“FINI FECE VENDERE LA CASA DI MONTECARLO PER AIUTARE IL COGNATO TULLIANI, NON TRASSE BENEFICIO ECONOMICO”: LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA
RICOSTRUITI ANCHE I TENTATIVI DI AIUTARE TULLIANI CERCANDO DI FARLO LAVORARE IN RAI
L’ex presidente della Camera e leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, autorizzò (contro il parere inizialmente negativo del partito) la vendita della casa di Montecarlo ereditata dalla contessa Colleoni ma non ne trasse beneficio economico.
Si trattò di un favore rivolto a Giancarlo Tulliani suo cognato e alla sua compagna (madre dei suoi figli) Elisabetta. È quanto scrivono i giudici della quarta sezione penale nel motivare le condanne emesse per la vicenda lo scorso 30 aprile.
Era consapevole Gianfranco Fini che il denaro utilizzato per acquistare quell’appartamento derivasse dalla monumentale evasione tributaria di Francesco Corallo re delle slot machine? Secondo i giudici presieduti da Roberta Palmisano, la terza carica dello Stato ne accettò «il rischio eventuale»: «Fini gestì personalmente le trattative fissando il prezzo in trecentomila euro. Al riguardo l’imputato — precisano i giudici — ha confermato di avere stabilito personalmente il prezzo limitandosi a precisare di essersi rifatto al valore riportato in bilancio».
Le condanne: 6 anni a Tulliani, 5 alla sorella Elisabetta
L’ex presidente della Camera era stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione (oltre a 2.800 euro di multa) per riciclaggio. Condanna più severa quella nei confronti del cognato Giancarlo Tulliani al quale sono andati 6 anni di reclusione e verso l’intermediario Rudolph Theodore Baetsen (8 anni) mentre Elisabetta Tulliani era stata condannata a cinque anni di reclusione.
Tulliani «avventuriero senza spessore imprenditoriale»
Per un lungo periodo di tempo Fini si occupò della posizione di Giancarlo Tulliani che i giudici descrivono alla stregua di un avventuriero, «privo di spessore imprenditoriale e di capacità reddituale adeguata» a gestire affari complessi quali quello della compravendita di immobili.
L’ex presidente della Camera favorisce il cognato con i mezzi che ha disposizione, non sempre ripagato. Gli presenta ad esempio Guido Paglia, ufficio stampa Rai vicino al leader di An, che si prodiga per Tulliani, il quale vuole vendere film alla Rai.
«Il teste — mettono nero su bianco i giudici — gli spiegò che occorreva presentarsi come società iscritta all’albo dei fornitori mentre Tulliani non aveva una società». Paglia, per lealtà nei confronti di Fini, lo indirizza a Rai Cinema, salvo fallire: «Tulliani era quindi tornato nuovamente da Paglia insistendo per poter lavorare in altro modo in Rai. Il teste (Paglia, ndr) si lamentò di questa insistenza con Fini, che lo convocò tramite la sua segreteria di Presidenza della Camera»
La «raccomandazione» si concluderà con uno scontro tra Fini e Paglia che ruppero il rapporto. Nelle motivazioni i giudici analizzano dettagliatamente, dunque, il rapporto fra Fini (assistito dagli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi e Michele Sarno) e il cognato per concludere che la compravendita dell’appartamento di Montecarlo fu pilotata da quest’ultimo e dalla sua Printemps.
Ultimo aspetto: i giudici non ritengono provato l’argomento della difesa Tulliani secondo la quale l’interesse di Corallo fosse quello di «ottenere tramite i Tulliani e indirettamente tramite Gianfranco Fini favorevoli provvedimenti legislativi».
«La sentenza di fatto assolve Fini su tutti i capi d’imputazione e si limita paradossalmente a ricorrere al concetto del dolo eventuale. Traducendo si tratta del ben poco apprezzabile “non poteva non sapere”. Abbiamo dimostrato in primo grado che era vero il contrario e confidiamo nell’appello anche perché lo stesso tribunale afferma a chiare lettere che nessun profitto è stato tratto da Fini in tutte queste operazioni finanziarie” dicono gli avvocati dell’ex politico, Caroleo Grimaldi e Sarno.
(da agenzie)
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