DECADENZA, L’IRA DI BERLUSCONI: “VOGLIONO AMMAZZARMI DUE VOLTE”
“PRIMA CON LA LEGGE DI STABILITA’, POI CON LA DECADENZA: MI ERA STATO GARANTITO CHE IL VOTO SULLA DECADENZA SAREBBE STATO POSTICIPATO A NATALE”… E RIPRENDONO LE CENE DELLE DUE CORRENTI
“Mi vogliono ammazzare due volte. Prima con una legge di stabilità che massacra il nostro elettorato. Poi votando la decadenza e portando il mio scalpo al congresso del Pd”.
È quando le agenzie battono che la capigruppo al Senato ha fissato la data del 27 sulla decadenza che Silvio Berlusconi vede materializzarsi “l’omicidio politico”.
Anzi, l’omicidio perfetto.
L’ira è direttamente proporzionale alla sorpresa. Perchè Alfano e Schifani gli avevano assicurato che la decisione sulla decadenza sarebbe slittata anche di un mese.
Nel corso della cena ad Arcore l’ex segretario si era detto certo che era possibile guadagnare tempo fino a Natale.
Con l’obiettivo di ottenere un doppio risultato: aspettare l’arrivo della sentenza di Strasburgo e del Lussemburgo (i ricorsi europei del Cav sulla Severino) e mettere a riparo la manovra in tutto il suo iter parlamentare, prima al Senato poi alla Camera, poi di nuovo al Senato senza inquinare il percorso col voto che rischia di far saltare tutto.
Era questo che avrebbe discusso il vicepremier nel suo incontro al Colle.
E invece è accaduto l’opposto.
Con la legge di stabilità che sarà licenziata da palazzo Madama il 22 e l’Aula che si trasformerà in una “ghigliottina” per Berlusconi cinque giorni dopo: “E’ un modo per mettere in salvo il governo — spiegano nella cerchia ristretta del Cavaliere — facendo togliere il disturbo a Berlusconi nel modo più indolore per loro. Una volta votata la fiducia sulla legge di stabilità è difficile far saltare tutto sulla decadenza cinque giorni dopo”.
Non solo. Ma in queste condizioni la legge di stabilità rischia di essere un bagno di sangue per il Pdl.
È questo lo scenario che tratteggiano nella war room: una volta licenziata dal Senato, mentre si vota la decadenza, la legge approda alla Camera dove il Pd ha i numeri per cambiarla da solo; poi torna al Senato col Pdl decapitato e con pochi margini per cambiarla.
Eccola, la trappola. Sulla quale il Cavaliere vede le impronte digitali di Giorgio Napolitano ma anche di Angelino Alfano.
Perchè è chiaro che così i suoi margini di azione si restringono.
Rompere sulla legge di stabilità è una manovra ad altissimo rischio, che esporrebbe il Pdl non solo alla scissione ma alla delegittimazione nostrana e internazionale.
Però porgere l’altra guancia significa accettare l’umiliazione di essere stato cacciato con tanto di urgenza nei tempi e di voto palese.
E arrivare alla fine del percorso “morti” con una legge di stabilità che toglie voti e la decadenza che toglie il leader.
Chi lo ha sentito racconta che la reazione del Cavaliere è quella del leone ferito. Insofferente con Alfano e con i ministri, almeno un punto lo ha fissato: “Il 27 in Aula parlo io e li voglio guardare tutti negli occhi quelli che mi sparano addosso”.
E’ in un clima tesissimo che ogni ipotesi di tregua interna salta.
Ormai nel Pdl ci sono due partiti. Alfano difende il governo. Fitto per la prima volta mette a verbale la richiesta più dura: “Io — dice il capo dei lealisti – mi chiedo le ragioni con le quali e per le quali si possa continuare senza far finta di nulla a sostenere un governo che aumenta le tasse ai cittadini e che è fortemente impegnato nella decadenza del leader del suo principale partito alleato”.
E’ di fronte al big bang del Pdl che, appena rientrato a Roma, il Cav verga una nota per chiedere lo stop a dichiarazioni: “Basta polemiche, Forza Italia sia unita e compatta”.
Suona come un ultimo appello per evitare la scissione, con l’obiettivo di portare il partito unito all’appuntamento della legge di stabilità e della decadenza.
Quando lo dirama, Alfano sta per iniziare la riunione delle sua corrente a palazzo Marini, al termine della quale detta: “Noi siamo per l’unità ma c’è chi non la vuole, è la stessa parte del Pdl, direi visibile, che vuole far cadere il governo”.
Quella di Fitto è già a cena.
I maliziosi però notano che il comunicato del Cavaliere non è equidistante dalle due componenti. Si parla esplicitamente di Forza Italia: quando è stata presa la decisione del ritorno all’antico Alfano non si presentò, in aperto dissenso.
Nè ha firmato il documento su cui i lealisti hanno già raccolto più di seicento firme del Consiglio nazionale.
(da “Huffingtonpost“)
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