EUROPA DELLE MIE BRAME: A FORZA DI FARE I FURBI, MELONI E SALVINI SONO IN UN CUL DE SAC. PPE E CONSERVATORI GUIDATI DA MELONI NON HANNO I NUMERI PER LA VITTORIA: OCCORRE UNA MAGGIORANZA ALLARGATA A SOCIALISTI E LIBERALI CON LA RICONFERMA DI URSULA VON DER LEYEN
SALVINI SI TROVA LEGATO MANI E PIEDI A MARINE LE PEN E I PUZZONI TEDESCHI DI AFD
Manca quasi un anno alle elezioni europee (giugno 2024) ma le scaramucce politiche stanno già scoppiettando come pop corn.
L’ambizioso piano di Giorgia Meloni di ribaltare il tradizionale assetto di potere all’Europarlamento (l’asse tra Ppe e socialisti) troverà una definitiva risposta nelle urne e nei seggi che le varie forze politiche si ritroveranno in aula
E’ nei numeri che si dipaneranno i rapporti di forza. Fino ad allora possiamo metterci comodi e goderci la guerriglia di manovre, avvicinamenti, sgambetti e buffetti tra leader e partiti. Un gioco delle parti in cui nessuno azzarda ancora il passo più lungo della gamba, per non bruciarsi.
Regina delle trame europee è Giorgia Meloni. Tra un “ahò” e un “io so’ io e voi non siete una ceppa”, la Ducetta ha dovuto deglutire un amarissimo boccone a causa del suo alleato nel gruppo Ecr, il polacco Morawiecki, e del podestà d’Ungheria, Viktor Orban.
I due sovranisti dell’Est hanno rifilato un bel “tiè” sull’accordo per la ripartizione dei migranti. Alla sola ipotesi di dover sganciare 20 mila euro per ogni migrante non accolto, hanno consegnato alla Ducetta il loro “no, grazie”.
A Bruxelles pensavano che Meloni potesse esercitare un certo ascendente su due leader a lei vicini ma nessuno aveva fatto i conti con l’intreccio di interessi che ciascuno si portava dietro.
A ottobre, in Polonia, ci saranno le elezioni politiche e Morawiecki non intende mostrarsi conciliante su un tema delicato in patria: ogni cedimento potrebbe costargli voti.
Orban, che da sempre è una spina nel fianco dell’Ue sulle questioni migratorie, non vuole accollarsi neanche mezzo migrante per fare un favore all’Italia. Proprio lui che, tra l’altro, ha fatto costruire un “muro” tra Ungheria e Serbia per ostacolare l’accesso in Europa ai disperati in arrivo dai Balcani. Una barriera di recinzioni metalliche lunga oltre 500 km.
Nessuno si sorprenda: i due leader sovranisti sono rimasti saldi sulle loro tradizionali posizioni. È Donna Giorgia che si è, via via, spostata al centro
L’ex “gabbiana” allevata da Fabio Rampelli, ha capito che essere al governo non è come stare all’opposizione con un partito al 4%. Il rutto libero, la protesta un tanto al chilo, l’antagonismo pret-à-porter non se li può più permettere. Ora ha bisogno di moderazione, diplomazia e una certa dose di scaltrezza se vuole sedere ai tavoli che contano.
Tra l’altro qualche messaggio d’amore dal Ppe l’ha anche ricevuto. Un’apertura di credito, mediata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e formalizzata dal presidente dei popolari Manfred Weber, che ha fatto cadere i molti veti che gravavano sulla sua figura. Ma questo lasciapassare è “ad personam”.
Il Ppe è disposto ad accogliere Fratelli d’Italia nella futura maggioranza all’Europarlamento ma non ha la stessa disposizione verso polacchi e ungheresi. Alla Ducetta è stato fatto capire: tu puoi essere dei nostri, i tuoi alleati di Ecr no. Di qui il cul de sac di Giorgia. Da un lato, vede il gran buffet degli Europoteri finalmente a portata di mano. Dall’altra, teme di dover recidere i legami con gli amici polacchi e ungheresi. E magari di dover uscire dal gruppo dei Conservatori.
E’ lo stesso vicolo cieco in cui si è infilato Salvini. Testardo fino all’autolesionismo, il Capitone si è sempre rifiutato di staccarsi da Marine Le Pen e dalle svastichelle di Alternative fur Deutschland.
E ora ne paga il fio. Emarginato da Giorgia Meloni, che non vuole la grande alleanza delle destra alle prossime elezioni europee, e schifato dal Ppe, che considera il suo gruppo “Identità & Democrazia” una sorta di congrega di puzzoni, il segretario della Lega rischia di non toccare palla.
Sarebbe il finale di partita tutto sommato meritato per chi, come lui, si è ostinato a dribblare ogni occasione per “ripulire” la sua immagine in Europa.
Berlusconi, che qualcosa aveva capito di Bruxelles tra un cucù alla Merkel e un “kapò” a Scholz, voleva creare un partito unico Forza Italia-Lega, poi propose anche una federazione, con l’obiettivo di traghettare il Carroccio nel Partito popolare.
Salvini si è sempre opposto, rivendicando la necessità di preservare “l’identità” del suo partito. Una scelta che ha spinto la Lega alla periferia dell’impero: non può più avvicinarsi al Ppe né può sciogliere i legacci che lo uniscono a Le Pen e Afd pena l’irrilevanza totale (destino che neanche i partitini minoritari dell’Estonia)
Salvini ha scelto di minare da destra la credibilità della sua rivale, colei che gli ha sottratto la “leadership” del centrodestra grazie a una maggiore qualità politica (dettaglio quest’ultimo che sfugge al capo leghista). Nasce così l’idea di un’alleanza dei veri nazionalisti, chiamiamoli così.
A cominciare da Marine Le Pen, con cui Salvini vanta una vecchia amicizia, ma lasciando la porta socchiusa anche ai tedeschi di Alternative, in sostanza dei neo-nazisti, al di là di qualche recente ritocco.
Vale la pena ricordare un punto cruciale che a qualcuno potrebbe sfuggire: sia Le Pen sia il gruppo tedesco rappresentano la punta di lancia del filo-putinismo in Europa.
La loro scarsa simpatia verso le regole della liberaldemocrazia li spinge in modo spontaneo ad appoggiare l’autocrate di Mosca, anche a prescindere dai flussi di denaro che sono molto probabili e almeno in un caso dimostrati. È ovvio che l’operazione salviniana è contro Giorgia Meloni
L’obiettivo è mettere un bastone tra le gambe della premier, la cui strategia, sostenuta da quel che resta di Forza Italia, è volta a costruire tra luci e ombre un fronte conservatore in grado di collaborare al Parlamento di Strasburgo con i Popolari e magari con i liberali. Ma non ci sarebbe offesa maggiore per i tedeschi del Ppe che renderli edotti di come il “modello italiano” prevede di accreditare l’inquietante fazione di Alternative.
E mentre il realismo spinge la Meloni a ricucire i rapporti anche con Macron, ecco Salvini che le para davanti Marine Le Pen, personaggio con il quale lei ha non più relazioni da anni. In poche parole, la manovra della Lega è l’esatto opposto della strada imboccata dalla leader di Fratelli d’Italia, per la quale la tragedia ucraina rappresenta una discriminante.
Il tentativo di Salvini, a sua volta ammiratore di Putin, consiste nel far rientrare dalla finestra la doppiezza in politica estera espulsa dalla porta. E tutto all’interno di un piccolo cabotaggio di potere che mira a strappare qualche seggio al partner/rivale in vista del voto europeo del prossimo anno.
In tutto ciò è la francese Le Pen a mostrare più intelligenza politica, o forse solo più buonsenso, rispetto al suo irruente amico italiano. Con la Francia in fiamme, non è il momento giusto per tessere operazioni così modeste e strumentali. Per cui lo storico colloquio è stato declassato a videochiamata. Dovrebbe insegnare qualcosa a Salvini.
(da Dagoreport)
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