“GAZA È PEGGIO DELL’INFERNO SULLA TERRA”: LA PRESIDENTE DEL COMITATO INTERNAZIONALE DELLA CROCE ROSSA, MIRJANA SPOLJARIC, DESCRIVE UNA SITUAZIONE TERRIBILE NELLA STRISCIA
LA POSIZIONE DEI CENTRI DI DISTRIBUZIONE DEGLI AIUTI UMANITARI, GESTITI DALLA SOCIETÀ AMERICANA IN ODORE DI MOSSAD “GAZA HUMANITARIAN FOUNDATION”, È STRATEGICA PER ISRAELE PERCHÉ COSTRINGE GLI ABITANTI A SCAPPARE VERSO SUD PER OTTENERE DEL CIBO. MENTRE I GAZAWI SI SPOSTANO, L’ESERCITO DELLO STATO EBRAICO PUO’ AVANZARE PIÙ FACILMENTE
Nemmeno dieci giorni. I siti di distribuzione degli aiuti umanitari della Gaza Humanitarian Foundation (Ghf) ieri sono rimasti chiusi, all’ottavo giorno dall’apertura e, soprattutto, dopo tre albe drammatiche per le sparatorie sui civili che erano in cammino per ritirare pacchi alimentari.
I responsabili hanno fatto sapere con una nota che lo stop (solo ieri) si è reso necessario «per consentire di svolgere le attività logistiche in modo da accogliere un maggior numero di persone», e per «agevolare i lavori dell’esercito israeliano» che ha il compito di «preparare l’accesso ai siti di distribuzione».
Il portavoce arabo dell’esercito israeliano ha avvertito i palestinesi: le strade che portano ai centri Ghf sono considerate zone di combattimento. Insomma: un giorno perso per donare cibo alla popolazione affamata di Gaza ma anche un giorno per rivedere la questione della sicurezza dei gazawi che si avvicinano ai centri (tre nel sud della Striscia, nell’area di Rafah e uno nella parte centrale, vicino Gaza City). La parte interna dei siti è gestita dalla Fondazione registrata in Svizzera e voluta da Israele e Stati Uniti.
La sicurezza è affidata a contractor privati. La parte fuori, invece, quella che la gente di Gaza è costretta ad attraversare per arrivare ai pacchi alimentari, è sotto il controllo dell’esercito israeliano. È in quella fascia esterna che domenica, lunedì e martedì si sono verificati gli «incidenti», come li definiscono le Idf, le forze di sicurezza israeliane. Cioè sparatorie contro la folla in cammino e a poche centinaia di metri dal sito di Rafah, vicino alla cosiddetta Rotonda della bandiera.
L’esercito nega di aver sparato domenica (Hamas parla di 31 morti e circa 200 feriti), mentre dice di aver sparato colpi di avvertimento e poi altri verso «individui minacciosi» lunedì (tre morti) e martedì (27 morti e più di 100 feriti secondo Hamas, cifre «esagerate» secondo i militari).
L’apertura agli aiuti umanitari dopo quasi tre mesi di stop assoluto, si rivela un punto critico forse più di quanto la stessa Ghf avesse mai immaginato. Per le sparatorie, certo. Ma anche perché le Nazioni Unite contestano il sistema di distribuzione Ghf, a cui l’Onu non ha voluto partecipare. Lo ritengono una deportazione di gazawi costretti a spostarsi a sud per avere il cibo e senza garanzie di sicurezza. Chiedono una «inchiesta indipendente e immediata» sulle sparatorie e le definiscono «crimini di guerra».
«Gaza è peggio dell’inferno sulla Terra», sostiene la presidente del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr), Mirjana Spoljaric, in un’intervista alla Bbc. A chiedere l’inchiesta c’è da ieri anche il governo britannico il cui premier, Keir Starmer, annuncia: «Valuteremo ulteriori azioni contro Israele» dopo la sospensione (settimana scorsa) dei colloqui per l’accordo sul libero scambio. «Ulteriori azioni» data la recente espansione dell’offensiva a Gaza, «spaventosa, controproducente e intollerabile».
Nelle operazioni militari di ieri secondo il ministero della Salute di Hamas sono stati uccisi 95 palestinesi (almeno 18 sarebbero morti nell’attacco a una scuola a Khan Younis) e ne sono stati feriti 440; numeri che — sempre stando ai dati del gruppo islamista — fanno
salire il totale delle vittime a più di 54.600 morti e 125.341 feriti dall’inizio del conflitto.
(da agenzie)
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