ETIHAD SI PRENDE ALITALIA E HOGAN PARLA GIÀ DA PADRONE
SVENDUTI AGLI ARABI I PEZZI PREGIATI DELLA COMPAGNIA ITALIANA, DAGLI SLOT DI LONDRA ALLE MILLE MIGLIA… MA LA UE POTREBBE FAR SALTARE L’AFFARE
Alitalia vola verso Abu Dhabi.
Lo fa tra l’euforia del numero uno di Etihad, James Hogan; indossando la bandiera degli emirati, e – al di là dei trionfalismi – con tante incognite.
L’accordo però c’è, ieri è arrivata la firma.
Piccolo riepilogo. Etihad entra con il 49 per cento nel capitale della nuova Alitalia, al prezzo di 560 milioni di euro; 400 in capitale e 160 a rilevare gli asset strategici (gli ultimi di valore rimasti) del gruppo: i preziosi slot londinesi e il programma Mille Miglia (con annessa, preziosissima, banca dati sui clienti).
Non potrà avere una quota superiore, altrimenti la compagnia perderebbe la licenza di vettore Ue, e quindi la possibilità di volare in Europa.
L’assemblea dei soci di Alitalia- Cai, ha dato il via libera all’aumento di capitale da 300 milioni di euro chiesto da Hogan per evitare il dissesto della società (569 milioni di euro di perdite nel 2013).
Non è l’unico sacrificio imposto agli azionisti dal manager australiano: le banche rinunceranno anche a 560 milioni di crediti (su 1 miliardo di debiti finanziari).
Gli Istituti – creditori e azionisti (Intesa e Unicredit) – entreranno insieme ad Atlantia nella “Midco”, una società voluta dall’altro socio, Poste, per bocca del numero uno Francesco Caio: una società intermedia che entrerà nella nuova Alitalia (ripulita da contenziosi e debiti).
Che così avrà tre azionisti: Poste, Caio e la compagnia araba.
Grazie all’appoggio del premier Matteo Renzi, Caio ha così portato a casa quel trattamento di favore – motivato con la natura pubblica di Poste (controllata dal Tesoro) – chiesto agli altri soci.
La società statale metterà 75 milioni (oltre ai 75 di dicembre scorso, già polverizzati dalle perdite), Intesa 88 milioni, 65 milioni Unicredit, 50 Atlantia dei Benetton e 25 i soci minori.
Per limare gli ultimi malumori, il manager ex Avio ha accettato anche di partecipare all’anticipo (rispetto alla “chiusura” di novembre) di 200 milioni (sui 300 già menzionati) chiesto da Hogan perchè Alitalia ha davvero i conti mal ridotti: Poste ne metterà un terzo, gli altri saranno a carico delle banche.
Affare fatto. Ma c’è un però, anzi tre, le sospensive (ridotte dalle 41 iniziali), cioè le clausole che, se non rispettate, permettono agli arabi di sfilarsi senza penali: il divieto agli azionisti di vendere quote nei prossimi 5 anni; la situazione reale dei conti di Cai; e il via libera di Bruxelles. Il primo è stato ottenuto, per gli altri la situazione è più complessa di quanto ieri Hogan, il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi e l’ad di Alitalia Gabriele del Torchio abbiano cercato di far intendere.
Secondo quanto riferito al Fatto da un’autorevole fonte, da lunedì i contabili di Etihad metteranno mano ai conti di Cai: è la vera due diligence, il quadro reale della situazione finanziaria della società .
Se dovesse essere peggiore di quanto ipotizzato, il prezzo che i soci dovranno pagare salirà .
La vera paura, però, riguarda le prossime mosse di Bruxelles.
I regolamenti europei parlano chiaro: il controllo in mano a cittadini residenti nell’Unione dove’essere “effettivo”, cioè non limitato alla sola maggioranza del capitale.
La riservatezza sulla nuova governance e i numeri del futuro cda, tenuta dai protagonisti dell’affare è il segnale che il capitolo è molto delicato.
Come ha fatto notare l’ex presidente dell’Enac (l’ente che vigila sull’aviazione civile), Alfredo Roma, l’occhio della Ue scruterà tutto, dalle strategie ai piani industriali.
E il controllo sarà continuo: in qualsiasi momento – su segnalazione di un concorrente – potrebbe aprire una procedura per violazione della normativa. I nemici non mancano, i big europei, British Airways, Air France- Klm e Lufthansa da mesi premono sulle autorità europee per ostacolare Etihad.
Le prime mosse di Hogan, però, rischiano di complicare tutto.
Oltre al ruolo di forza giocato nelle trattative (“mostrando davvero chi comanda”), ieri ha parlato da capo in pectore, terrorizzando i soci. “Mentre sei sotto osservazione, parlare di piani industriali è una cosa folle: hai preso la preda, ma così fai capire che sei il vero padrone”, confidava ieri una fonte societaria .
Tanto più che le mosse di Etihad prefigurano lo spolpamento dell’ex compagnia di bandiera: si prende a prezzi di saldo (60 milioni) 5 preziosissimi slot Alitalia all’aeroporto di Londra Heatrow, totalmente saturo e li affitterà ad Alitalia al prezzo più alto possibile per dirottare quante più risorse verso Abu Dhabi e staccare generosi utili ai padroni arabi.
Con poco più di 100 milioni, invece, si prende la maggioranza del ramo Mille Miglia (valeva 150 milioni nel 2013) e la miniera di informazioni sui clienti.
Uno schema collaudato.
Etihad ha fatto la stessa cosa con Air Berlin (di cui ha il 29,2 per cento del capitale), dove si è impadronita degli asset strategici per garantire liquidità (con Alitalia potrebbe andare anche peggio visto che il 49% non permette aumenti di capitale in caso di perdite).
Oggi, se la compagnia tedesca vuole regalare biglietti premio, li deve comprare dagli arabi, che si sono presi l’equivalente del Mille Miglia, nonostante la compagnia ne sconsigliasse la vendita. Il vettore tedesco era una preda piccola.
Ora la strategia aggressiva di Etihad – acquistare concorrenti con bilanci in perdita (dei 7 presi, solo due non sono in rosso, Aer Lingus e Air Seychelles) – preoccupa davvero i big europei. Così come – dal versante italiano – la promessa scucita a Lupi di scoraggiare le compagnie low cost (contro cui i “capitani coraggiosi” hanno mandato a schiantarsi la compagnia), ostacolando l’apertura di nuove rotte, è un segnale preoccupante per i contribuenti, i veri convitati di pietra di tutta la saga Alitalia.
Costata finora allo Stato 5 miliardi di euro.
Carlo Di Foggia
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