DILAGA LA PROTESTA NEGLI AEROPORTI USA: A NEW YORK IN CENTINAIA CONTRO IL BLOCCO
E ALLE 9, QUANDO ARRIVA LA NOTIZIA CHE UN GIUDICE HA SOSPESO I RIMPATRI FORZATI, ESPLODE L’URLO DI GIOIA
“Perchè Donald Trump mi odia? sono musulmana, ma ho solo nove anni”. Jerome Garcia, un insegnante, ha scritto le parole di una sua scolara grande su un cartello che porta alto sulla testa: “Sono qui per i miei studenti. Bambini che vanno ancora alle elementari e sono già terrorizzati. Conosco il loro terrore, sono figlio di immigrati clandestini anche io. I miei arrivarono dall’Honduras e l’America ci ha dato una grande opportunità . Sono diventato un educatore: un uomo che non ha paura”.
Ogni cartello è una storia, qui al Terminal 4. Sul suo una donna di nome Ruth ha scritto: “Oggi sono qui per i miei fratelli e sorelle musulmane. Così quando verranno a prendere me che sono ebrea, loro mi difenderanno”.
Samira Gupta, 21 anni, batte i piedi dal freddo nonostante sia avvolta in un grande scialle di lana. “Non me ne vado. Ho i guanti di lana, due termos di caffè, banane e merendine”, racconta.
“Sono venuta con mio fratello dopo aver letto su Twitter che c’era una protesta davanti all’aeroporto. Sono nata a New York ma i miei genitori sono indiani. No, non siamo musulmani: ma quello che sta accadendo ci riguarda lo stesso”.
Jerome, Ruth e Samira sono arrivati fin qui grazie al tam tam su Twitter più volte rilanciato dal regista Michael Moore che da ore racconta quello che sta accadendo davanti all’aeroporto più famoso del mondo, in instancabili e continui Facebook live. È proprio qui, al controllo passaporti del Termina 4, che due rifugiati iracheni con i documenti perfettamente in ordine, sono stati fermati nella notte di venerdì poche ore dopo la firma dell’ordine esecutivo voluto da Donald Trump che proibisce l’ingresso a rifugiati e cittadini di sette paesi musulmani.
Quando uno di loro, Haameed Khalid Darweesh, ex interprete dell’esercito americano, viene rilasciato a metà pomeriggio, la notizia viene accolta con sollievo solo per poco: i media parlano infatti subito dopo di almeno 11 persone fermate alla frontiera. Scatta così la mobilitazione sui social: “appuntamento a Jfk” twitta Michael Moore: “e se non siete a New York, bloccate qualunque aeroporto vicino a voi”.
Alle sette di sera il traffico intorno a Jfk è completamente impazzito. Davanti al terminal ci saranno circa tremila persone, che però si sono sparpagliate davanti ai diversi ingressi innervosendo molto la polizia e fanno sentire molto forte la loro voce: “No hate, no fear, refugees are welcome here”, ritmano. “Non odio nè paura, i rifugiati qui sono i benvenuti”.
A decine si catapultano giù dal trenino che porta all’aeroporto: così tanti che la polizia decide, intorno alle otto, di chiudere la fermata. Con buona pace di chi deve prendere un aereo.
Tassisti e autisti di Uber – un’immenso popolo di immigrati su quattro ruote – hanno fatto sapere che sono solidali con la protesta. E finchè dura non accompagneranno nè preleveranno nessuno. In molti hanno scritto i cartelli proprio lì sul treno o sul piazzale gelato, dove per qualche minuto c’è perfino uno spolvero di neve.
Quando alle nove arriva la notizia che il giudice federale di Brooklyn ha bloccato il rimpatrio forzato dei rifugiati, la piazza esplode, in tanti esultano facendo il segno di vittoria. Ma poi si passano subito la voce: “Non è certo finita, dobbiamo continuare così”. Domani si ricomincia.
(da “La Repubblica”)
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