DA BARI A MILANO, I COMUNI ITALIANI SI MOBILITANO PER L’ACCOGLIENZA DEI RIFUGIATI AFGHANI
SCHIERATO ANCHE IL SINDACO LEGHISTA DI FERRARA
“Saremo i primi ad accogliere chi fugge dall’Afghanistan”, lo ha dichiarato il sindaco di Ferrara Alan Fabbri all’indomani dell’arrivo dei talebani a Kabul.
Il primo cittadino leghista ha sottolineato come quella che sta attraversando il Paese, tornato nelle mani del gruppo islamista, sia una situazione che non ha a che fare con i partiti ma “con l’umanità che dovrebbe contraddistinguere ognuno di noi”, in controtendenza con quanto affermato dal segretario del suo partito, Matteo Salvini, il quale vorrebbe offrire ospitalità “a donne e bambini in pericolo”, ma non ai migliaia di afghani che faranno domanda di asilo in Italia.
L’orientamento di Fabbri è quello espresso dalla maggior parte dei sindaci italiani sull’accoglienza dei collaboratori afghani del governo italiano.
Da quando Kabul è ricaduta sotto il controllo dei cosiddetti studenti coranici centinaia di comuni, da Bari a Bolzano, si sono detti pronti a mettere a disposizione le proprie strutture di accoglienza, a prescindere dal colore del governo locale.
Lo conferma a TPI il sindaco di Bari e presidente dell’Associazione Nazionale dei comuni italiani (Anci) Antonio Decaro, il quale ha proposto di ampliare il sistema di accoglienza e integrazione (la rete Sai) che già ospita 500 famiglie afghane su tutto il territorio nazionale per distribuire i nuovi arrivi.
“Abbiamo dato disponibilità al governo per due motivi: il primo è che abbiamo già una rete attiva proprio per le famiglie dei collaboratori afghani, come previsto da una legge del 2014: ci sono oltre 500 persone originarie dell’Afghanistan che in questi anni accogliamo nella rete degli ex Sprar”, spiega Decaro.
“Contemporaneamente abbiamo paura che attraverso le prefetture ci siano delle concentrazioni: i collaboratori sono circa 2mila, se li portano tutti in un piccolo comune perché c’è una caserma che trasformano in un Cas è chiaro che si possano avere delle tensioni e sicuramente non parliamo d’integrazione in quel caso”, continua.
Di qui la proposta di espandere il sistema già attivo. “Un terzo dell’accoglienza la fanno già i comuni: sono oltre 25mila le famiglie, non solo di rifugiati afghani, accolti nella rete Sai, per un totale di 690 comuni coinvolti. E in questa emergenza specifica in tanti, indipendentemente dall’orientamento, hanno dato disponibilità”, aggiunge il primo cittadino.
Milano ha già accolto i primi arrivi: 34 persone in tutto, di cui 16 bambini, giunte giovedì a Ciampino con un ponte aereo dell’esercito. Sono le dottoresse del centro ginecologico di Herat della Fondazione Veronesi e i loro familiari più stretti. Ora si trovano in un Covid hotel sotto la responsabilità sanitaria di Ats Milano.
Intanto la prefettura, insieme al Comune di Milano e ad altri centri lombardi, sta smistando i primi 160 profughi afgani che per la ripartizione nazionale spettano alla regione. Altre decine sono già state destinate alle relative strutture di accoglienza in Veneto e in Trentino Alto Adige, altri attendono indicazioni. Come i comuni del modenese, che hanno dichiarato “piena disponibilità a collaborare”. “Modena ha tutto per accoglierli”, commentano dallo staff del sindaco Gian Carlo Muzzarelli. E se a Bari i posti per il momento sono limitati – motivo per cui è stato chiesto l’ampliamento della rete Sai – famiglie, parrocchie e associazioni hanno espresso la volontà di prendere in casa i profughi, o di fare domanda di adozione “non solo di minori, ma di intere famiglie”, racconta Decaro.
Sono circa 2.500 i civili afghani, collaboratori del governo italiano e loro familiari, che dovrebbero essere trasferiti in Italia, di cui 1.600 sono già stati evacuati. Ma la questione principale emergerà nei prossimi mesi, quando la domanda aumenterà ben oltre queste cifre e il vero nodo riguarderà tutti i civili afghani in fuga dal Paese, non solo gli ex collaboratori della Nato, che già prima della presa definitiva di Kabul – secondo le stime dell’Oim – erano circa 30mila a settimana. È qui che il colore politico potrebbe tornare ad avere un peso.
Ieri il premier sloveno Janez Jansa, che detiene la presidenza semestrale del consiglio dell’Ue, ha detto che “l’Unione Europea non aprirà corridoi umanitari per i migranti”. A poco sono servite le rassicurazioni del Presidente del Parlameno Ue, David Sassoli, il quale ha replicato che “certamente uno sforzo di solidarietà deve essere compiuto”, perché sui leader europei incombe lo spauracchio del 2015, quando un milione di rifugiati siriani raggiunsero l’Europa attraverso i Balcani e la Grecia, spingendo la Commissione a dare vita a un nuovo modello di accoglienza, quello dell’istituzione di hotspot al confine.
La Grecia è già corsa ai ripari, avviando la costruzione di un muro di 40 chilometri lungo la frontiera con la Turchia, per fermare l’eventuale ondata di migranti in arrivo. “Dobbiamo proteggerci dai grandi flussi di migranti irregolari”, ha dichiarato il premier francese Emmanuel Macron.
Se questa è la rotta indicata dai leader dell’Ue, anche la solidarietà dei sindaci più volenterosi potrà servire a poco. “Come presidente dell’Anci che rappresenta 8mila comuni posso dire che sono scelte che spetteranno al governo. Se i numeri aumenteranno credo che il problema dovrà essere affrontato a livello internazionale, e tutti i Paesi dovranno farsi carico di chi sta scappando da un regime – dice Decaro – Bari ha già dimostrato 30 anni fa di essere accogliente. Personalmente credo che non possiamo girarci dall’altra parte”.
(da agenzie)
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