DAL “GIOVANE†AGLI EVERSIVI, NAPOLITANO STRIGLIA TUTTI
ALL’ACCADEMIA DEI LINCEI UNO DEGLI ULTIMI DISCORSI DEL PRESIDENTE… UN DURISSIMO ATTO D’ACCUSA ALLA POLITICA, MATTEO INCLUSO
“Après moi le dèluge!”. “Dopo di me il diluvio”.
È questo e solo questo il cupo, sorprendente senso finale del discorso che il capo dello Stato ha svolto ieri ai Lincei, di fronte ad accademici e studiosi.
Quaranta minuti devastanti, in tutto venti cartelle, che a caldo hanno fatto notizia per l’antipolitica definita “patologia eversiva”.
Una durissima critica interpretata unilateralmente come il solito, scontato attacco al Movimento 5 Stelle.
Ma nella prolusione di Giorgio Napolitano, tenuta alle classi riunite dell’Accademia dei Lincei, cioè la classe di scienze morali e quella di scienze fisiche, c’è molto di più.
Un’analisi densa da vecchio comunista che lega la fine del suo secondo e breve mandato ai destini tragici del Paese. Dopo di me il diluvio, appunto.
Le speranze, le allusioni (e poi le lacrime)
La prima sorpresa si trova alla fine ed è per questo che l’intervento va letto a ritroso.
Qui, infatti, il presidente della Repubblica infila la sua delusione per il renzismo, prima dilagante adesso appannato.
Non è un caso che in questo passaggio, l’ottantanovenne Napolitano si ferma e si commuove per ben due volte. La voce si smorza fino al silenzio, che la platea interrompe con un lungo applauso.
Il capo dello Stato cita il filosofo Paolo Rossi Monti, morto due anni. E riprende una stroncatura dell’amico filosofo che non c’è più, di qui il tono che si spezza e si ferma, dall’operetta Speranze: “Egli stroncò sia i senza speranze sia i banditori di smisurate speranze e indicò, con grande sapienza storica, la strada maestra delle ragionevoli speranze”.
Chiosa Napolitano: “Mi auguro siano risultate tali quelle ricavabili dalle mie considerazioni sulla politica, tenendoci ben lontani sia dai senza speranze sia dai banditori di smisurate speranze”.
Com’è tradizione, il presidente non nomina nessuno. Allude in maniera autorevole. Tra i senza speranze colloca gli apocalittici Beppe Grillo e Matteo Salvini, ultimo arrivato.
Il banditore invece è uno solo, a fronte del crepuscolo berlusconiano. Il premier, naturalmente.
La certezza si radica con le righe successive: “In questo inaspettato prolungamento del mio impegno istituzionale ho avuto la fortuna di incontrare molti giovani all’inizio della loro esperienza parlamentare e di governo, cui sono giunti spesso senza alcun ben determinato retroterra”.
Banditori di smisurate speranze per giunta senza alcun ben determinato retroterra.
Le minacce in Parlamento e il retroterra che non c’è
Il riferimento al “retroterra” si collega all’analisi che impegna gran parte dell’intervento di Napolitano sul “ruolo insostituibile dei partiti”.
Il capo dello Stato rievoca il suo antifascismo e la sua lunghissima militanza nel Pci e rimpiange la formazione novecentesca dei partiti pesanti.
Di qui “l’impoverimento culturale dei politici e dei partiti” di oggi, cui ha fatto seguito “l’impoverimento morale” e la perdita dei valori.
Questo è il filo che per Napolitano tiene tutto: “la routine burocratica”, “il carrierismo personale”, “la miserevole compravendita di favori”, “il torbido affarismo e la sistematica corruzione”, “le infiltrazioni criminali” emerse dai “clamorosi accertamenti della magistratura nella stessa Capitale”.
Un quadro impietoso che ingloba la patologia eversiva dell’antipolitica, dal “decadimento” e dalla “faziosità ” della politica al più generale “degrado sociale”.
Al punto che di nuovo “rischiamo, nella fase attuale, il logoramento e la perdita delle conquiste del periodo di riscatto e di avanzamento conosciuto dall’Europa” dopo la tragedia del nazifascismo.
Il capo dello Stato ritorna al ’92 e ammette il bisogno di pulizia della politica simboleggiato dal pool di Mani Pulite ma poi insiste più sugli effetti della corruzione, l’antipolitica, che la corruzione stessa.
I grillini, ovviamente non nominati, sono i protagonisti in negativo di una stagione che vede in Parlamento “metodi e atti concreti di intimidazione fisica, di minaccia, di rifiuto di ogni regola e autorità , e in sostanza tentativi sistematici ed esercizi continui di stravolgimento e impedimento dell’attività politica e legislativa di ambedue le Camere”.
Unica soluzione sarebbe una “larga mobilitazione collettiva volta a demistificare e a mettere in crisi le posizioni distruttive ed eversive dell’antipolitica”.
La Casta e il Corriere: ”Nel fango senza scrupoli”
Nella critica all’antipolitica, Napolitano include il Corriere della Sera e il filone della Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.
È la seconda novità dopo il Renzi “banditore di smisurate speranze”.
Dice il capo dello Stato sulla critica della politica e dei partiti “degenerata in antipolitica: “Di ciò si sono fatti partecipi infiniti canali di comunicazione, a cominciare da giornali tradizionalmente paludati, opinion makers lanciatisi senza scrupoli a cavalcare l’onda, per impetuosa e fangosa che si stesse facendo”. Ingiustizie, malessere e la violenza che si accende
A differenza, infine, di altre fasi storiche recenti, stavolta il presidente scorge dietro l’eventuale fallimento di Renzi, e quindi delle riforme, l’abisso della violenza, il vuoto dell’apocalisse. Non più il boom elettorale dell’antipolitica.
È la terza e ultima novità del cupo pessimismo di Napolitano (altro che “ragionevoli speranze”). Il capo dello Stato ha ben presente le vacue promesse del “banditore”, la fragilità del patto tra lui e il Condannato, finanche la crisi che ha investito il Movimento 5 Stelle.
Ergo, dopo aver citato Isaiah Berlin: “Esiste un rischio nel nostro Paese, di focolai di violenza destabilizzante, eversiva, che non possiamo sottovalutare, evitando allo stesso tempo l’errore di assimilare a quel rischio tutte le pulsioni di malessere sociale, di senso dell’ingiustizia, di rivolta morale, di ansia di cambiamento con cui le forze politiche e di governo in Italia debbono fare i conti”.
In quaranta minuti, a partire dalle cinque della sera, il capo dello Stato condensa un discorso feroce, ancora più cattivo di quello del giorno del suo secondo insediamento. E lo fa meno a un mese dalle sue dimissioni annunciate.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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