IL DUO VINTAGE: DUE VOLTI DEL SISTEMA CHE RIMUOVONO LE SCONFITTE E S’AFFIDANO ALLE SOLITE PROMESSE
RENZI E BERLUSCONI NEL TEATRINO DELL’AVANSPETTACOLO COME BOLSI E VECCHI FIGURANTI
C’è un passato, eternamente uguale a se stesso, che incatena il presente, questo presente. Guardate la scena numero uno.
A Firenze, nella sua Firenze, Matteo Renzi ripropone gli ottanta euro, raddoppiandoli: “Gli 80 euro non vanno cancellati, abbiamo bisogno di estenderli innanzitutto alle famiglie che hanno figli. Quando nasce il secondo, il terzo figlio, una famiglia normale rischia di andare sotto la soglia di povertà “.
Guardate la scena numero due di questa giornata, apertura di fatto della campagna elettorale.
A Milano, nella sua Milano, Silvio Berlusconi ripromette, per l’ennesima volta: “Non solo aumenteremo la pensione minima ai mille euro ma adegueremo al valore dell’euro anche le altre pensioni”.
Poi il solito elenco, dall’abolizione del bollo auto, all’Imu sulla prima casa, e anche, sempre per gli anziani, “le cure per l’odontoiatria, le cure per gli occhi”, e — udite, udite – “facilitazioni per mantenere un cane, per esempio con un veterinario gratuito ogni quindici giorni” e, gran finale della televendita, “via l’Iva dai cibi per cani”.
Sono i volti e le parole di due “imbonitori” del Sistema, “populisti”, per usare un termine abusato, che si propongono come argine di fronte all’arrivo dei barbari.
Promesse, come metodo per fare consenso nell’Italia dello Strapaese che “vota con le tasche”, senza alcuna verifica di sostenibilità economica, e senza un’idea nuova che cancelli la sensazione di un deja vu, si chiami “mille giorni” o si chiami “rivoluzione liberale”.
Per carità , Renzi e Berlusconi non sono la stessa cosa, per “colpe” e responsabilità storiche.
Ed è, evidentemente, diversa l’entità delle sconfitte e dei fallimenti che entrambi hanno alle spalle: il 4 dicembre e il default del paese del 2011.
Ma c’è, in questa riproposizione della politica come vendita al chi offre di più, un approccio comune: l’ostinata riaffermazione della propria leadership come unico punto fermo che è, appunto, tutt’uno con la rimozione della sconfitta e con essa del principio di realtà . In definitiva una incapacità di elaborare il lutto.
E le rispettive macchine del tempo, vintage l’una, meno usurata l’altra, appaiono prive dell’antica capacità persuasiva: stesso battutismo, quasi sempre le stesse formule, come volti di un film diventato però, improvvisamente, in bianco e nero.
Silvio Berlusconi parla del governo, del “suo” programma, come fosse condiviso con gli alleati quando invece condiviso non è, e addirittura di una squadra di governo già decisa: tot ministri alla Lega, tot alla Meloni, tot ministri tecnici.
Anzi ne riparla, nell’ossessiva ed egolatrica ostinazione del “centrodestra c’est moi”, senza delfini, eredi, nomi all’infuori di sè e a prescindere dal giudizio degli altri, nonostante Salvini abbia già trattato la materia come se fosse una televendita scaduta.
Matteo Renzi affoga di fatto tutte le chiacchiere sulle alleanze, sul confronto “senza tabù” sul programma, insomma sulla famosa “pagina bianca da scrivere assieme”, nell’inchiostro del già scritto: gli ottanta euro, ma anche il jobs act, rivendicato orgogliosamente perchè “noi sì che abbiamo creato un milione di posti di lavoro” e l’intera politica economica di questi anni. Senza neanche soffermarsi tanto sul governo Gentiloni, sin dall’inizio vissuto come un ostacolo frapposto sulla via del voto, nell’ansia o speranza o illusione di riacquistare, da subito, il potere perduto. E non è un caso che gli applausi più fragorosi scattano sull’orgogliosa rivendicazione di ciò che è stato, più che sui nuovi cavalli di battaglia, come la “battaglia contro le fake news”.
Emerge, alla Leopolda, la difficoltà di costruire una narrazione nuova, nonostante il tentativo di tenere i toni un po’ più bassi, senza attacchi sprezzanti alla sinistra.
Perchè al netto dei decibel più contenuti e degli aggettivi più misurati, la continuità con quel che è stato (ed è stato sconfitto), è politica, non stilistica.
E, improvvisamente, si avverte la fragilità di una impostazione che non ha più un “nemico” da combattere e un obiettivo da raggiungere.
Il paradosso, ma fino a un certo punto, è che alla Leopolda Berlusconi è tornato un avversario, destinatario di attacchi polemici, proprio su “come ha lasciato l’Italia nel 2011”.
Il Cavaliere, invece, ora che non ci sono più i comunisti, ha eletto a nuovi nemici i Cinque Stelle, “gente che non ha mai lavorato nella vita”, un po’ come diceva nel ’94 ai vecchi.
È segno che, in questa campagna elettorale, l’imbonitore più giovane insegue, in quella che pare che una sfida a due, col centrodestra primo come coalizione e i Cinque Stelle primi come partito. Come era evidente già il 4 dicembre, verso sera.
(da “Huffingtonpost”)
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