CRISANTI, IL VIROLOGO ERETICO CHE NON LE MANDA A DIRE
RITRATTO DEL PROF CHE HA DETTO TANTE VERITA’ PRIMA DEGLI ALTRI
“Contro il Covid bisogna trasgredire”. E ancora: “Ho violato le regole e ho fatto bene”. Se c’è uno che nei mesi pandemici non le ha mai mandate a dire, questo è Andrea Crisanti, parassitologo di professione, virologo per elezione, eretico per acclamazione. Tipo tosto, spesso in anticipo, modalità suo malgrado grillo parlante.
Parole fuori dai denti.
Alla politica, al suo ex governatore, agli esperti suoi colleghi, al “baraccone da smontare e rifare” dell’Oms, al governo e al suo comitato tecnico scientifico con cui ha provato invano a collaborare.
Alla “vergognosa” Lombardia, che ha osato candidarsi a ospitare il G20 della Salute della von der Leyen, “dopo aver sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare”.
Non c’è livello politico o tecnico che il 66enne professore romano con famiglia e vita pre-Covid a Londra, non abbia incrociato e ridotto in molecole di dimensioni pari a quelle studiate all’Imperial College per venti anni.
Lì, si trattava di interferire con il tasso riproduttivo delle temibili Anopheles gambiae attraverso zanzare geneticamente modificate per ridurne la capacità di trasmettere malattie infettive come la malaria.
Qui, di penetrare il rumore di fondo, il chiacchiericcio tecnico-politico quotidiano su un evento epidemico, tanto misterioso quanto popolare, sulla bocca di tutti. Di violentarne le prassi e i protocolli, come a Vo’ Euganeo, dove si è messo fare tamponi agli asintomatici, evitando il peggio. “Se mi adattavo al gregge il Veneto sarebbe andato in rotta di collisione con il virus, come Lombardia e Piemonte”.
Trasgredire, violare i protocolli, osare. E dire l’indicibile. In tempi più schietti e meno riflessivi di questi, uno così lo avrebbero accompagnato su una catasta di legna e avrebbero appiccato il fuoco. E lui, col suo fare mite e diretto da monaco medievale, avrebbe approfittato del tragitto per dire l’ultima delle cose che avremmo voglia di sentire: “Credo che un lockdown a Natale sia nell’ordine delle cose”. Come proferito nel più contemporaneo studio tv di Rainews 24.
Già , il lockdown, la parola proibita. Il non detto che circolava velenoso e carsico nei corridoi ministeriali e governativi. L’impronunciabile seconda chiusura, inaccettabile per i detentori del consenso e per il Paese, che ancora deve riprendersi dagli effetti della prima.
Che poi nemmeno gli interminabili 69 giorni di marzo-aprile erano andati giù al direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Università di Padova che avrebbe preferito chiudere immediatamente solo la Lombardia e successivamente, “mettere in sicurezza il resto d’Italia”. Ma non in maniera generalizzata, bensì, attaccando i piccoli focolai che c’erano e spegnerli subito. Insomma, il governo ha peccato di troppa cautela. Se fosse quel celebre ciclista sarebbe tutto sbagliato, tutto da rifare.
Per non parlare del dopo, della cosiddetta fase 2. La riapertura di maggio? “Mancano tracciamenti e controlli, non è stata organizzata”. E ancora: “Si è scelto di seguire le spinte economiche, non quelle medico-scientifiche”. E ad agosto era tutto uno scagliarsi contro chi, anche nella comunità scientifica, iniziava a minimizzare la potenza del virus, “troppi errori e messaggi sbagliati, presto avremo mille infetti al giorno”. Delle discoteche affollate non si capacitava proprio, “non solo andrebbero chiuse, ma proprio non dovevano aprire”. Del sole in tasca di Zangrillo, potendo, avrebbe fatto cenere
Un florilegio di anatemi che, forti dell’autorevolezza del modello Vo’, talvolta andavano a segno. Tanto che il governo al professore dei tamponi, arrivava a chiedergli aiuto e un massiccio piano dei test per affrontare la seconda ondata con le scuole aperte.
Eccola, la proposta. 400mila tamponi al giorno per contrastare la diffusione del maledetto Covid-19. Non proprio una passeggiata per il sistema italiano che si sarebbe trovato a quadruplicare su scala nazionale la capacità di testare sintomatici e non. Piano di cinque pagine, con “modalità e costi inferiori a quanto speso finora”, appoggiato anche da Massimo Galli, l’infettivologo dall’ormai celebre pessimismo cosmico del Sacco di Milano. Piano consegnato a un ministro e un viceministro, sottoposto al Cts, ma di fatto, per ora, inapplicato. Anzi, a sentir Crisanti, ignorato: “Abbiamo perso quattro mesi preziosi e ora piangiamo”.
“Se i contagi salgono si perde il controllo”, è il mantra del professore, che non riesce a darsi pace. In attesa del vaccino, servono test di massa e tracciamento. Persino l’ex presidente Bce Mario Draghi lo ha dichiarato. “Un messaggio importante da parte sua, l’ho appreso con piacere”. E a chi gli contesta la difficile applicazione su vasta scala di un successo locale, replica che una città non è mai completamente infetta, ci sono anche lì dei cluster, delle piccole Vo’. “Il modello può essere applicato al raggruppamento urbano, al quartiere, al gruppo di case. Ma bisogna andare a fare indagini e sorveglianza attiva”. Insomma, inamovibile.
Inevitabilmente si torna in Veneto. Regione, a suo dire, più preparata di altre a un’emergenza pandemica. Dove regna da anni un altro virus, quello del Nilo Occidentale, e quindi “in qualche modo nel territorio avevamo le competenze per capire cos’è un’epidemia”. Le altre Regioni no: “Hanno avuto il lusso di non averne da 60-70 anni”.
Inevitabilmente si arriva allo scontro con Luca Zaia, il governatore che dopo averne beneficiato, fino alla trionfante rielezione, ha tradito il modello. Uno dei pochi che lo ha anche attaccato per la troppa tv, ha riaperto cinema e discoteche e ne ha minimizzato i meriti.
“Sa cos’è successo?”- raccontava Crisanti a chi gliene chiedeva conto – “C’è stato un cambio totale di politica della Regione”. Per colpa di “quattro polemiche, tutto è cambiato. Le esigenze politiche hanno prevalso sulle indicazioni della scienza”. Risultato: a luglio indice del contagio in risalita, offensiva contro i consiglieri più ascoltati a Palazzo Balbi, dimissioni dal Comitato scientifico della Regione. E sulla conferma a governatore: “Ha vinto grazie a me, da solo avrebbe combinato un disastro”.
D’altro canto, figuriamoci se aveva problemi a dirne quattro al novello doge, uno che non si è fatto scrupoli di bombardare il celeste impero. La Cina di Xi “che ha mentito sull’inizio della pandemia, sul numero dei casi, sulla mortalità e sugli asintomatici. Una totale mancanza di trasparenza”. Con un temperamento e una popolarità di tal fatta, non potevano mancare le lusinghe della politica. È saltata solo in extremis la candidatura alle suppletive per un seggio in Senato, frutto di un accordo tra 5 stelle e il partito democratico, in cui il “liberal senza casa, attento alla giustizia sociale”, trova “un punto di riferimento”. Poco male, magari — come ha anticipato — tra cinque anni si candida.
Nel transitorio, godiamoci il suo status di battitore libero e accontentiamoci della sua franchezza, ora che ci attende una nuova stagione di sacrifici, provvedimenti discutibili, chiusure e Dpcm. Certi che al cospetto dell’educazione sentimentale all’emergenza che il premier Conte e il suo governo sembrano nuovamente propinarci, il Crisanti, da bravo eretico, tornerà a sbuffare. Perchè già nella prima ondata, “bisognava dire la verità fin dall’inizio, e non quindici giorni alla volta”, e non trattare “gli italiani come ragazzini”. Che le fiamme non lo divorino.
(da Open)
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