CRESCITA ECONOMICA: PERCHE SBAGLIA CHI NON CREDE ALLA FORZA DELL’EUROPA
TUTTI I DATI, SETTORE PER SETTORE, CHE DIMOSTRANO COME L’EUROPA UNITA SAREBBE ALL’AVANGUARDIA
Una delle immagini più ricorrenti ed evocate dell’Unione europea è quella della bicicletta: deve continuare a pedalare per non cadere, nel senso che smettere il processo della progressiva integrazione le sarebbe fatale.
Si può condividere o meno questa visione e argomentare che, anche se dovesse fermarsi, ormai la costruzione europea è una realtà talmente radicata e solida da non dover più temere per il proprio futuro.
Una cosa, tuttavia, è certa: se l’Europa rimanesse ferma, pagherebbe un prezzo. E anche molto alto. Per la precisione: 2.800 miliardi di euro l’anno a partire dal 2032.
Partendo dalla domanda «quanto costa la non Europa?», il Servizio Ricerca del Parlamento europeo ha esaminato e quantificato i benefici potenziali che potrebbero essere conseguiti se l’Ue facesse miglior uso delle risorse esistenti e, soprattutto, se varasse nuove politiche comuni dando quindi risposte unitarie a problemi simili. Secondo lo studio, l’Europa per il prossimo decennio ha davanti a sé tre scenari. Vediamoli.
Status quo
Se le cose rimanessero come sono, se non ci fosse cioè alcun cambiamento delle politiche comuni e tutto proseguisse come oggi, il Pil aggregato dell’Ue passerebbe dai circa 15 mila miliardi di euro del 2022 a circa 17 mila miliardi nel 2032, con un tasso di crescita medio annuo dell’1,3%.
Frammentazione
Se di fronte a una nuova crisi economica – che i venti d’inflazione, gli scricchiolii del sistema bancario e il protrarsi della guerra in Ucraina non fanno certo escludere – i Paesi reagissero in ordine sparso dando risposte nazionali e divergenti, lo studio calcola che tra dieci anni ci sarebbe una perdita netta reale di 2.052 miliardi di euro di Pil.
Rilancio di un’azione comune
Con il varo di nuove politiche comuni in 50 settori strategici il Pil europeo passerebbe dagli attuali 15 mila miliardi odierni a 19.800 miliardi nel 2032, quindi 2.800 miliardi in più rispetto allo scenario dello Status quo, con un tasso medio annuo di crescita del 2,9%.
Naturalmente non tutte le politiche sarebbero a regime allo stesso tempo e, quindi, a quella cifra ci si arriverebbe per approssimazioni successive, ma alla fine della fiera quello sarebbe il vantaggio sostenibile della maggior integrazione. Ben inteso, i benefici futuri non sostituirebbero o metterebbero in discussione quelli derivanti dalle politiche dei singoli Stati membri a livello nazionale, regionale e locale, ma li integrerebbero e li rafforzerebbero.
Cosa bisogna fare per ottenere questo risultato?
Un potenziale immenso è nel settore dei trasporti: oggi non si viaggia alla stessa velocità. Per esempio un treno merci quando un treno passa da uno Stato all’altro trova strozzature e ostacoli spesso insormontabili: i binari possono essere più larghi (come nei Paesi Baltici e in gran parte dei Paesi dell’est) o più stretti (in aree della Spagna) o la rete è vecchia e lenta (come nel Sud Italia).
In tutti questi casi il trasporto deve passare su gomma. In sostanza investire nelle interconnessioni, facendo del Sistema Europeo di Gestione del Traffico Ferroviario (Ertms) l’unico sistema di segnalamento utilizzato sulla rete globale Ten-T e completando il mercato unico di beni e servizi eliminando le barriere residue, porterebbe nel giro di 10 anni a vantaggi pari a 507 miliardi di euro.
Il mercato unico
Nel mercato unico esistono ancora troppe distorsioni. Se le imprese continuano a farsi concorrenza non sulla qualità dei prodotti o servizi, ma in base alle agevolazioni fiscali offerte da questo o quel Paese, non sarà mai efficiente.
Armonizzare le agevolazioni e introdurre l’obbligo di fatturazione elettronica per tutti i Paesi membri genererebbe 94 miliardi di Pil europeo aggiuntivo.
E poi c’è il divario relativo all’imposta sul reddito delle società che operano in più di uno Stato membro (oggi gli utili li collocano dove la tassazione è più bassa): l’Ue dovrebbe creare norme comuni per queste imprese e rafforzare lo scambio di informazioni tra le amministrazioni fiscali. Questo comporterebbe anche una riduzione della burocrazia e dei costi di adempimento.
Unione economica e monetaria
Il completamento dell’Unione economica e bancaria è l’altra grande incompiuta dell’Ue. Si tratta in primo luogo di coordinare in modo più efficace le politiche di bilancio fra i Paesi membri, creando anche una tesoreria europea; dare il via al sistema europeo di assicurazione dei depositi. Inoltre è necessario diversificare le fonti di finanziamento dell’Unione per sostenere rischi e innovazione; sviluppare centri finanziari comuni; rafforzare gli strumenti esistenti o crearne di nuovi per attenuare i rischi della disoccupazione, sul modello Sure; varare norme in grado di garantire maggior trasparenza e controllo della finanza digitale. Queste azioni faciliterebbero fra l’altro la solidarietà fra i Paesi membri, garantendo condizioni di parità che impediscano azioni isolate, politiche di bilancio poco coordinate o comportamenti opportunisti. Potrebbero generare 321 miliardi di euro di Pil aggiuntivo entro il 2032.
Transizione energetica
L’Unione si è data come obiettivo il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Per ridurre i consumi energetici bisogna fare tutti le stesse cose: graduale abbandono dei combustibili fossili, miglioramento dell’efficienza energetica e semplificazione delle procedure per l’ampliamento della produzione di energie rinnovabili. Investimenti tecnologici comuni porterebbero, nel decennio, benefici sull’ambiente e nella creazione di nuovi posti di lavoro quantificabili in 420 miliardi. Altre misure suggerite sono la creazione di un sistema che impedisca l’immissione sul mercato Ue di prodotti e materie prima derivanti da territori disboscati e la fissazione del prezzo del carbonio, i cui proventi potrebbero essere redistribuiti ai più vulnerabili, attenuando l’impatto sociale negativo della transizione verde.
Sviluppo digitale
La digitalizzazione delle piccole e medie imprese, norme comuni sui lavoratori delle piattaforme digitali (riders e autisti di Uber, per esempio, che oggi non hanno nessuna tutela) e una robusta protezione dei dati e della riservatezza delle comunicazioni significherebbero un valore aggiunto pari a 327 miliardi di euro.
Politica sanitaria
Gli anni del Covid hanno mostrato tutta la necessità di una politica comune della sanità, che oggi invece è di competenza degli Stati membri. La creazione di un Fondo Ue destinato a migliorare le strutture ospedaliere, per fare acquisti congiunti di attrezzature e medicinali, e nuove norme per più trasparenza nella fissazione dei prezzi porterebbero un maggior guadagno di almeno 34 miliardi.
Difesa comune
Quanto alla difesa europea, la guerra di aggressione russa in Ucraina ha riportato d’attualità il tema della sua assenza. «Eppure – ricorda il capo dell’Unità Analisi valore aggiunto del Servizio Ricerca del Parlamento Europeo Lauro Panella Panella – se sommassimo l’attuale spesa militare dei 27 Paesi, sarebbe quasi pari a quella cinese, seconda solo a quella degli Stati Uniti».
Ma la spesa dell’Ue per la difesa è frazionata, coordinata poco e male, con cooperazioni sporadiche, segnata da duplicazioni, incapace di economie di scala. Un esempio per tutti, i 14 diversi modelli di carri armati prodotti in Europa. Una maggiore integrazione del bilancio per la difesa porterebbe invece non solo a risparmi e guadagni di efficienza, in termini di minori costi amministrativi e minori sovrapposizioni, ma anche a una forte spinta nel campo della ricerca e sviluppo, che fa poi da volano (come avviene negli Usa) ad applicazioni civili. I guadagni potrebbero essere compresi tra 24 e 75 miliardi l’anno, solo in questo settore.
Corruzione
Investire in un Paese dove la giustizia non funziona bene ha costi enormi. Rafforzare la lotta alla corruzione potenziando il quadro legislativo europeo, rendere più severi i requisiti di trasparenza per gli appalti pubblici dell’Ue genererebbe quasi 140 miliardi di euro. Occorre anche rendere più intensa la cooperazione di polizia e quella giudiziaria e migliorare le misure europee per il sequestro di proventi e beni di individui e organizzazioni criminali.
Salario minimo e immigrazione legale
Uno dei grandi successi dell’Unione europea sono stati i fondi strutturali, che hanno fatto da volano alla crescita di Spagna e Portogallo e in seguito di Paesi come Polonia, Ungheria e Baltici. Aumentarne la dotazione per favorire le aree meno sviluppate, combattere povertà e disuguaglianze armonizzando verso l’alto il salario minimo e creando percorsi comuni per l’immigrazione legale, si tradurrebbe in un plus valore di 356 miliardi.
«I benefici – spiega lo studio – deriverebbero dall’aumento dell’occupazione, dal miglioramento del salari e delle condizioni di lavoro, che si traducono in una base imponibile più ampia, una più efficiente allocazione del capitale umano e una migliore integrazione dei lavoratori mobili e dei cittadini di Paesi terzi». Inoltre, occorre facilitare ulteriormente la libera circolazione dei lavoratori, per esempio riconoscendo le qualifiche professionali o avvicinando i sistemi di sicurezza sociale.
Cooperazione internazionale
In realtà, sul fronte dell’azione esterna c’è molto di più. Promuovendo il commercio sostenibile, rafforzando la rappresentanza diplomatica comune e la protezione consolare dei cittadini dell’Ue, non ultimo coordinando la politica di sviluppo verso un partenariato più efficace evitando sovrapposizioni e duplicazioni nell’azione dei singoli Stati membri, si potrebbero generare benefici pari a 145 miliardi euro l’anno entro il 2032.
Sviluppo della conoscenza
«Se potessi tornare indietro, ricomincerei dalla cultura» disse una volta Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Europa. Lo studio propone l’ampliamento del programma Erasmus+, che consente per esempio agli studenti europei di frequentare per un semestre (valido per il corso di laurea) un ateneo dell’Ue, estendendolo a persone di età e contesti diversi. Inoltre, un più forte programma di ricerca finanziato dall’Ue nei settori dell’energia e dell’ambiente, più risorse per il settore culturale, un pacchetto di misure per sostenere la libertà e il pluralismo dei media. Da sole, queste azioni potrebbero produrre benefici per quasi 70 miliardi di euro l’anno, generando reddito e posti di lavoro, diffusione delle conoscenze, maggior coesione sociale e creatività culturale.
Il modello per il futuro
La forza dell’Unione europea si è vista durante la crisi pandemica, quando l’azione comune ha assicurato vaccini a prezzi ragionevoli per tutti i suoi Stati. Per la prima volta è stato fatto un fondo (Sure) con debito europeo da 100 miliardi a bassissimo interesse da prestare agli Stati membri per pagare la cassa integrazione. E infine grazie al Next Generation EU ha avviato la transizione verde rimettendo l’Europa sulla strada della crescita e dello sviluppo sostenibile. L’estensione di questo modello porterebbe a una Europa più efficiente, forte e prospera.
(da Il Corriere della Sera)
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