IL PREMIO NOBEL SVETLANA ALEKSIEVIC: “LA RUSSIA E’ UN PAESE TRAUMATIZZATO, TRUMP UNA CATASTROFE COME PUTIN”
“IL MIO UN PAESE CHE NON SA ANCORA AIUTARSI, LA POPOLAZIONE E’ REPRESSA DA UN REGIME BRUTALE”
Due anni fa, mentre stava stirando come una casalinga qualunque, Svetlana AleksieviÄ ricevette la notizia via telefono di aver vinto il Nobel per la Letteratura. L’Accademia Svedese — “che capisce il dolore russo”, come ci disse quando la incontrammo a Mantova, la scelse “per la sua polifonica scrittura nel raccontare un monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi”.
Lei che nei suoi libri ha sempre narrato il dramma collettivo del crollo dell’Unione Sovietica e del suo mito imperialista – da “Preghiera per Chernobyl” (il suo libro più celebre, con decine di interviste alle vittime della tragedia nucleare) a “Ragazzi di Zinco” (pubblicato, come il precedente, da e/o) sulla guerra in Afghanistan, da “Tempo di seconda mano” a “Gli ultimi testimoni e “La guerra non ha un volto di donna” (tutti Bompiani) — si ritrovò all’improvviso al centro dell’attenzione mondiale.
Grazie a lei, quell’importante riconoscimento andò anche ai testimoni del crollo dell’impero sovietico, ai sopravvissuti di una delle pagine più importanti della storia del XX secolo e a tutte quelle persone che con le loro storie sono andate a comporre i suoi capolavori corali, rappresentando così una traccia imprescindibile per capire le mille sfaccettature della Russia dei nostri giorni.
“Mi sentii circondata da grandi ombre, fu un sentimento inquietante e fantastico insieme”, ci spiega quando la incontriamo ad Ascona, nella ricca Svizzera del Canton Ticino, ospite d’onore della quinta edizione degli “Eventi Letterari Monte Verità “. “Molti scrittori sono scomparsi dopo averlo ricevuto, perchè non sono stati capaci di prendere la giusta distanza da quel premio, ma io sono una persona forte e resisto ad ogni cosa”, aggiunge. “La letteratura ha un nuovo spazio anche se in nuove forme e questo l’accademia svedese lo ha capito molto bene dandolo quest’anno a uno come Bob Dylan”.
Nei suoi libri, tradotti in 47 lingue e pubblicati in 52 paesi (mai nel suo), la AleksieviÄ ha sempre dipinto un ritratto senza cedimenti della sua terra e dei suoi uomini, il cosiddetto “uomo sovietico”, inteso come atteggiamento mentale e destino vissuto fino ad oggi, descritto nei suoi drammi sociali e nella sua individualità repressa.
I suoi romanzi sono una sorta di prosa documentaria basata su centinaia di interviste, dei “romanzi di voce”, dei racconti di dolore che sono parte integrante della tradizione russa, perchè “la sofferenza fa parte di noi e va interpretata come momento catartico”, ci spiega nel giorno dell’attentato a Stoccolma e pochi giorni dopo l’esplosione della bomba a San Pietroburgo.
“Davanti a questi eventi così tragici, la mia impressione non può che essere di paura, perchè siamo nelle mani di folli lupi solitari che hanno un piano complessivo di portare terrore, ma questo non deve farci rassegnare. Bisogna continuare a vivere come abbiamo sempre fatto fino ad ora, senza farci prendere dall’isterismo: sono queste le uniche armi di contrapposizione che abbiamo”.
Oggi, la AleksieviÄ vive a Minsk, in Bielorussia, e continua ad essere un’instancabile critica del regime del suo paese “dove c’è una dittatura stabile e la popolazione è repressa da una politica brutale”.
La Russia, ci ripete più volte, è un paese traumatizzato che non sa come aiutarsi e che non può accettare aiuti, un posto dove i suoi abitanti trovano la salvezza nella grandezza impallidita dell’era sovietica. In Russia, “uno spazio immenso che ha sempre bisogno di grandi idee”, non c’è anarchia, ma qualcosa di peggiore, “ci sono tutta una serie di assembramenti di persone che credono in qualcosa di indefinito, cose che stanno portando il Paese verso il baratro, ad un inizio di fascismo”.
Gli intellettuali stanno leggendo molti libri degli anni Trenta ed “è come se avessero paura che quello che stiamo vivendo, sia un periodo che ci porterà a qualcosa di simile, viste le somiglianze”, ci dice guardandoci fissa negli occhi che finiscono col riempirsi di disprezzo quando nomina Putin.
“Non posso che essere contro di lui, non sto zitta, il mio è un impegno politico, sociale, culturale ed esistenziale. Per lui, la Russia è la più forte nel mondo, capace di combattere ogni nemico, ma non si rende conto dei danni che sta facendo. Usa spesso la parola “guerra” tanto che la stessa non fa più paura a nessuno. Il tentativo di costruire una democrazia, la perestrojka come si chiamava, è fallita. Cerco una persona che dia la scossa agli eventi, non che racconti cose banali”.
“È un uomo pericoloso — continua – che ci ha fatto abituare ad una società totalitaria. Anche se sono tanti i giovani che lo appoggiano, in generale la gente non è contenta, ma se provi a dire qualcosa di diverso, non ti ascoltano e ti dicono che sei contro il tuo paese, che è colpa di Obama e delle sanzioni introdotte contro di noi”.
“Il male attrae, le sofferenze sono molto artistiche, ma io sono una storica dei sentimenti e non potrò mai accettare tutto questo”, conclude.
“Ciò che deve emergere, è la protesta e ognuno sceglie la propria maniera di opporsi. Il romanticismo che ci contraddistingueva negli anni Novanta con Gorbaciov è fallito. Le strade percorse sono state ingenue e quelle da percorrere sono ancora molto lunghe”.
(da “Huffingtonpost”)
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