CROLLA ANCHE IL MERCATO AUTO E IL MANUFATTURIERO MENTRE IL GOVERNO E’ IN FUGA DALLA REALTA’
CONTE VANEGGIA: “SARA’ UN ANNO BELLISSIMO”, MA TRIA APRE A UNA REVISIONE DELLE STIME
Italy is opportunity: titoli di Stato, ma anche infrastrutture e privatizzazioni.
Queste occasioni vanno colte e soprattutto – negli auspici e nelle necessità del governo gialloverde – con una certa rapidità .
Lo impone la recessione tecnica, anche se la motivazione va tenuta in sordina, sotto voce.
A New York è da poco sorto il sole e il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sa già che dovrà portare a termine una giornata delicata, a stretto contatto con il gotha dell’economia e della finanza statunitense.
Il mandato che arriva da Roma è quello del corteggiamento condito dall’entusiasmo. Il premier Giuseppe Conte ha da poco ribadito il concetto: il 2019 sarà un anno “bellissimo”.
Ma all’indomani dell’arrivo della recessione tecnica contro l’ottimismo dell’esecutivo si scagliano altri tre macigni.
Le immatricolazioni delle nuove auto hanno registrato un tonfo a gennaio, la manifattura non va così male dal maggio del 2013, il Centro studi di Confindustria paventa il rischio di una crescita vicina allo zero.
Tria rifiuta l’idea del governo che è andato in America a chiedere l’elemosina e lo dice chiaramente quando incontra i giornalisti nella sede del consolato italiano per tracciare un bilancio della sua visita al di là dell’Atlantico: “Non ho chiesto favori all’amministrazione Trump, ho solo spiegato” come vanno le cose in Italia.
E anche se le cose in Italia vanno male, la necessità di trovare una sponda tra gli investitori di peso si è dovuta comunque calare nell’atmosfera di ottimismo che Conte, insieme a Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno provato anche oggi a far prevalere in Italia, allontanando nuovamente l’ipotesi di una manovra correttiva.
Tria conferma: nessun intervento restrittivo in vista. La linea non cambia anche perchè una grande idea non c’è, come emerso al vertice del triumvirato che si è tenuto ieri a palazzo Chigi.
Si va avanti con la manovra, puntando sul reddito di cittadinanza, quota 100 e investimenti, anche se sono leve sul Pil scariche e fragili.
Solo che la zavorra della recessione si fa sempre più pesante.
Entrando nella pancia della flessione del Pil e delle prospettive che si aprono nei prossimi mesi si scopre che un pezzo importante dell’economia italiana, cioè la manifattura, è in crisi. È il quarto mese di fila.
Ma il livello si è abbassato ancora, toccando il livello più basso da cinque anni e mezzo.
Sono in calo produzioni, nuovi ordini e anche le esportazioni.
I contratti a tempo determinato del settore non seguono i desiderata di Di Maio e del decreto dignità : i rinnovi sono sempre meno.
E poi c’è l’auto, un comparto tradizionalmente di punta: a gennaio le nuove immatricolazioni sono scese del 7,55% rispetto allo stesso mese del 2018. Meno di 165mila macchine immesse sulle strade.
L’escalation qualitativa della recessione tecnica ha portato Confindustria a parlare di un 2019 oramai ipotecato sul fronte della mancata crescita.
L’eredità del 2018 sul Pil è negativa (-0,2%), la produzione industriale è piatta, i servizi poco sopra. Anche con uno sprint a partire dal secondo trimestre è “alta la probabilità di una crescita annua poco sopra lo zero”.
Il governo, nelle esternazioni, non si vuole fare trascinare in questa spirale e punta a una ripartenza nel secondo semestre anche se centrare così l’obiettivo del Pil all’1% è pressocchè irrealistico secondo gli economisti e le principali organizzazioni nazionali e internazionali del settore.
Dietro l’invito a non farsi contagiare dal pessimismo di Tria c’è tutto questo. E c’è l’urgenza, mai come ora, di cercare investitori, imprese e fondi disposti a entrare in Italia portando soldi e lavoro.
Il ministro prova a sostenere la narrazione e dichiara che la ripresa è possibile. Ma nella narrazione dell’anno “bellissimo” lancia un segno. È un movimento per ora abbozzato, ma c’è.
È la prima sfumatura all’interno del governo che va in controtendenza, senza tuttavia sconfessarla, rispetto alla linea dura e pura dello stesso presidente del Consiglio e dei suoi due vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Perchè il titolare del Tesoro ha rotto il tabù del Pil immune dalla recessione tecnica. Se si viaggerà ancora in territorio negativo, addirittura lambendo il terreno radioattivo della crisi – è il ragionamento – allora quel +1% scritto nero su bianco nella manovra potrà cambiare.
“Quando ovviamente il governo dovrà rilasciare altri documenti con nuove previsioni sul tasso di crescita, ovviamente le correggeremo”, ha detto Tria da Washington. Quanto lo scostamento di Tria possa diventare una crepa, riproponendo quei dissidi con Lega e 5 stelle che hanno accompagnato la gestazione della manovra, lo deciderà l’andamento dell’economia nei prossimi sei mesi.
La prima data obbligata già c’è è metà aprile, quando il governo dovrà presentare la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, la cornice dei conti pubblici. Ed è un intervallo temporale assai rischioso perchè a ridosso delle elezioni europee di fine maggio.
Una sfumatura si diceva. Perchè a decretare come la posizione del ministro dell’Economia sia sostanzialmente allineata a quella del triumvirato di governo è l’exit strategy, che non prevede la manovra correttiva.
Le motivazioni che fanno da cemento a questa linea sono sostanzialmente di opportunità politica e di credibilità .
La prima è quella di Lega e 5 Stelle, che non possono permettersi il lusso di arrivare alle elezioni europee di fine maggio con il fardello di un intervento correttivo che necessariamente si tradurrebbe in tagli e nel rischio di un inasprimento delle tasse. Quella della credibilità è invece una partita che si gioca l’intero esecutivo, che dopo il passaggio dalla linea oltranzista a una decisamente più moderata, punta ancora e anzi in maniera esclusiva sulla capacità espansiva della legge di bilancio. Una sicurezza ostentata che si regge però su due leve fragili: il reddito di cittadinanza che impatterà appena per lo 0,2% del Pil e gli investimenti ridotti a poche centinaia di milioni per il 2019.
Sconfessare la linea già nelle prossime settimane è un’ipotesi che fonti di governo definiscono “più che irrealistica”. Si tira avanti con l’entusiasmo.
(da”Huffingtonpost”)
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