E L’AVVOCATO COPPI ASSICURA: â€HO UN ASSO NELLA MANICAâ€
TRA TELECAMERE APPOSTATE, ANTENNE PARABOLICHE E VENTILATORI DA BERLINO EST
Quando il procuratore generale ripone l’ultimo foglio in fondo a cinque ore di articoli e rilievi e Franco Coppi passeggia con eccessiva fierezza, mentre Ghedini resta inchiodato a una poltrona per niente comoda, la giornata di condanne e assoluzioni, di timide proteste e ruvide tensioni, va sigillata in cima ai gradoni che cingono la Cassazione: il tramonto di fuoco, un cordone di poliziotti, uno spazio vuoto, un muretto di telecamere, intorno i ragazzini giocano a pallone e vanno in bicicletta. Indifferenti.
Una bambina con i capelli biondi, che non avrà dimestichezza col codice penale, scrive la sentenza: “Mamma, Berlusconi esiste davvero?”.
Perchè questo martedì di attese incompiute, di facce travolte da un parto a travaglio costante, fanno pensare che Berlusconi sia più dentro di noi — dentro quel palazzo imponente — che fuori fra le palme e il prato: dove la gente si gode il sole e non rinvia l’estate.
Il viso pallido di Niccolò
Oltre l’involucro di nervosismi e giurisprudenza, oltre la noia di poliziotti che devono badare ai cellulari rigorosamente spenti, alla sinistra dei giudici, c’è la coppia Franco Coppi e Niccolò Ghedini: la coppia assortita male.
Ghedini ha un viso pallido, emaciato, incassa i colpi: soffre, fisicamente. Franco Coppi, il professore, fa cadere un pezzo di toga, scopre le spalle e il petto, si mostra fiero, coinvolto e distaccato, esperto e non umorale: “Abbiamo un asso nella manica”, e tante cose ancora.
Una strategia: “Non portate iella”, dice ai cronisti.
Quando il pg Antonio Mura inverte il percorso e invita a ridurre le pene accessorie, l’interdizione dai pubblici uffici, per Berlusconi, Coppi irrigidisce il collo e Ghedini s’abbandona, poi s’illumina e prova a smorzare quel ghigno serrato .
Le bottigliette d’acqua di Ghedini sono disposte in parallelo intorno a un mucchio di caramelle. Per i tennisti è uno strumento di prossemica per sedurre la fortuna, ma l’avvocato del Cavaliere è semplicemente maniacale: prende appunti con la penna nera, segna le noticine con la penna rossa e un paio di punti esclamativi.
Il ventilatore di Berlino Est per il presidente Esposito
La prima giornata di sudori evidenti e odori non contenuti, nonostante il presidente Antonio Esposito ordini un ventilatore in aula, ovviamente vintage e di quel giallo che poteva piacere a Berlino Est, si può consegnare ai pezzi di giornali e televisioni col trionfo, poco sobrio e molto tronfio, di Franco Coppi: “L’interdizione era un errore palese. Vado in giro con le corna, sono superstizioso e non faccio previsioni. Ma è chiaro che vogliamo l’annullamento radicale . Ho apprezzato lo sforzo del pg che voleva difendere ciò che non si poteva difendere”.
Eppure Coppi, nato a Tripoli, dovrebbe giocare in difesa, ma preferisce apparire in attacco: prima donna, prima punta.
Il pranzo al ristorante ”L’antico porto”
Quando Coppi sfila fra i poliziotti che lo circondano con ammirevole apprensione, Ghedini stende le gambe e ascolta, in solitario, le parti civili : il nulla cosmico, il servizio di un apprendista.
Coppi arriva in Cassazione in largo anticipo, incrocia Piero Longo, l’altro avvocato, l’altro notabile escluso, e poi evangelizza Ghedini, che non riesce, no proprio non riesce, a trattenere le emozioni.
Un tempo, nascondeva se stesso pur di non dare segnali di cedimento. Il salone al secondo piano ha un tavolino e una panchetta. Coppi fa sedere Ghedini: raccomandazioni, spiegazioni e la consegna di un silenzio totale.
Quando la Corte decreta un’ora di pausa pranzo, il gregario Ghedini s’infila nei corridoi, parla al telefono e corre a Palazzo Grazioli per rassicurare il Cavaliere: dicono che non abbia morso nemmeno un panino neppure un tozzo di pane.
Coppi cammina con disinvoltura, disciplina i giornalisti e va al ristorante l’Antico porto con i suoi collaboratori: torna con la camicia un po’ sgualcita, ma il principe del foro romano non può attirare critiche.
Ghedini lo tratta con riverenza, commenta le parole del procuratore generale e, a volte, allunga il braccio sinistro e sfiora il corpo rigido di Coppi. Quasi a dire con accento veneto però: “A Frà , che te serve?”.
I cinque giudici sono abituati a queste maratone incomprensibili ai comuni mortali, i poliziotti e i carabinieri fanno uno sforzo di pazienza: vanno su e giù con l’ascensore, osservano dai palchetti laterali e presidiano la porta d’ingresso.
E poi si domandano disperati: “Quando finisce? Domani o giovedì? Che palle…”.
Incolonnate di fronte al palazzo, le telecamere fissano il niente: dove sono i tifosi di Berlusconi e dove sono i gruppi d’opposizione (non certo al governo, si nota)? Una rievocazione storica del Popolo Viola agita i cartelli: “La legge è uguale per tutti, anche per Silvio Berlusconi”.
Cicale nel deserto del Palazzaccio
Un signore ha stampato un foglio di notevoli dimensioni con il Cavaliere crocifisso: “Sei un mito, i parrucconi e gli invidiosi ti vogliono in croce, ma tu risorgerai, Forza Italia”. Evviva.
Il caldo non è sopportabile, la scenografia popolare, molto molto sparuta, si dilegua subito. All’ora del caffè, mentre le cicale fanno da sottofondo ai giornalisti che cercano l’ombra nel deserto di piazza Cavour, un signore fa il giro con un manifesto addosso : “Basta attacchi ai magistrati, basta armata Brancaleone”.
Questo fatidico 30 luglio se n’è andato di soppiatto.
C’erano le camionette dei poliziotti, le antenne paraboliche, i microfoni di qualsiasi misura e colori, c’era l’adrenalina giusta. Perfetto. Il copione era perfetto.
Gli attori erano pronti a recitare per l’evento che può far crollare il governo o un ventennio. Non c’era il pubblico però.
Forse aveva previsto i supplementari o forse non ci crede più.
Carlo Trecce
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