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I SOVRANISTI PREPARANO IL NUOVO DDL LAVORO: PIU’ CONTRATTI PRECARI E LICENZIAMENTI FACILI

QUESTA SAREBBE LA “DESTRA DEL POPOLO”: AL SERVIZIO DEI POTERI FORTI E DEGLI SPECULATORI

Chi manca dal lavoro per cinque giorni senza spiegazioni sarà licenziato senza diritto alla Naspi, e i contratti a tempo determinato potranno essere rinnovati senza causale per due o tre anni, invece di uno.
Sono alcune delle misure contenute in due disegni di legge in lavorazione in Parlamento da tempo, ma che nelle ultime settimane – proprio con l’avvicinarsi del Primo maggio – hanno visto un’accelerata.
Uno è alla Camera, è di iniziativa del governo Meloni e in particolare della ministra del Lavoro Calderone, ed è nato dal ddl Lavoro che il governo aveva presentato il Primo maggio dello scorso anno.
Questa proposta è a buon punto, gli emendamenti sono già stati presentati e la discussione in commissione procede. L’altro testo è al Senato, con la prima firma dalla senatrice di Fratelli d’Italia Paola Mancini. È stato presentato ad aprile 2023, ma di recente l’iter si è sbloccato: il 7 maggio sarà l’ultimo giorno per depositare gli emendamenti.
I due ddl hanno delle parti molto simili, e nei prossimi giorni la maggioranza dovrà mettersi d’accordo sugli articoli che saranno cancellati da una parte per tenerli dall’altra.
È possibile che si arriverà a un solo testo condiviso, un nuovo ddl Lavoro che contenga le misure più importanti di entrambe.
La sostanza, in ogni caso, resterà la stessa: molti passaggi riducono le tutele attuali per i lavoratori. Non a caso, sia la Cgil che la Cisl (tradizionalmente più ‘morbida’ con il governo) hanno trovato parecchio da ridire nelle loro audizioni sulle proposte. Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 stelle in commissione Lavoro al Senato, ha commentato a Fanpage.it: “La maggioranza continua nella sua opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori. Su contratti a termine, licenziamenti e sicurezza sul lavoro il ddl Mancini fa fare un terribile salto indietro al nostro Paese”.
Via libera ai contratti precari rinnovabili per due anni
Una proposta nel ddl della senatrice Mancini consentirebbe di fare contratti a tempo determinato senza causale per un periodo di due anni, invece di uno solo come previsto adesso. Infatti, si potrebbe arrivare a sei proroghe ed eventuali quattro rinnovi con la stessa azienda, per un periodo complessivo di 24 mesi. Non solo, ma in più sarebbe permesso anche “un ulteriore contratto a tempo determinato fra gli stessi soggetti, della durata massima di dodici mesi”, se previsto da specifici accordi sindacali. Tre anni in tutto, quindi. L’ultima parte dell’articolo, poi, riduce il tempo disponibile al lavoratore per fare ricorso e impugnare il contratto a tempo determinato: solo 120 giorni, invece di 180.
Chi è assente al lavoro senza giustificazione dà le dimissioni in automatico (senza Naspi)
Tutti e due i testi intervengono anche sulla materia delle dimissioni, sfavorendo i lavoratori che si assentano dal lavoro senza giustificazione. Il testo di Mancini è meno ‘severo’: chi non si presenta al lavoro per almeno venti giorni consecutivi senza alcuna giustificazione si considera automaticamente dimesso, non per giusta causa: nessun diritto alla Naspi, quindi. L’intenzione, si legge nella relazione, è di evitare le “condotte opportunistiche dei lavoratori che, avendo deciso di dimettersi volontariamente dal posto di lavoro, si assentano ingiustificatamente al solo fine di provocare il licenziamento per motivi disciplinari” e quindi maturare la Naspi.
Il motivo per cui questa norma è la meno severa delle due è anche anche nel ddl Calderone c’è un articolo simile, ma il limite è di appena cinque giorni. Chi si assenta dal lavoro per meno di una settimana e non fornisce giustificazioni avrà sostanzialmente dato le dimissioni in bianco. Si salva solo chi, nel suo contratto collettivo, prevede un limite più alto di giorni per casi simili: in quel caso si applica comunque il numero maggiore di giorni di assenza prima che scattino le dimissioni volontarie.
Più spazio anche ai contratti di somministrazione
Tra i diversi punti condivisi ci sono quelli sui contratti di somministrazione. Attualmente, un’azienda può prendere solo un certo numero di lavoratori in somministrazione o a tempo determinato: al massimo il 30% dei dipendenti a tempo indeterminato che ha già. Questo limite non vale per alcune categorie specifiche di lavoratori, per facilitare il loro inserimento lavorativo: ad esempio, chi è disoccupato da parecchio tempo.
Il ddl che porta la prima firma della ministra del Lavoro Marina Calderone allarga questa eccezione, includendo anche tutti coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia di somministrazione. Il ddl Mancini, invece, prevede regole diverse per i contratti a tempo indeterminato e quelli di somministrazione. Il risultato, come ha commentato anche la Cgil, è che la somministrazione diventerebbe praticamente “incontrollabile” e questo porterebbe a “precarizzare ulteriormente i rapporti di lavoro”.
La legge ad hoc per nominare pensionati dirigenti della Pa
Spicca un passaggio del ddl Mancini che sembra scritto ad hoc per permettere l’assunzione di qualcuno di specifico. L’articolo consentirebbe di conferire incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione anche a pensionati o lavoratori vicini alla pensione. Una cosa che oggi non è possibile, a causa della legge Madia del 2015. L’intervento della proposta Mancini durerebbe solo per due anni, dando ancora di più l’impressione che si tratti di una deroga scritta con delle persone in mente.
Le altre proposte: meno sanzioni per le aziende, Cig più rigida
I ddl intervengono poi su ambiti molto vari. Nella riforma di Calderone, ad esempio, c’è anche una norma che dà il via libera al lavoro con meno controlli per i pensionati. Infatti, dal 2016 chi ha un rapporto di collaborazione continuativa ma di fatto è un dipendente deve essere inquadrato come lavoratore dipendente. Questo comporta anche una serie di controlli e tutele in più. Invece la proposta di legge prevede che questa norma non si applichi a chi prende la pensione anticipata o di vecchiaia. Liberalizzati così i contratti di collaborazione con i pensionati, cosa che permetterebbe alle aziende di continuare a pagare anche i propri ex dipendenti (per esempio) senza assumere nuovi lavoratori.
C’è poi la cassa integrazione. Oggi, chi trova un contratto da sei mesi o più breve subisce una sospensione della Cig, che poi continua a essere erogata (recuperando anche gli arretrati) quando questo contratto finisce. Il ddl Calderone prevede che chi trova un altro contratto mentre è in Cig perda del tutto diritto al trattamento, per il periodo in cui lavora.
La proposta della ministra Calderone, infine, aiuta i datori di lavoro che non hanno versato i contributi Inps e Inail, facendo sì che dal 2025 possano mettersi in regola pagando fino a sessanta rate mensili. Il ddl Mancini stabilisce che le aziende possono ottenere il Durc (cioè l’attestato che dimostra che i pagamenti a Inps e Inail sono in regola) anche se hanno versato meno contributi del dovuto, entro i 10mila euro. Un altro articolo dimezza la multa minima per chi non paga fino a 10mila euro di ritenute previdenziali: 5mila euro invece di 10mila, mentre il massimo sale da 50mila a 100mila euro.
Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 stelle in commissione Lavoro a Palazzo Madama, ha dichiarato a Fanpage: “La maggioranza continua nella sua opera di smantellamento dei diritti dei lavoratori. Su contratti a termine, licenziamenti e sicurezza sul lavoro il ddl Mancini fa fare un terribile salto indietro al nostro Paese, annullando ciò che di buono è stato fatto negli anni passati. Non manca, poi, il solito favoritismo agli ‘amici degli amici’, laddove si prevede una deroga alla legge Madia per attribuire incarichi di consulenza nella Pa a soggetti in pensione. A Palazzo Madama la nostra opposizione sarà dura”.
(da Fanpage)

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