IL PROCESSO A SILVIO DAVANTI AI LEADER E LA MERKEL GLI DA’ L’ULTIMO COLPO: “NON FARE PROPAGANDA SULLA GERMANIA”
FREDDA ACCOGLIENZA PER L’EX PREMIER: NESSUNO DEI LEADER POPOLARI SI AVVICINA PER SALUTARLO… “E’ STATA UNA TRAPPOLA, NON SAPEVO DEL’INVITO A MONTI”
Il gelo scende dal grande lampadario antico che sovrasta il salone quando, poco dopo le 13, si materializza Silvio Berlusconi.
Cenni di saluto a distanza, ma nessuno dei leader del Partito popolare europeo si avvicina per salutare l’ex premier. Per il Cavaliere è il giorno del giudizio. Del processo internazionale. Politico, stavolta, senza nemmeno toghe contro cui scagliarsi. Processato per aver staccato la spina al governo del Professore e soprattutto per inseguire una linea populista e antieuropea.
Nessuno glielo perdona al primo piano dell’Accademie Royale de Belgique. E per affrontare la complessa e delicata partita italiana, il presidente Martens, il capogruppo Daul, il commissario Barroso e la premier Merkel orchestrano in 48 ore la più riuscita delle trappole.
Invitando in gran segreto a quello stesso tavolo colui che considerano il loro nuovo e fidato referente, il presidente del Consiglio “dimissionato” Monti.
Il Professore non si lascia sfuggire l’occasione, «vengo con piacere a spiegare cosa è avvenuto in Italia e perchè è caduto il mio governo» è stata la risposta all’invito del padrone di casa Martens.
È la svolta, un gesto simbolico ma tutto politico, la prima volta del premier italiano al consesso Ppe di Bruxelles, sempre evitato finora («Presiedo un governo tecnico»). Questa volta no. «Io non sono un iscritto al Ppe» ricorda ancora ai suoi interlocutori, ma Monti stavolta sembra voler far una scelta di campo, lasciando soprattutto trapelare una disponibilità di massima ad assumere un ruolo, fosse pure da punto di riferimento dei moderati italiani.
«Non lo escludo» avrebbe glissato poi a margine di un vertice contrassegnato dalle richieste pressocchè unanimi di proseguire il cammino avviato a Palazzo Chigi. Esplicito fin quasi a metterlo in imbarazzo il presidente Ppe Martens nelle sue conclusioni, quando tirando le somme di tutti gli interventi ha sentenziato: «We want Monti to remanin as prime minister», vorremmo che restasse premier, con un auspicio che sa di investitura.
Anche Berlusconi non fa che prendere atto nei suoi due interventi dicendosi pronti al passo indietro.
Ma alla fine il Professore comunque non scioglierà le proprie riserve. Lascia tutte le carte coperte e di conseguenza tutte le porte aperte.
Monti ragiona e prende tempo, ancora.
Ragiona ma amaramente, a fine giornata, anche il Silvio Berlusconi che rientra a Roma in serata.
«Se avessi saputo cosa mi attendeva, se avessi saputo che avevano invitato anche lui, non sarei venuto» è stato lo sfogo postumo.
Una “trappola” di cui ha saputo solo quando non poteva più dare forfait.
Ha lasciato l’Accademie quando fuori era già buio e le luminarie di Bruxelles erano accese, 65 minuti dopo Monti e gli altri big, chiuso in una sala a pianificare con Bonaiuti e lo staff la difesa da offrire alle telecamere.
Sfiduciato? Macchè, «coccolato».
Tre ore prima, la Merkel appena entrata non lo ha nemmeno salutato, raccontano, troppe rasoiate a distanza tra Roma e Berlino degli ultimi giorni.
Altra scena quando entra Mario Monti e tutti vanno a omaggiarlo, lui che si limita a un cortese gesto di saluto col Cavaliere.
È il Professore del resto l’invitato d’onore. E al posto d’onore siede, al fianco dei premier di peso, Merkel, Rajoy, il presidente dell’Eurogruppo Junker, il finlandese Katainen e il greco Samaras.
Berlusconi resta isolato anche fisicamente, attorno a quell’enorme tavolo quadrato vuoto al centro. Si ritrova al lato opposto, tra Francois Cupè, successore di Sarkozy alla guida dell’Ump francese, e lo slovacco Jan Figel.
Perchè il cerimoniale puà³ essere impietoso quando gli equilibri mutano e i poteri tramontano.
Costretto per due ore sulla difensiva, il leader Pdl, ruolo che detesta. «Adesso basta fare campagna elettorale contro la Germania» è stato l’affondo più pesante di Angela Merkel, che ha preferito dilungarsi piuttosto in apprezzamenti su Monti e il suo lavoro.
E Berlusconi a rintuzzare: «Ma io non ce l’ho con la Germania, sono un europeista convinto, sostengo solo che la Bce deve contare di più».
Anche Monti, quando Berlusconi racconta la sua versione della crisi, prende la parola per ricordargli davanti a tutti di aver ricevuto «una radicale e sostanziale sfiducia da Alfano e dal vostro partito».
È il giorno della Waterloo del Cavaliere. Costretto a battere in ritirata.
Ma per nulla rassegnato all’esilio politico.
Carmelo Lopapa
(da “La Repubblica”)
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