“I PROLETARI? SONO GLI ARTIGIANI E GLI AUTONOMI”: IL NUOVO CASARINI RIPARTE DA PAPA FRANCESCO
L’EX DISOBBEDIENTE, LA CORSA CON TSIPRAS E LA VITA IN FAMIGLIA A PALERMO: “I POLITICI ASCOLTINO FRANCESCO. HO CHIUSO LA PARTITA IVA, NON REGGEVO”
“E i figli come sono: ribelli? «No: ri-belli. Nel senso che sono bambini bellissimi…». È tutto in questa risposta, tenera tenera, il «nuovo» Luca Casarini. L’uomo che visse due volte.
Nella prima vita era un no-global molto attaccabrighe che si fiondava in tutte le rivolte di piazza da una parte all’altra del pianeta finendo in manette a Istrana e in Messico, a Trieste e Copenaghen, in Israele e a Torino.
Nella seconda non è che da incendiario sia diventato pompiere («incendiario, sinceramente, non mi sono sentito mai e pompiere oggi men che meno: solo che, andando verso la cinquantina, sono un po’ cambiato») però dopo aver messo su famiglia, ha deciso di dare battaglia in maniera diversa.
Fino a candidarsi al voto di domenica, nella circoscrizione di centro, con «L’altra Europa per Tsipras», la lista di quanti, nella scia del greco Alexis Tsipras, combatte l’anti-europeismo demagogo e populista teorizzando «un’Europa diversa, dei diritti e non delle banche».
Ma che c’entra, uno come lui, con un’intellettuale «liberal» quale Barbara Spinelli? «Sempre stato a favore di un’alleanza fra ribelli e democratici. E poi Barbara è Barbara. Sono affascinato da lei».
Non sarà un po’ imborghesito, come accusano certi gruppuscoli duri e puri dell’estrema sinistra? «Ma va! Lo so io cosa ho in banca… Del resto Marcos diceva: “a destra mi danno del rivoluzionario, a sinistra del riformista: forse ho ragione”. Io resto in trincea sul fronte delle diseguaglianze, della povertà con cui fanno ormai i conti 120 milioni di europei e quasi un terzo degli italiani. Uso una parola antica: contro le ingiustizie. Non possiamo accettare che 43 milioni di persone, nella Ue, vivano in miseria»
Lui la vede tutti i giorni, dice. Nei quartieri più infelici di Palermo.
Lasciato il Veneto («Ho costretto mia moglie a vivere sette anni a porto Marghera, appena lei ha avuto un contratto di ricerca in Sicilia, siamo venuti via») vive oggi alla Kalsa, nel cuore della città antica e popolare: «Mi sono battuto per anni per tutti i Sud del mondo. Era scritto che dovessi venire a vivere nel Mezzogiorno»
Com’è stato il passaggio da un dialetto all’altro, dal «pesse» al «pisci», dai «folpi» ai «purpi»? «Nessun problema». Prima parola imparata? «Minchia». Conosceva già , la Sicilia? «Più che altro ero venuto a Comiso, contro la base Nato…». Ammicca: «Una visione un po’ ristretta».
Molto più complicati, più che quello familiare, sono stati altri traslochi: dai centri sociali al romanzo «La parte della fortuna» edito da Mondadori, dalle «tute bianche» alla contestazione dell’oppressione fiscale, dagli scontri di piazza alla partita Iva: «Mi ha cambiato la prospettiva. Il piccolo artigiano, il piccolo imprenditore, il piccolo autonomo è l’ultimo anello della catena, lavora 24 ore su 24, non stacca mai ed è attaccato da tutte le parti. È spesso, davvero, un sottoproletario dei tempi moderni». Dice che l’ha chiusa, lui, la partita Iva: «Non ero in grado di reggere. Adesso, a 700 metri dal Politeama, abbiamo aperto con alcuni amici uno spazio “co-working”. Dividiamo le spese, il telefono, gli spazi… Mettiamo insieme le idee…».
Basta a «calari ‘a pasta», cioè a dar da mangiare? «A intermittenza. Quanto possa essere pesante il lavoro a intermittenza lo provo io stesso tutti i giorni. Pensare di risolvere i drammi del lavoro solo con la precarietà non ha senso. Se tu mi fai il decreto Poletti che prevede il lavoro a intermittenza pagato tre euro all’ora e ti dà la possibilità di lavorare due mesi e poi stai fermo un mese e poi ne lavori altri due da un’altra parte, quando stai fermo cosa mangi, come paghi il mutuo, come ti fai carico delle bollette? Non puoi fare un decreto come quello senza ragionare sulla “flexsecurity” e il reddito minimo garantito».
“A proposito, quella è una battaglia di Grillo: che ne pensa? «Metto tutto insieme, le cose che mi piacciono e quelle che non mi piacciono. La somma è che lui non mi piace. Vuole mandar via tutti, avere il voto di tutti… La democrazia non è questa cosa qui. La democrazia è scontro ma anche confronto. È terribile questa idea di voler rappresentare tutti. Vuole piacere ai poliziotti ma anche ai no-tav. Come fa? È un populista. Come Berlusconi. O Renzi. Magari si attaccano fra di loro e si dicono cose tremende ma sono tutti “pop”. Noi siamo rock».
Casarini finì nelle case di tutti gli italiani, attraverso i tiggì, nei giorni del G8 a Genova. Portavoce dei «Disobbedienti», spiegava la strategia così: «Quando un giornalista mi telefona e mi chiede di dargli qualcosa da prima pagina, rispondo: “A Genova dichiariamo guerra ai grandi del mondo”. E quello lo mette in prima pagina. Oppure tiriamo fuori la storia degli “uomini topo”, che sono già al lavoro, sempre a Genova, a scavare nei sotterranei. E loro abboccano».
Tredici anni dopo quelle giornate di violenza, il leader del movimento di ieri che i «giovani internazionalisti» di oggi accusano nella loro forum community d’esser dalla parte della «piccola borghesia imprenditorial-affaristica di stampo veneto», dice che lui non la capisce la rabbia di Grillo: «Quale visione ha della società ? Quale? La rabbia di Grillo è una cattiva consigliera. È un elemento giusto perchè bisogna arrabbiarsi davanti alle ingiustizie ma è sempre foriera, senza una visione, di storture…
E guai a ricordargli che anche la rabbia dei black block a Genova non aveva un disegno se non la violenza, lo sfascio delle vetrine, la demolizione delle auto parcheggiate, l’assalto alle filiali delle banche: «Certo, sono stati fatti degli errori. Ma quelle furono giornate buie. Guardiamo i processi: quelli che hanno spaccato e torturato le persone se la sono cavata con una tirata d’orecchi, quelli che hanno spaccato solo “cose” si son beccati 14 anni di galera».
Lui, racconta, è uscito assolto dopo otto anni con formula piena: «Mi avevano accusato di cospirazione contro lo Stato. Manco fossi un generale golpista…»
Fatto sta che ancora oggi è così legato a quella stagione che quando ha saputo di lui Andrea Camilleri, polemicamente… «No, no, con Camilleri credo che ci siamo chiariti. Del resto, non ha fatto forse un appello per votare per la nostra lista? C’è bisogno di sinistra».
Renzi non lo è? «Votando Renzi si vota Schulz, votando Schulz si vota Junker… Le larghe intese stanno mutando la natura della sinistra europea. Del resto, su un sacco di temi, a partire dai diritti e dall’attenzione alla povertà , all’emarginazione, alle periferie, all’immigrazione mi trovo molto meglio con tanti cattolici che non con gli esponenti del Pd. Prenda il traffico di armamenti: c’è solo il Papa a denunciare questo traffico». Ha preso una cotta? «No. Ma è stato straordinario il suo viaggio a Lampedusa. Così come la telefonata a Pannella sulle carceri. Un Papa che si occupa delle carceri! Peccato che, nel loro cinismo, i politici non lo ascoltino per niente…».
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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