I RETROSCENA DELL’INCONTRO AL COLLE: RENZI CEDE SULLA GIUSTIZIA PER SALVARE GLI ESTERI
NELLE DUE ORE E MEZZA DA NAPOLITANO, RENZI HA CAMBIATO LE CARTE PIU’ VOLTE
Due ore e mezza di colloquio al Quirinale.
Più di quando toccò a Enrico Letta e Mario Monti, altre storie, altre epoche. Matteo Renzi arriva da Giorgio Napolitano e non lo trova sereno.
Prima del faccia a faccia nello studio del presidente, che inizia alle 16.30, dal Colle trapelava una certa irritazione, per quella irritualità renziana: annunciare ai giornalisti l’orario di presentazione della lista dei ministri senza prima concordarlo con la presidenza della Repubblica, ma soprattutto quella lista di 16 nomi che non arriva a Palazzo prima delle 16.
Napolitano ha poco tempo per visionarla, ma nota subito le caselle che non gli quadrano.
Prima di tutto, gli Esteri, come confermano dal Pd, e di conseguenza, anche la Difesa, anche se in maniera meno netta. E poi la Giustizia.
Sulle prime due, Renzi non cede . Ma è costretto a farlo sul dicastero di via Arenula. Non è affatto un caso se proprio il nome del Guardasigilli esce cambiato dal colloquio tra il premier e il capo dello Stato: entra come Nicola Gratteri, pm calabrese impegnato nelle inchieste contro la ‘ndrangheta, ed esce come Andrea Orlando, ex responsabile Giustizia del Pd, giovane ministro con delega all’Ambiente nel governo Letta.
E cambiata la carta della Giustizia, si spostano altre caselle.
Poche in realtà , rispetto alla lista con cui Renzi si è presentato al Colle e diffusa in esclusiva da Huffington Post.
Poche, visto che sul un tecnico all’Economia (Pier Carlo Padoan) il premier aveva già ceduto prima di salire al Quirinale.
Un po’ lo dice Napolitano stesso, parlando ai giornalisti allo studio alla Vetrata del Quirinale subito dopo le comunicazioni di Renzi.
“Le due ore e mezza di oggi – ha detto il capo dello Stato — non sono state di incontro tra me e il presidente incaricato, ma di lavoro parallelo: io ho fatto un po’ di mio lavoro diciamo di routine, il presidente del Consiglio ha completato consultazioni per poter definire la composizione del Consiglio dei ministri”.
Sembra che sia andata proprio così, con Renzi che entrava e usciva dallo studio del presidente, si appartava per fare le sue telefonate in una stanza attigua, chiamata niente meno che: ‘Salottino Napoleonico’.
Contatti con il capogruppo Roberto Speranza, con il leader di minoranza Gianni Cuperlo.
Perchè, sparito il nome di Gratteri, è entrato in campo il Pd, con il suo corpaccione che esce ben rappresentato nel governo Renzi, in tutte le sue spigolature e anime. Tranne che per la parte lettiana e poi Rosi Bindi e Beppe Fioroni.
Ma andiamo con ordine.
Raccontano dal Pd che Napolitano ha alzato il sopracciglio quando ha letto il nome della giovane Federica Mogherini assegnato agli Esteri. Dubbi, perplessità sulla scelta del premier incaricato di affidare un dicastero così importante ad una personalità di poca esperienza, soprattutto alla luce dei pesantissimi dossier aperti: quello con l’India sui Marò, per dirne uno, ma anche proprio i rapporti euro-atlantici in un momento delicatissimo di crisi economica e non solo economica.
Insomma, per Napolitano Esteri e Difesa sono caselle sulle quali andava stabilita una certa continuità con il governo Letta, confermando i ministri Emma Bonino e Mario Mauro. Ma su entrambe le caselle Renzi non ha ceduto. Sulla Giustizia invece si è dovuto arrendere.
L’idea del premier per il ministero di via Arenula era di puntare su una carta da spendere anche come immagine del governo.
Avere un pm come Gratteri avrebbe significato la possibilità di esibire in squadra un profilo forte di lotta alla criminalità organizzata.
Ma si è scontrato con le forti perplessità di Napolitano non su Gratteri in quanto tale ma sul fatto che la carica di Guardasigilli andasse a un magistrato, figura non superpartes nel variegato mondo della Giustizia.
E’ qui che Renzi ha dovuto cedere nel confronto con Napolitano, è qui che ha dovuto aprire il suo file, cancellare il nome Gratteri e sostituirlo con Orlando, esponente dell’area di minoranza Pd ‘Giovani Turchi’, inizialmente destinato all’Ambiente.
E spostando Orlando, è stato necessario spostare altre pedine. Gianluca Galletti, quota Udc, era associato all’Agricoltura, nella lista di Renzi.
E’ finito invece all’Ambiente, mentre l’Agricoltura è stata assegnata al bersaniano Maurizio Martina, segnalato al premier dai bersaniani sin dall’inizio delle trattative, tanto che quando Renzi l’aveva rifiutato chiedendo un nome al femminile, loro avevano risposto con la richiesta di una riconferma per Anna Maria Carrozza o Cecilia Guerra, ex ministre del governo Letta.
Ora tutte le aree del Pd sono rappresentate nel governo. La franceschiniana Areadem ha ben tre dicasteri: Esteri (Mogherini), Difesa (Roberta Pinotti) e Cultura (Dario Franceschini). Massimo D’Alema ha Padoan, ex presidente della Fondazione Italiani Europei.
Walter Veltroni ha Marianna Madia, legata all’ex sindaco di Roma almeno fino a qualche anno fa. Persino i circoli civatiani sono finiti in squadra.
E’ questa è l’altra sorpresa che emerge dalle due ore e mezza di colloquio Renzi-Napolitano, una sorpresa comunque e sempre scatenata dalla cancellazione del nome di Gratteri dalla lista del segretario Pd.
A Maria Carmela Lanzetta, simbolo anti-‘ndrangheta, ex sindaco di Monasterace, paesino della Calabria, viene assegnato il ministero degli Affari Regionali, inizialmente non previsto nella lista (e per la Lanzetta, viene depennato il nome di Valeria Fedeli, prevista alla Pubblica Amministrazione, assegnata invece a Marianna Madia).
Lanzetta si è schierata con Civati alle primarie per il segretario Dem. Magari la sua presenza non è riuscita a risolvere il ‘problema Civati’, che resta comunque intenzionato a non votare la fiducia al governo Renzi. però ora evidentemente sarà Lanzetta a portare la bandiera della lotta alla criminalità organizzata nella squadra del segretario Dem a Palazzo Chigi.
Non solo Pd. Oltre ai tre dicasteri del Ncd – gli intoccabili Alfano (Interni), Lupi (Infrastrutture e Trasporti) e Lorenzin (Sanità ) che Renzi ha dovuto ‘ingoiare’ — in squadra c’è anche Federica Guidi, provenienza Confindustria, vicina niente meno che a Silvio Berlusconi.
Roba che fa storcere il naso nella minoranza Pd, che si consola con Giuliano Poletti (Legacoop) al Lavoro.
Un governo di unità nazionale? Quasi. Farà le riforme? “Nessuno può mettere la mano sul fuoco”.
Parola di Napolitano.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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