ECCO IL FRONTE DI MARONI E DEI MARONITI: OBIETTIVO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO
DAL PD AL TERZO POLO C’E’ CHI GUARDA A UN ESECUTIVO GUIDATO DAL MINISTRO DEGLI INTERNI…MARONI SI STA SMARCANDO, LA LEGA RISCHIA DI SPEZZARSI IN DUE FAZIONI
Nell’unanimismo armato del centrodestra, si sta aprendo un’altra crepa. Non larga. Ma nemmeno piccola.
È il fronte “maronita” della Lega, dal nome del ministro dell’Interno.
Da settimane, infatti, Roberto Maroni con l’alibi solido del profilo istituzionale sta giocando a smarcarsi dai falchi della coalizione.
Il titolare del Viminale ha volutamente disseminato una serie di indizi plateali. Per esempio, la sua assenza al momento del no del Carroccio nel consiglio dei Ministri al decreto per il 17 marzo festa nazionale dell’Unità (e molto apprezzata dal Quirinale).
Ancora: l’apertura umanitaria in materia di immigrazione dopo le rivoluzioni nell’Africa mediterranea al grido consapevole che “i respingimenti da soli non bastano più”.
E proprio la politica estera è stata al centro del recente colloquio tra Maroni e Massimo D’Alema.
Ufficialmente, un incontro tra il ministro dell’Interno e il presidente del Copasir per affrontare l’emergenza del nuovo esodo.
Ma chi ha parlato con Maroni ammette che “il Ministro ha bisogno di una sponda dell’opposizione per imporre la sua linea e D’Alema è l’interlocutore ideale, anche per la sua passata esperienza di ministro degli Esteri”…
Un lavorio bipartisan incessante, quello del cofondatore della Lega, che conobbe Bossi all’alba degli anni ottanta.
E che fa perno sul sottotesto alla famigerata intervista di Bersani alla Padania, in cui il segretario democrat ha offerto un aiuto sul federalismo a patto di mandare a casa il Cavaliere.
Un sottotesto che per l’opposizione, dal Pd a Fli, contempla una nuova ipotesi per un’eventuale transizione post-berlusconiana: un esecutivo guidato da Maroni.
Ed è per questo che, interpellati in merito, alcuni esponenti del Pd riferiscono: “Sono quattro, cinque giorni che non attacchiamo Maroni”.
Il fronte maronita, dunque, è la nuova carta per tentare di sparigliare il centrodestra.
In ogni caso, il momento non è favorevole, considerato il continuo allargamento della maggioranza con la perenne campagna acquisti tra i parlamentari.
Ma la fase contingente per i piani del ministro dell’Interno è relativa.
Il suo orizzonte è a media o lunga gittata e riguarda il dopo-Berlusconi ma anche il dopo-Bossi, che del Cavaliere è più giovane di un lustro.
Da via Bellerio a Milano, sede nazionale della Lega, raccontano che “il rapporto tra Bossi e Maroni è inscalfibile, accada quello che accada” ma “comunque qualcosa è cambiato tra i due”.
Soprattutto quando qualche settimana fa Maroni inviò il suo ultimatum sul federalismo dalle colonne del Corriere della Sera: “Se non passa, andiamo alle elezioni: si vota il 15 maggio”.
Chi ha assistito alla scena dice che “l’Umberto era fuori di sè per l’intervista”. Un ultimatum non in linea con la linea di subalternità decisa da Bossi, tesa a far ingoiare ogni rospo alla base e agli elettori in nome del vincolo di coalizione.
Continua chi raccoglie i pensieri del ministro dell’Interno: “La verità è che Silvio decide e Bossi esegue. Maroni vuole ribaltare, se possibile, questo rapporto per salvaguardare la Lega al di là di Berlusconi”.
Compito ambizioso, che potrebbe animare la scena del palazzo nelle prossime settimane.
Anche se la vera guerra a “Bobo” viene mossa dall’interno del suo partito.
Se fino al dicembre scorso era prevalente l’asse Calderoli-Brancher-Tremonti per spianare la strada al titolare dell’Economia in caso di spallata, adesso si registra la convergenza tattica tra i calderoliani e il cerchio magico del Senatur (Rosi Mauro, Reguzzoni, Bricolo, Belsito) per evitare il voto e arginare Maroni.
Questa sarebbe anche la chiave di lettura dello stop al collegamento di Radio Padania con la trasmissione dell’Annunziata.
Senza contare che Salvini da sempre viene considerato vicino a Maroni e contende al “Trota” Renzo Bossi il posto di vicesindaco nel ticket con la Moratti alle prossime amministrative di Milano…
Maroni però in questa battaglia di riposizionamento non è solo.
Con lui sono schierati il potente Giorgetti, presidente della commissione Bilancio alla Camera e sherpa dell’invasione leghista ai vertici enti pubblici e società partecipate, nonchè cani sciolti del calibro di Tosi, sindaco di Verona, e Cota, governatore piemontese.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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