I DANNI DEL NEOLIBERISMO SULLE BOLLETTE: SUI RINCARI PESA PIU’ LA SPECULAZIONE DELLA GUERRA
D’ACCORDO DIVERSIFICARE I FORNITORI E RAFFORZARE IL POTERE CONTRATTUALE DEGLI ACQUIRENTI, MA OCCORRE RIVEDERE IL MECCANISMO DI FISSAZIONE DEI PREZZI IN MANO A POTERI FINANZIARI SPECULATIVI
Per imprese e famiglie, i costi dell’energia (elettricità e gas in particolare) sono cresciuti enormemente negli ultimi tempi. La responsabilità è solo in parte della guerra in Ucraina, ma anche del modo in cui sono organizzati i mercati sui quali si formano i prezzi.
Nel caso del gas o del petrolio, i contratti di fornitura tra produttori e distributori sono stipulati dalle parti contraenti e possono variare di caso in caso (tanto per fare un esempio, la Germania paga a Gazprom un prezzo che è in media un terzo di quello applicato da Gazprom agli altri paesi Ue, Italia inclusa). Per lo più si tratta di contratti di lungo periodo relativi a quantità significative, con abbondanza di clausole relative a tempi e modalità di consegna e formule spesso complesse per la determinazione dei prezzi, inclusa la valuta di pagamento, e la loro variazione del tempo.
I prezzi possono essere indicizzati, con pesi diversi, alle variazioni dei tassi di cambio, a indici generali dei prezzi, ai prezzi determinati su mercati di tipo borsistico che trattano contratti standardizzati relativi alle diverse fonti di energia.
I mercati organizzati, tipo borsa valori, non si formano spontaneamente, ma sulla base di regole stabilite dalle autorità di borsa o concordate tra i maggiori operatori del settore.
Come tutti i mercati finanziari, sono orientati a un comportamento speculativo: chi acquista un contratto lo fa nella speranza di rivenderlo rapidamente con un guadagno.
Certo c’è un momento in cui le contrattazioni si chiudono: per il greggio Brent si utilizzava una espressione, five o’clocked, per indicare la maledizione di chi restava con il cerino in mano (tre giorni prima della consegna del carico, alle cinque della sera) ed era costretto a ritirare il carico di una petroliera, scambiato fino a un centinaio di volte o più fino a quel momento; ma il Brent che per decenni ha costituito meno dell’1% delle transazioni mondiali di greggio è ormai scomparso con l’esaurimento dei pozzi al largo delle coste scozzesi e le trattative riguardano un derivato finanziario senza controparte reale.
Certo, i mercati del gas o dell’elettricità sono diversi da quello del Brent: per il gas, il prezzo di riferimento è per tutta Europa il Ttf di Amsterdam (gestito da una società olandese e che in via diretta riguarda i flussi di gas olandesi); per l’elettricità, nel nostro Paese, quello della Borsa elettrica italiana.
Ciascun mercato borsistico ha le sue regole specifiche, con pregi e difetti spesso assai importanti in concreto. In generale, il funzionamento dei mercati di borsa è valutato in modi opposti dalle teorie economiche neoliberiste e neokeynesiane.
La teoria neoliberista dei mercati finanziari efficienti (che ha fruttato il premio Nobel a un esponente della scuola di Chicago, Eugene Fama) sostiene che i prezzi che si formano su questi mercati riflettono le condizioni di base dei mercati reali, nonostante qualche sperabilmente modesta oscillazione attorno al ‘vero’ valore, che assicura l’eguaglianza tra i flussi di domanda e di offerta e l’efficienza anche intertemporale nell’allocazione delle risorse.
Già nella sua Teoria generale (1936) Keynes sottolineava invece l’instabilità di questi mercati, che si autoalimenta fino a destabilizzare l’economia reale.
Nessun operatore si preoccupa di valutare la situazione reale di fondo: ciascuno è concentrato a immaginare cosa accadrà nei prossimi giorni, nelle prossime ore, nei prossimi minuti. Come diceva Keynes, nel lungo periodo siamo tutti morti: in altri termini, il mercato può scostarsi dal valore ‘vero’ per un periodo di tempo abbastanza lungo da far fallire chi giorno dopo giorno ha scommesso su di esso.
Come la stragrande maggioranza dei mercati, anche i mercati di tipo borsistico si allontanano frequentemente dalle condizioni di concorrenza perfetta.
Spesso pochi grandi operatori dominano le contrattazioni, e spesso si tratta di operatori che hanno convenienza a prezzi elevati; pur senza sospettare accordi espliciti, vietati dalle regole antitrust ma di cui in passato si sono avuti esempi importanti (un esempio clamoroso di manipolazione da parte di un ristretto gruppo di operatori è stato quello del Libor, il London inter-bank interest rate, al quale erano indicizzati numerosissimi contratti finanziari), possiamo rilevare indizi di collusione implicita, non punibili giudiziariamente, in cui ad esempio le voci che spingono i prezzi al rialzo provocano reazioni sistematicamente più forti di quelli che spingerebbero i prezzi al ribasso. Inoltre, alcuni mercati sono più opachi (meno trasparenti) di altri: in vari casi, come nel mercato del gas di Amsterdam, i contratti sono stipulati over the counter, cioè direttamente tra le controparti e non con meccanismi borsistici di incontro automatico tra domanda e offerta.
I prezzi del gas e dell’elettricità nelle nostre bollette seguono quanto avviene su questi mercati. Il PUN (prezzo unico nazionale) che costituisce il prezzo di riferimento per l’energia elettrica in Italia è determinato sulla Borsa elettrica italiana, nella quale gli operatori sono fortemente influenzati dall’andamento del Ttf determinato ad Amsterdam; il Ttf poi influisce in modo diretto sul prezzo del gas nelle nostre bollette per i contratti “in tutela” e in modo indiretto per tutti gli altri contratti. In questo modo, le violente fluttuazioni caratteristiche dei mercati finanziari speculativi finiscono con lo scaricarsi sui consumatori finali, ben al di là dei problemi effettivi di scarsità nei mercati energetici di origine.
La scarsità in effetti è spesso utilizzata per giustificare prezzi che possiamo considerare troppo elevati, rispetto alla situazione effettiva dei mercati. Consideriamo il problema in due tappe: la scarsità finale, al di là delle difficoltà di breve periodo; la crisi connessa alla guerra. Per quanto riguarda gas e petrolio, la scarsità assoluta è un mito.
Le riserve provate (cioè relative a giacimenti già noti ed economicamente sfruttabili al rapporto prezzi-costi prevalente prima della crisi attuale) superano i quarant’anni di consumo; l’esperienza passata mostra che nel tempo le riserve provate non diminuiscono, anzi spesso aumentano, grazie alla scoperta di nuovi giacimenti e soprattutto grazie ai miglioramenti nella tecnologia di esplorazione (come le rilevazioni geosismiche tridimensionali) e di estrazione (le cosiddette tecniche di recupero secondario e terziario, che prevedono l’immissione nel giacimento di acqua a pressione, addizionata con fluidificanti chimici).
Più complessi sono i problemi di breve periodo determinati dalla guerra, in particolare il blocco quasi totale delle importazioni di gas russo. Una riorganizzazione dei flussi di fornitura non è facile, e non può essere immediata: per costruire un gasdotto che colleghi fornitori e acquirenti su grandi distanze occorrono anni; la concorrenza tra paesi esportatori è tutt’altro che assente, ma in una situazione di difficoltà immediate si fa vivace la concorrenza tra paesi importatori. (Proprio per questo motivo concordare nella UE un tetto al prezzo del gas importato dalla Russia sarebbe un segnale importante, pur se difficile, dato il timore di tedeschi e ungheresi di perdere le condizioni di vantaggio, quindi di competitività della loro industria, di cui godono, e data la presenza di un importante produttore come l’Olanda).
La situazione richiede interventi urgenti, per evitare i rischi di blocco delle nostre industrie e inverni al gelo per le famiglie: campagne di risparmio energetico, acquisto di impianti di rigassificazione (che hanno il vantaggio di essere disponibili rapidamente, se si supera il problema politico della loro collocazione), accordi con nuovi fornitori con una politica estera attiva.
Ma non si capisce, se non con i meccanismi della speculazione finanziaria, perché questa situazione debba generare aumenti così drastici e immediati dei prezzi del gas (aumentato del 1200% nel giro di un anno, con balzi del 20 o 30% da un giorno all’altro), quando problemi concreti ancora non si sono manifestati e quando sappiamo che con un certo sforzo possiamo evitarli.
In sostanza, conviene tenere distinti i due problemi.
Per quel che riguarda gli approvvigionamenti, vi sono varie cose da fare, ma vi sono margini per pensare che sia possibile evitare crisi drammatiche (a patto, naturalmente, di accettare i rigassificatori e qualche misura di parziale contenimento dei consumi).
Per quel che riguarda i prezzi, anche qui il fronte su cui muoversi è ampio: diversificare i fornitori, rafforzare il potere contrattuale degli acquirenti (ad esempio, con il tetto al prezzo di acquisto del gas russo), sensibilizzare i consumatori finali (anche come strumento per ridurre il carico delle bollette) e, cosa di cui finora si è discusso troppo poco, rivedere i meccanismi di fissazione dei prezzi con l’abbandono deciso dei riferimenti a mercati finanziari opachi e speculativi.
Purtroppo, l’ideologia neoliberista – un cancro egualmente diffuso tra i partiti di centro, di destra e di sinistra – spinge tanti, autorità di politica economica, politici e giornalisti, a considerare come mostri sacri, dotati di superiore obiettività, i mercati finanziari: come se la teoria dei mercati finanziari efficienti fosse veramente valida.
Alessandro Roncaglia
professore emerito di Economia politica, Sapienza Università di Roma
(da Huffingtonpost)
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