FERMATE CALDEROLI, NON SA PIU’ COSA TAGLIA: ORA HA FATTO USCIRE PER ERRORE MANTOVA DALL’ITALIA, DOPO AVER GIA’ PERSO IL CANAL GRANDE
IL MINISTRO DELLA SEMPLIFICAZIONE HA CANCELLATO PER SBAGLIO PURE IL REGIO DECRETO CON IL QUALE VITTORIO EMANUELE II SANCI’ CHE LE PROVINCE DI MANTOVA E DI VENEZIA FANNO PARTE DEL REGNO D’ITALIA… IL MINISTRO TAGLIA PER FARE SCENA, MA FA SOLO CASINI
Trionfo padano: da quasi due mesi Mantova non è più in Italia e con lei il Veneto intero.
Altrochè secessione a furor di popolo.
Ci ha pensato la Roma della burocrazia a sancire la (platonica) liberazione dopo 144 anni e tre mesi.
Effetto di un errore di qualche tecnico del ministro per la semplificazione legislativa Roberto Calderoli.
Anche se, ovviamente, conseguenze concrete non ce ne saranno.
Il pasticcio nasce il 16 dicembre scorso.
Calderoli, impegnato nell’opera di cancellazione della pesantissima mole di più o meno inutili leggi e leggine accumulate in 150 anni di storia italiana, firma insieme al collega della giustizia Angelino Alfano un decreto di abrogazione di un plico di norme vecchie di decenni.
Il problema è che per errore in quell’elenco finisce anche il Regio decreto 3300 del 4 novembre 1866.
Quello con il quale l’allora sovrano Vittorio Emanuele II sancì, «per grazia di Dio e volontà della Nazione» che «le provincie (così si legge nel testo) della Venezia e quella di Mantova fanno parte integrante del Regno d’Italia».
Seguirono la legge 3841 del 18 luglio 1867 (che trasformò il decreto in provvedimento definitivo) e la 4232 del 9 febbraio 1868 che definì i confini della provincia di Mantova.
E adesso? La cancellazione del Regio decreto è destinata a rimanere un episodio divertente ma senza conseguenze.
L’errore non basta insomma per coronare sogni indipendentisti e impeti secessionisti, perchè a garanzia dell’italianità di Mantova e del Veneto resta il principio costituzionale che vuole l’Italia «unica e indivisibile».
Anche se il ministro Calderoli ha lasciato intendere che verrà messa una pezza per rattoppare l’errore e per evitare di far perdere tempo ai tribunali con i ricorsi di qualche temerario.
Per una svista simile nelle settimane scorse il Canal Grande di Venezia era passato sotto il controllo di Roma.
Tanto per non perdere l’abitudine a fare casini.
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