IL GRANDE DISCORSO DI MACRON: “SOVRANITA’ EUROPEA, MAI PIU’ RIGORE”
“EUROPA FORTE E SOVRANA, DIFESA COMUNE, INDIPENDENZA DAI BLOCCHI, PASSIONE EUROPEA”
Sorride, mentre ascolta Emmanuel Macron. “C’è chi vorrebbe che tra noi le cose andassero male – scandisce il francese – E invece tra i due Paesi c’è un’amicizia fraterna”. Mario Draghi annuisce. Sa a chi pensa il Presidente. Pensa ai sovranisti. A Marine Le Pen. A Giorgia Meloni. A Matteo Salvini, anche se l’argomento è un po’ più scomodo per chi guida l’unità nazionale. A chi intravede colonialismo dove c’è integrazione.
Macron ricorda le “tempeste” del passato. Le tensioni e i gilet gialli, le destre antieuropeiste e autarchiche che sono l’altra faccia del continente. “Ma noi, oggi, con il trattato del Quirinale dotiamo l’Unione di strumenti che la rendono più forte. E cerchiamo una sovranità europea”.
Nove bandiere, tre per ciascun protagonista del giorno: Italia, Francia, Europa. A Villa Madama gli spazi sono contenuti e faticano a tenere assieme giornalisti, diplomatici, staff e tutta questa sintonia ostentata tra i due leader. Mostrata a tal punto da far sembrare un po’ artificiale un rapporto che, in realtà, funziona davvero e rappresenta la traccia politica da seguire nei prossimi mesi. “Vogliamo disegnare il nostro futuro – è il progetto politico di Draghi – e disegnarlo come vogliamo noi europei”.
La chiave è duplice, quantomeno: nuovo patto di Stabilità per abbandonare il rigore e i rigori del passato, difesa comune per garantire all’Unione la capacità di reagire con tempestività alle sfide: “Per essere sovrana – aggiunge il presidente del Consiglio – l’Europa deve essere capace di proteggersi e difendere i propri confini”.
Risuonano concetti un tempo banditi, da una parte e dall’altra delle Alpi. E’ il virus che minaccia tutti ad aver stravolto menti e piani politici. E ad aver strapazzato slogan antichi e tentennamenti, alimentando una passione europeista con un vigore almeno pari a quello con cui le destre sovraniste soffiano sul nazionalismo dei muri. E quindi, Macron indica chiaramente l’obiettivo della Presidenza che si apre a gennaio del 2022: riformare nel profondo l’Unione, dotarsi di capacità di agire come un corpo unico, “non dipendere più da altri attori” extracontinentali”. Di più: chiede “maggiore indipendenza”, ma per l’Europa. E gli interessi nazionali? Restano, altroché se restano e pesano, ma devono necessariamente coordinarsi – e forse a volte anche un po’ scansarsi – quando è in gioco l’agire europeo. Facile a dirsi, difficile a realizzarsi. “Serve una visione geopolitica comune”, sintetizza brutalmente il Presidente francese, e pensa alla Libia e al Sahel, al quadrante mediterraneo e all’energia che rischia di indebolire l’Europa quando marcia divisa e senza coordinamento.
Una volta archiviato il trattato, l’enfasi di queste ore andrà inevitabilmente scemando. C’è di mezzo ovviamente anche la campagna presidenziale per la rielezione. Ma Macron sembra comunque davvero proiettato verso una nuova fase. E lo stesso mostra di volere Draghi, sopra ogni cosa.
Anche il premier si gioca il futuro, che sia a Palazzo Chigi o al Colle si vedrà. I concetti e le speranze non cambiano, indipendentemente da quale Palazzo lo ospiterà dal febbraio del 2022: cambiare il Patto di stabilità è prioritario, vitale, ineludibile. “Le nuove regole – chiarisce l’ex banchiere centrale – devono riflettere sul passato da correggere e sul futuro che occorre disegnare. Se prima una revisione delle regole era necessaria, oggi è inevitabile. Tutto questo va fatto con l’Unione europea, insieme”.
Si procederà a Bruxelles per strappi e ricomposizioni. Peserà la variabile della pandemia, che proprio in queste ore torna a mordere come mai da parecchi mesi. E tanto dipenderà anche dal ruolo che riuscirà a giocare la Germania del dopo Merkel, senza la quale nulla è possibile costruire. Lo sostengono entrambi i leader, anche se Macron lo sostiene ovviamente di più. Di buon mattino sente e fa sapere di aver sentito la Cancelliera per discutere delle misure congiunte contro il Covid, ma è chiaro che intende anche chiarire al mondo che quell’asse vive e resiste a ogni cambio di governo tedesco. “In Francia – sorride il Presidente – si dice che quando le cose vanno male con la Germania, si guarda all’Italia. Ma non funziona così: l’Europa si costruisce a 27, non bisogna cercare nelle diverse alleanze i sostituti di uno o dell’altro”. Roma, insomma, non può e non riuscirebbe comunque a sostituire Berlino.
E però, la sfida del debito comune resta: andrà strutturato il meccanismo che è alla base della filosofia del Recovery, Liberali tedeschi permettendo. Andrà anche rafforzata una flessibilità nei conti che archivi per sempre ogni dannosa tentazione di austerità, incompatibile con la fase straordinaria in corso: “Senza il sostegno dello Stato – ricorda Draghi – non ce l’avremmo fatta a passare attraverso la pandemia. E questo va tenuto presente anche per il futuro”.
Le Frecce tricolori e la firma congiunta scorrono veloci. Che il trattato sia davvero “storico”, come assicura il premier italiano, sarà proprio la storia a confermarlo o negarlo. Di certo si fissano nel frattempo intese sempre più stringenti: una, proprio oggi, nel comparto aerospaziale, un terreno dove di norma i due Paesi combattono aspre battaglie commerciali. E però anche sui valori: quelli democratici, della lotta al terrorismo e della memoria delle vittime, del Bataclan come di Valeria Solesin, che in quel teatro fu uccisa assieme a molti francesi. Come pure nei gesti simbolici. Uno racchiude il senso della giornata: d’ora in avanti i due governi si “scambieranno” ospitalità e apriranno per quattro volte all’anno i rispettivi consigli dei ministri a un membro dell’esecutivo del Paese alleato.
“Davvero un grande discorso”, è il saluto che Draghi sussurra a Macron. Si rivedranno tra venti giorni al Consiglio europeo di Bruxelles. Lì tutto sembrerà più difficile, ma la sfida è proprio questa.
(da agenzie)
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