IL VIROLOGO PREGLIASCO: “BOLOGNA E MONDRAGONE SONO UN ASSAGGIO DI CIO’ CHE RISCHIAMO”
“LA LOGISTICA E’ UN SETTORE A RISCHIO, COSI’ COME I GHETTI”
“I focolai di Bologna e Mondragone, in tutta la loro differenza, indicano che il virus circola ancora. Finora siamo stati bravi e fortunati a individuarli e isolarli. Ma non dobbiamo abbassare la guardia in vista dell’autunno: dobbiamo attrezzarci per una seconda ondata, con una grande capacità di bloccare questi fuocherelli. Se non ci riusciamo e dilagano, il disastro c’è”.
Così Fabrizio Pregliasco, virologo dell’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, commenta ad HuffPost le due notizie di oggi: i focolai scoppiati nell’azienda di logistica Bartolini a Bologna e a Mondragone, nei palazzi ex Cirio abitati da molti braccianti e muratori di origine bulgara.
Cosa ci dicono questi due casi dello stato dell’epidemia in Italia e dei rischi che quotidianamente corriamo?
“Sono situazioni diversificate. I luoghi della logistica fanno ricordare che non è un caso se tutto è iniziato a Codogno, Lodi e nel Piacentino. La logistica resta un setting altamente a rischio per l’innescarsi di nuovi focolai: sono luoghi dove c’è un interscambio di tantissime persone e dove è facile che si creino affollamenti”.
E il caso di Mondragone, invece?
“Per certi versi, è simile a quello del mattatoio tedesco. Lì il rischio professionale si è innestato su un elemento sociale potenzialmente esplosivo, nella fattispecie le condizioni abitative dei lavoratori sfruttati, costretti a riposare in dormitori da decine di persone. Un contesto del genere rende impossibile il distanziamento sociale, come del resto dimostrano anche i focolai italiani della Garbatella a Roma e di Fortezza in Alto Adige (dove uomo rientrato dal Pakistan ha infettato due famiglie imparentate tra di loro perchè non ha rispettato le regole della quarantena, ndr). Questo caso, in particolare, dimostra che basta una piccola disattenzione nell’attuazione delle norme per dare origine a nuovi focolai. Bisogna tenere presente che ci sono settori della popolazione che non hanno tutti gli strumenti per comprendere fino in fondo e avere un’informazione adeguata su ciò che bisogna fare. Chi è in un contesto difficile, dove la vita è già molto dura, è comprensibile che sia meno recettivo alle norme e alle indicazioni sanitarie”.
Nel mattatoio tedesco ci sono stati entrambi gli elementi. Corriamo rischi analoghi?
“Finora la tempesta perfetta — l’incontro tra violazioni in settori lavorativi a rischio e contesti abitativi fortemente popolati e ad alta promiscuità , com’è stato il caso del mattatoio tedesco — da noi non c’è stato. Ma disattenzione alle regole e situazioni abitative al limite esistono ampiamente anche da noi”.
Qual è l’impatto di questi focolai sul trend epidemiologico?
“Questi focolai, pur in una situazione di trend tutto sommato positivo, dimostrano che il virus è ancora presente, anche se circola meno. Quando però entra in una comunità , il contagio può ripartire velocemente, per cui è importante essere veloci nell’individuare e isolare il cluster”.
Finora sembra che ci stiamo riuscendo…
“Bisogna tenere presente che ora stiamo ‘beccando’ questi focolai anche perchè stiamo raschiando il fondo: soggetti asintomatici che intercettiamo grazie ai test sierologici. In campo c’è tutta la discussione su se queste persone siano contagiose o meno: io credo che in fondo lo siano, anche se sicuramente molto meno di chi manifesta sintomi importanti e va in giro a tossire e starnutire senza protezioni. Alcuni dati preliminari che derivano dai sierologici di Bergamo, una delle città più falcidiate, indicano la presenza di sieropositivi agli anticorpi IgM IgG attorno al 21%. Vuol dire che in Italia c’è una prateria di gente suscettibile al virus: se non c’è una capacità di intercettare e contenere, sono guai”.
Quindi ha ragione l’Oms quando dice che dobbiamo prepararci, come il resto d’Europa, a una seconda ondata in autunno…
“Io sono ottimista ma prudente e dico: dobbiamo attrezzarci per una seconda ondata, con una capacità di bloccare questi fuocherelli. Se non ci riusciamo e dilagano, il disastro c’è”.
Anche perchè due situazioni come quelli di Mondragone e dell’azienda bolognese possono ricapitare ovunque e in qualsiasi momento… Potenzialmente, sotto traccia, potrebbero essercene già altri…
“Esatto, è una possibilità . Per questo serve una grande capacità di individuare i casi sospetti. Un minimo di incertezza è naturale, l’importante è riuscire a individuare la maggior parte”.
Nella ditta bolognese sono emersi alcuni “buchi” nell’applicazione delle misure sanitarie. Come commenta?
“Ci si abitua al rischio, questo è il guaio. È un fatto abbastanza naturale che c’è anche nell’attività sanitaria routinaria, come nelle attività industriali. All’inizio si prova e si seguono le regole, poi ci si dimentica, si torna ad andare di fretta. Le situazioni di protezione fanno ritardare il ritmo e appesantire la macchina. È un fatto che va ricordato, riconosciuto… Come dimostra il caso dell’Ospedale San Raffaele di Roma, individuare un focolaio in un contesto ospedaliero è più facile perchè c’è più controllo. Cosa succede nelle aziende e nei tanti ghetti d’Italia è tutta un’altra cosa”.
(da “Huffingtonpost”)
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