“IL PEZZO DI CARTA NON VALE PIU'”: L’UNIVERSITA’ E POI IL VUOTO
SOLO ANNI DI PRECARIATO E BASSE RETRIBUZIONI PER CHI COMPLETA IL PERCORSO DI STUDI… AI PROBLEMI DI QUESTI GIOVANI DOVREBBE DEDICARSI LA POLITICA
Laureati può far rima con sprecati o dimenticati.
Anche quelli che nel passato erano percorsi universitari a colpo sicuro, oggi sono spesso il passaporto per anni di attesa e sfruttamento.
Ecco alcune storie di ordinario precariato post-tesi: in Italia una miriade di giovani, nè «bamboccioni», nè «sfigati» fanno i conti con il lavoro che non c’è.
Da Gina Vitolo, dottore in Chimica e tecnologia farmaceutica, a Guido Pipolo, laurea più master in economia.
Alla prima hanno proposto solo lavori da informatore scientifico senza fisso, solo provvigione. Per due mesi ha lavorato in un call center specializzato in vendite di prodotti farmaceutici ai medici: 500 euro al mese. «Mi sono data tempo fino a settembre, se non trovo nulla vado a Londra: farò la cameriera, ma almeno perfeziono l’inglese».
Gino Pipolo, invece – laurea in economia, master in controllo di gestione, cinque mesi di studio negli Usa – oggi lavora grazie ad uno stage da 250 euro al mese: «Imparo, ma ho poche speranze di essere assunto, l’azienda nella quale sto completando lo stage ha nei progetti la riduzione del personale. Andare all’estero? Certo se ne vale la pena. Sono nato a Napoli lavoro a Bologna, so cambiare».
Il musicista
“Decine di concorsi senza risultato ora guadagno solo 500 euro al mese”
Due diplomi al conservatorio e una laurea in filosofia. Luigi Mastrandrea oggi ha 32 anni, ha cominciato a lavorare – sfruttando la specializzazione musicale – otto anni fa.
Sa tutto di musica elettronica: suona, fa concerti, dà lezioni, fa produzioni, sonorizzazioni e audiobrand.
Grazie alle elevate competenze lavora molto: il tutto per 500 euro al mese. Vive e lavora a Bologna, ma senza i genitori che lo aiutano da Bari non potrebbe mantenersi: «Mille euro già sarebbero un bel traguardo: ho fatto tutti i concorsi possibili per insegnare musica e, in teoria, fra un paio d’anni dovrei farcela, ma i criteri d’entrata non mi aiutano».
Anche se le cattedre per le quali si è presentato sono specificatamente di musica elettronica, la sua esperienza non conta: un qualsiasi diplomato, digiuno in materia, ma con qualche ora di insegnamento nel solfeggio alle spalle, può sorpassarlo in graduatoria.
La baby sitter
Tanti tentativi senza ottenere nulla non mi vogliono nemmeno come colf”. Roberta S. è romana, ha 23 anni. Si è laureata a pieni voti in Beni culturali.
Roberta è disoccupata come tantissimi suoi coetanei.
Ma non solo: la sua storia incarna la disperazione di una generazione che il lavoro non riesce a trovarlo ma soprattutto rappresenta il crollo della classe media che oggi si ritrova a lottare con le unghie per poter sopravvivere: «Cerco lavoro, e non trovo nulla come tanti miei amici, la mia laurea non vale nulla», dice, «e ora ho deciso di cambiare marcia, di cercare anche un lavoro come colf e baby sitter dopo aver provato di tutto. Non ho trovato nulla, se non lavoretti sottopagati a 3 o 400 euro al mese senza contributi e ormai sono demoralizzata. E pensare – racconta – che quando ero piccola e i miei genitori lavoravano entrambi, la baby sitter ce l’avevo io. Ora quello rischia di diventare il mio lavoro».
La commessa
“Meglio un posto nel negozio di animali che sottopagata in una scuola privata” Ventotto anni, un 110 e lode in lettere moderne, quattro lingue straniere parlate in modo fluente (inglese, spagnolo, francese e romeno) e un lavoretto in un negozio per animali che le permette di guadagnare dai 400 ai 600 euro al mese.
Siriana Giannone Malavita abita a Modica di Ragusa e dice che vorrebbe «avere la possibilità di essere messa alla prova».
Cerca lavoro da oltre due anni, ma nè l’originale tesi (le parole del made in Italy) nè le lingue l’hanno aiutata. «Pensavo di avere buone opportunità con il romeno, ma mi hanno proposto solo incarichi ambigui e l’insegnamento in una scuola privata per 3,50 euro l’ora. I 16 adulti ai quali avrei dovuto insegnare ne pagavano 7,50 a testa. Non ho potuto accettare, troppo umiliante, meglio allora il negozio di animali».
«Non mi arrendo – precisa – ma se devo fare la cameriera resto a Modica dove i genitori mi possono aiutare».
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
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