COTA, SPUNTANO SPESE PER IPAD E CRAVATTE, MA LE SUE DIMISSIONI PER LA VERGOGNA NO
IL GOVERNATORE IN LOTTA CONTRO “ROMA LADRONA” ACCUSATO DI PECULATO PER AVER USATO 25.000 EURO PER FINI PERSONALI
«Non posso restare Presidente anche solo con l’ombra di un avviso di garanzia ». Pronunciava queste parole, lapidarie, il governatore del Piemonte, Roberto Cota, ai pm di Torino che lo ascoltavano nell’inchiesta sulle spese pazze della Regione.
Era l’11 gennaio 2013. Da allora sono passati più di 11 mesi.
E nonostante sia stata raggiunto da ben due provvedimenti, avviso di garanzia e chiusura indagini, è ancora oggi alla guida del governo piemontese.
È accusato di peculato per aver indebitamente speso oltre 25 mila euro dei fondi destinati ai rimborsi del Gruppo del Carroccio.
Tra i suoi scontrini ci sono conti per cene e pranzi al ristorante, caffè e hamburger al fast food, ma anche una valigia, un pacchetto di sigarette, libri, cravatte, dvd e custodie per ipad.
Tutte gli vengono contestate come spese personali e non attribuibili alla sua attività politica.
Cota per due volte ha scelto di andare in procura, chiedendo di farsi interrogare con il suo avvocato di fiducia (fedelissimo di Maroni) Domenico Aiello, temendo le conseguenze della nuovissima legge Severino.
“ECONOMICAMENTE CI HO RIMESSO”
Davanti ai sostituti procuratori Enrica Gabetta, Giancarlo Avenati Bassi e all’aggiunto Andrea Beconi Cota ha sostenuto di aver speso di tasca propria spesso e volentieri, di aver mantenuto l’attività politica quasi in perdita fino ad arrivare a dichiarare, come risulta dai verbali di interrogatorio: «Per fortuna mia moglie lavora, altrimenti saremmo in bancarotta».
Le sue note spese a carico della collettività ammontano a 32 mila euro di scontrini e fatture varie per due anni e mezzo di lavoro. Di questi, secondo i magistrati, 25.416 euro sarebbero illegittimi.
IL PRIMO VERBALE
Cota l’11 gennaio, in procura come semplice testimone, ha cercato di “dirigere i lavori”. Ha guidato gli inquirenti nell’intricata rete della normativa regionale su rimborsi e indennità .
Contro lui non pesavano ancora accuse specifiche eppure si è affannato a spiegare quanto si era speso per la riduzione dei costi della politica, dal 2010 al 2013, facendola passare da 44 a 10 milioni di euro.
«Se ci sono dei collaboratori o degli amministratori locali, non è giusto farli pagare — ha quindi fatto mettere a verbale — così come i pasti della scorta che io ho dal 2008». Ha ribadito nozioni e informazioni sul funzionamento della “sua” Regione, ma soprattutto ha puntato su quante volte aveva dovuto pagare di tasca propria, come quel corso di inglese a Boston che, ha detto, «Ho pagato io».
LE ACCUSE
Non è però servito il tentativo di giocare d’anticipo. Poche settimane dopo la procura gli ha comunque contestato di aver fatto acquisti personali: 3190 euro in consumazioni, 450 euro di alberghi, regali per 1577 euro, quasi 9 mila euro per cene in ristoranti piemontesi e altrettanti nel resto d’Italia, oltre a 1500 euro per oggettistica.
Lui, nell’interrogatorio del 16 aprile, ha confermato un conto di 779 euro al ristorante: ricordava bene di essere andato da “Celestina” il 23 giugno 2010, pagando 110 euro un menù completo, insieme a un giornalista Rai e a un portavoce.
È STATA LA SEGRETARIA
Ha “scaricato” più volte la responsabilità sulla sua segretaria. «Che attingeva talvolta denaro dal gruppo», ha detto come per il regalo di matrimonio all’assessore alla cultura del Pdl, Michele Coppola, oppure per gli scontrini relativi alle spese sostenute in Liguria.
Quando la procura gli contesta di aver speso 250 euro in generi alimentari, il 16 e il 17 maggio 2011, Cota risponde: «Erano per un cuoco che aveva lavorato gratis per una cena di presentazione a base di prodotti tipici al ministero dell’Economia». Sul dvd «Fair game — Caccia alla spia» si è difeso: «È stato un errore, ho restituito il denaro». E ai pm che gli chiedevano come mai avesse messo in note spese persino un pacchetto di sigarette, ha replicato: «Non sono io, non fumo quella marca».
Ottavia Giustetti e Sarah Martinenghi
(da “La Repubblica“)
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