ESODATI E FREGATI: 350.000 LAVORATORI SI SONO LICENZIATI CONTANDO SU INCENTIVI “FANTASMA”
LICENZIAMENTI CONCORDATI IN CAMBIO DELLA PROMESSA DELL’ACCOMPAGNAMENTO ALLA PENSIONE… MA CON L’INNALZAMENTO DELL’ETA’ PENSIONABILE ORA SONO TUTTI A RISCHIO DISOCCUPAZIONE
Lavoratori esodati è un nome terribile che la stampa ha scelto per descrivere la vicenda di quei dipendenti incentivati a uscire dalla propria azienda o fabbrica con la prospettiva di poter approdare alla pensione in un numero certo di anni.
Licenziamenti concordati, dunque, in cui un certo numero di lavoratori ha scelto di rimanere disoccupato in cambio di una quota di reddito sufficiente ad accompagnarli alla condizione pensionistica.
Solo che questo avveniva con le vecchie regole del sistema previdenziale, prima che, in un solo colpo, il governo Monti portasse l’età minima per la pensione a 66-67 anni. Uno “scalone” che ha imposto a molti di quei lavoratori una prospettiva di vita, non breve, da passare senza reddito.
Gli incentivi erano infatti tarati per periodi di due-tre anni e non basterebbero per cinque-sei o addirittura nove anni.
Il problema è che non si tratta di pochi casi.
Le stime oscillano tra 100 e 350mila e la differenza è data dal conteggio o meno dei lavoratori “autorizzati ai contributi volontari” che costituiscono una parte cospicua. Per tutti i casi presi in considerazione dal governo al momento della riforma — lavoratori in mobilità , contributi volontari, in regime di Fondo di solidarietà — il “Salva Italia” aveva individuato deroghe e stabilito un finanziamento (dai 240 milioni del 2013 si saliva ai 1220 milioni nel 2016).
Ma nell’elenco mancava la tipologia specifica dei lavoratori incentivati all’esodo. Questi sono poi stati aggiunti con il “mille-proroghe” ma a saldo invariato.
E ora le risorse non bastano e forse non bastano nemmeno per tutti gli altri.
E così, al momento, ci sono centinaia di migliaia persone nel limbo in attesa di una soluzione che il ministro Fornero ha annunciato realizzarsi “entro il 30 giugno”.
Ma che soluzione?
Intervistata dalla trasmissione Report di Milena Gabanelli, Elsa Fornero non si è mostrata particolarmente sensibile al tema dimostrando di avere più a cura il proprio ruolo di ministro rigorista.
“Siamo stati chiamati a fare un lavoro sgradevole non a distribuire caramelle” ha spiegato a Bernardo Iovene che l’intervistava, contestando che la riforma pensionistica nel suo complesso sia solo “contro”.
“Io mi sforzo di far capire — ha detto — che c’è molto per… molto a favore”.
Certo, la “riforma della pensione è severa… sì, sì, severa, anzi di più, dura”.
Ma l’Italia, ricorda, rischiava di finire in fondo al baratro. E noi, i tecnici, l’abbiamo salvata.
Ma torniamo al caso degli esodi rimasti senza pensione.
Fornero vuole aggiustare la situazione, ma “non con il vecchio metodo delle promesse”. Non si può, “si perderebbe credibilità ”.
Un’ipotesi avanzata è che quei lavoratori ritornino al loro posto di lavoro.
Eventualità accademica perchè non esiste nessuna azienda disposta a tanto.
Alle Poste, ad esempio, i sindacati raccontano che “l’azienda rifiuta di accogliere qualsiasi ripensamento di chi ha già firmato l’uscita incentivata e ha ultimamente chiesto di rimanere in servizio”.
“Figurarsi se aderirà a riammettere in servizio chi è già uscito” scrive una nota della Ugl. Il massimo che l’azienda postale è disposta a fare è firmare un Avviso comune con i sindacati per chiedere al governo di estendere da 24 a 36 mesi la copertura contributiva e di utilizzare il Fondo di solidarietà interno per un sostegno al reddito.
Se il rientro in azienda non è possibile, il ministro, sempre a Report, fa intravedere una seconda soluzione, il sussidio di disoccupazione.
La nuova “Aspi”, del resto, è stata annunciata come in grado di arrivare dove la disoccupazione non è arrivata anche se i criteri sono gli stessi.
Ma l’Aspi copre 12 mesi, 18 per gli over 55.
Può bastare a chi rimane scoperto per un anno e mezzo, ma per gli altri avrebbe bisogno di una deroga.
Senza contare che molti di questi lavoratori, come si legge dalle loro testimonianze, hanno appena concluso il periodo di disoccupazione seguente al licenziamento.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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