FINI LANCIA IL CONGRESSO DI FUTURO E LIBERTA’ : “FINE DELLA RICREAZIONE, ORA PENSIAMO AL FUTURO”
“PER RILANCIARE IL PAESE SERVE UN SALTO DI QUALITA’ E DI MENTALITA'”… “INVESTIRE IN INNOVAZIONE, RICERCA E CULTURA, CREDITI AGEVOLATI AI GIOVANI, MENO BUROCRAZIA E MENO TASSE, PIU’ OPPORTUNITA’ DI LAVORO E MENO PRECARIATO…OCCORRE IL CORAGGIO DI DECIDERE TUTTI INSIEME CHE FUTURO VOGLIAMO DISEGNARE PER IL NOSTRO PAESE”
Un grande statista europeo del dopoguerra, Konrad Adenauer, disse che i «partiti esistono non per se stessi, ma per il popolo».
Sembra un’affermazione scontata.
Ma risulta assai meno ovvia se applicata all’Italia di questo inizio di decennio. Da molto tempo la politica pare ripiegata su se stessa, mentre l’agenda degli interventi strutturali per far ripartire un’Italia immobile, stanca e sfiduciata continua a essere desolatamente vuota.
La lista dei meriti esibiti contiene solo interventi di emergenza: una volta sono i rifiuti campani, un’altra è il rischio default per i titoli pubblici.
“Andiamo avanti così, fino alla prossima emergenza”? È vero senso di responsabilità verso il Paese affermare “accontentiamoci, perchè potevamo finire come la Grecia”?
Può esserlo nella sola prospettiva del presente.
Sicuramente non lo è riguardo al futuro, anche prossimo.
Può essere realmente rassicurante (e coinvolgente) soltanto un discorso di questo tipo: “Proviamo a fare come la Germania, che ha tagliato tutte le spese meno quelle destinate alla ricerca e all’innovazione”.
Visto che siamo in tema, vale la pena ricordare un’amara verità : se c’è un Paese che gli investimenti destinati alle idee dovrebbe aumentarli anzichè diminuirli, questo Paese è proprio l’Italia.
Riserviamo alla ricerca circa la metà delle risorse mediamente impiegate a tale scopo dai Paesi dell’Ocse e siamo decisamente lontani dal livello minimo (3 per cento del Pil) stabilito da Obiettivo Europa 2020: la percentuale in Italia è infatti dell’1,13.
Questo significa che dovremo triplicare, nel giro di qualche anno, l’entità degli investimenti da destinare all’innovazione.
Al di là di quello che dicono le cifre, il punto vero e drammatico è che la politica italiana ha bisogno di un salto di qualità e di mentalità .
Deve passare dalle enunciazioni e dagli annunci ai fatti e all’operatività .
E deve compiere un simile passo nel più breve tempo possibile perchè il futuro è già cominciato nei Paesi dell’area più avanzata del mondo.
Quello delle scarse risorse per la ricerca non è il solo fattore di ritardo.
Ce ne sono purtroppo molti altri, che concorrono, tutti insieme, a tenere cronicamente inchiodata l’Italia a irrisori livelli di crescita economica.
Non può produrre nuova ricchezza un Paese dove l’imposizione fiscale è tra le più alte nel mondo, dove la giungla burocratica ostacola l’attività d’impresa e tiene lontani i capitali d’investimento esteri, dove il lavoro è peggio remunerato e meno produttivo che altrove, dove le infrastrutture (viarie, portuali e telematiche) sono insufficienti, dove non sono avvenute liberalizzazioni (se non nelle telecomunicazioni) ma solo privatizzazioni di monopoli pubblici per fare cassa e non per aprire il mercato dei servizi alla concorrenza, dove la mobilità sociale è in discesa, dove la natalità è tra le più basse d’Europa, dove i livelli di corruzione di politici e dirigenti pubblici sono preoccupanti, dove prospera una gigantesca economia in nero che non si traduce in ricchezza sociale, dove la criminalità organizzata esercita il suo potere di ricatto su vaste aree del Sud e inquina l’economia legale.
L’elenco sarebbe ancora lungo, ma è bene fermarsi qui perchè quanto detto è sufficiente a far capire che la ricreazione è finita e che non ci sono più scuse per la politica del giorno per giorno, del circo mediatico, della rissa permanente.
Una grande lezione è venuta recentemente dal caso Mirafiori, che ha dimostrato quanto le forze dell’economia e del lavoro siano comunque vive nel nostro Paese.
Però, chiunque pretendesse di strumentalizzare politicamente un simile risultato compirebbe un’operazione arbitraria.
Perchè la politica ha fatto assai poco per creare le condizioni generali — quindi non solo a Torino, ma in tante altre parti d’Italia — per rendere convenienti gli investimenti di capitale nel nostro territorio.
Occorre passare dalle enunciazioni ai fatti non in nome della ormai frustra retorica del “fare”, ma sulla base di una grande idea dell’Italia prossima ventura.
L’obiettivo deve essere un Progetto di Italia per il 2020, il progetto di realizzare riforme che cambino profondamente il volto del nostro Paese nel giro di qualche anno, liberando le energie della società e offrendo concrete opportunità di affermazione ai giovani, ai lavoratori, agli imprenditori. Poichè non ci saranno prove d’appello, occorre riscrivere subito l’agenda della politica e fissare gli appuntamenti chiave, quelli più urgenti.
Al primo posto dovranno comparire la crescita economica e il futuro dei giovani, insieme con le riforme istituzionali e la necessità di superare il divario tra Nord e Sud.
Essenziale, per quanto riguarda la crescita, è ridurre il carico fiscale su famiglie e imprese cominciando a lavorare per una riforma tributaria all’insegna della riduzione e della rimodulazione delle aliquote. Parallelamente, sarà necessario aumentare la competitività del sistema attraverso l’aumento della produttività del lavoro e dell’impresa, il sostegno all’internazionalizzazione delle aziende e all’innovazione dei processi produttivi, il disboscamento della giungla burocratica e la riforma del processo civile, l’accesso al credito per le piccole e medie imprese, l’incremento delle risorse da destinare alla ricerca, all’università e all’istruzione.
Tutto ciò mentre dovranno essere realizzati gli obiettivi, necessariamente a più lunga scadenza, dell’ammodernamento infrastrutturale, a partire dalla differenziazione delle fonti energetiche.
Per quanto invece riguarda i giovani, al netto dei benefici che potranno arrivare dagli auspicabili maggiori investimenti in istruzione e ricerca, bisognerà costruire un sistema di flessibilità positiva che combatta la vergogna della precarietà unita ai bassi salari e realizzare un collegamento più stretto tra scuola, università , e mondo del lavoro.
Occorre anche favorire l’intraprendenza dei giovani attraverso un fondo di garanzia pubblico per spingere le banche a finanziare i ragazzi che vogliano frequentare un master all’estero, aprire un’impresa, acquistare una casa.
Indipendentemente dalle misure che potranno essere varate nel concreto, il principio da affermare è che la questione- giovani è una delle questioni strategiche dell’Italia e che tra dieci anni — quando i ragazzi di oggi saranno adulti- dovranno poter vivere in una società che pone realmente il merito tra i suoi valori centrali.
È una rivoluzione etica e culturale molto più profonda e decisiva di quello che comunemente si pensa.
È bene a questo punto avvertire che sono poche le riforme a costo zero.
È quindi chiaro che occorrerà spostare risorse da un settore a un altro, tagliare rami di spesa improduttivi, mettere in discussione rendite consolidate. È anche chiaro che, quello riformatore, non sarà un processo indolore perchè ci sarà chi nell’immediato ci guadagnerà e chi nell’immediato ci perderà . Però deve essere altrettanto chiaro che i sacrifici di un Paese non si decidono sulla base di un criterio meramente ragionieristico ma eminentemente politico.
Criterio politico vuol dire trovare un accordo ampio e solido tra partiti, forze sociali, imprenditoriali, sindacali per stabilire gli obiettivi strategici, e cominciare subito a inserirli nell’agenda di Italia 2020 stabilendo le priorità necessarie con equità e giustizia.
Rimboccarsi le maniche?
Alcuni sicuramente diranno “ma chi ce lo fa fare?”, memori forse dei tempi in cui Andreotti diceva «tanto in Italia tutto s’aggiusta» e Craxi affermava «la nave va».
Mi dispiace per lorsignori, ma quei tempi non torneranno più, nel bene e nel male.
In conclusione: qual è il rischio di continuare a ripetere “tutto bene Madama la Marchesa”?
È quello di fare la fine della rana nella pentola.
Questa metafora, rilanciata in un recente pamphlet dallo scrittore Olivier Clerc, s’adatta assai bene all’Italia dominata da una politica minimalista e di corto respiro. «Una rana, immersa in una pentola d’acqua che si riscalda molto lentamente, all’inizio si trova bene, ma quando l’acqua comincia a scottare non ha più le forze per saltare fuori».
La morale della favola è semplice: non c’è alternativa a una politica ambiziosa e profondamente riformatrice.
Gianfranco Fini
(da “Charta Minuta“)
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