria del pm Smiroldo, nell’ultima udienza, ha ricostruito passo passo tutta la storia.
Prima del 2002 le slot machine, che allora venivano chiamate videopoker, erano illegali.
Anzi, uno dei business più lucrosi per la criminalità organizzata.
Poi lo Stato decise di regolare il settore.
Con una prescrizione categorica: ogni singola macchinetta doveva essere collegata al sistema telematico di controllo della Sogei.
Perchè neanche una giocata sfuggisse al controllo e soprattutto alle tasse, il Preu.
Così non è avvenuto, per anni. Il sistema ha fatto cilecca.
Gli apparecchi, “interrogati” a distanza dal cervellone del ministero, non davano nessuna risposta.
Di chi sia stata la colpa di questo flop, è uno degli argomenti del processo.
Di certo le società concessionarie si erano impegnate perchè tutto funzionasse a puntino ed è per questo che parte cospicua della sanzione, oltre ai sospetti di evasione, è costituita da quelle che vengono definite “inadempienze contrattuali”.
Che prevedevano, nero su bianco, penali severissime.
«Fare un contratto con lo Stato è una cosa seria o no?», si chiede il pm.
La risposta è ancora appesa nell’aria.
Così come la decisione finale sui 98 miliardi.
Marco Menduni
(da “Il Secolo XIX“)
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