“IN CELLA A BUDAPEST TRA CIMICI, MANETTE E PERQUISIZIONI INTIME”: L’ATTIVISTA MAJA IN SCIOPERO DELLA FAME
LA LETTERA DELLA MILITANTE DI SINISTRA DA MESI IN ISOLAMENTO IN CARCERe, VIOLATE TUTTE LE REGOLE: BENVENUTI NELLA FOGNA SOVRANISTA ORBANIANA, DOVE I NEONAZISTI POSSONO SFILARE LIBERAMENTE
Imputata nello stesso processo a carico di Ilaria Salis e trattenuta da mesi in carcere in Ungheria, l’attivista queer tedesca Maja T., annuncia di aver iniziato lo sciopero della fame. Lo fa attraverso una lettera, che riportiamo di seguito, in cui denuncia le terribili condizioni di detenzione che sta vivendo, «sepolti vivi» in un carcere in cui i suoi diritti vengono costantemente calpestati.
Durante l’udienza del 4 giugno si sarebbe dovuto decidere in merito alla sua richiesta di domiciliari, ma la decisione è stata rinviata. Una nuova udienza è prevista per il 6 giugno, sempre a Budapest dove è presente anche una delegazione di Sinistra italiana – The Left presso l’Europarlamento che, insieme ai familiari di Maja T., un gruppo di attivisti antifascisti tedeschi e l’europarlamentare Carola Rackete, arrivati nella capitale ungherese per cercare di mantenere alta l’attenzione sulle sue condizioni.
La lettera di Maja T.
Mi chiamo Maja. Quasi un anno fa sono stata estradata illegalmente in Ungheria. Da allora, sono trattenuta qui in un isolamento disumano e prolungato. Ieri, 4 giugno 2025, si sarebbe dovuta prendere una decisione in merito alla mia richiesta di trasferimento agli arresti domiciliari. Questa decisione è stata rinviata. Le precedenti richieste di trasferimento agli arresti domiciliari sono state respinte. Non sono più disposta a sopportare questa situazione insopportabile e ad attendere le decisioni di una magistratura che ha sistematicamente violato i miei diritti negli ultimi mesi. Pertanto, oggi, 5 giugno 2025, inizio uno sciopero della fame. Chiedo di essere trasferita nuovamente in Germania, di poter tornare dalla mia famiglia e di poter partecipare al procedimento in Ungheria da casa.
Non sopporto più le condizioni di detenzione in Ungheria. La mia cella è stata sottoposta a videosorveglianza costante per oltre tre mesi. Per più di sette mesi, mi è stato imposto di indossare le manette ogni volta che uscivo dalla cella, a volte anche all’interno, che si trattasse di fare la spesa, di fare chiamate Skype o di ricevere visite. Gli agenti effettuano ispezioni visive della mia cella ogni ora, anche di notte, durante le quali accendono sempre la luce. Sono sottoposta a perquisizioni intime e mi costringono a spogliarmi completamente. Le visite si svolgono in stanze divise, dove sono separata dai miei familiari, avvocati e rappresentanti ufficiali da una parete di vetro. Dopo le ispezioni in cella, gli agenti lasciano tutto in completo disordine. Le condizioni architettoniche mi impediscono di ricevere abbastanza luce naturale. Il piccolo cortile è di cemento e coperto da una grata metallica. La temperatura dell’acqua della doccia non può essere regolata. La mia cella è costantemente
infestata da cimici e scarafaggi. Non c’è un’adeguata fornitura di cibo fresco ed equilibrato.
«Vivo un presente che mi toglie il respiro da mesi»: la lettera di Maja T. dal carcere ungherese
Sono anche in isolamento a lungo termine. Per quasi sei mesi non ho avuto contatti con altri detenuti. Ancora oggi, vedo o sento altre persone per meno di un’ora al giorno. Questa continua privazione del contatto umano è finalizzata a causare danni psicologici e fisici. Ecco perché le Regole Penitenziarie Europee del Consiglio d’Europa richiedono «almeno due ore di contatto umano significativo al giorno». Ecco perché l’«isolamento a lungo termine» – l’isolamento di un detenuto per più di 22 ore al giorno per più di 15 giorni – è considerato trattamento disumano o tortura ai sensi delle Regole Nelson Mandela delle Nazioni Unite. Qui in Ungheria, sono sepolta viva in una cella di prigione e la custodia cautelare può durare fino a tre anni.
Per questi motivi, non avrei mai dovuto essere estradata in Ungheria. Il Tribunale Regionale Superiore di Berlino e la commissione speciale “Linx” dell’Ufficio di Polizia Criminale dello Stato della Sassonia hanno pianificato ed eseguito l’estradizione, ignorando deliberatamente i miei avvocati e la Corte Costituzionale Federale. Il 28 giugno 2024, poche ore dopo la mia estradizione frettolosa, la Corte Costituzionale Federale ha stabilito che non dovevo essere estradata per il momento. Il 6 febbraio 2025, ha stabilito che la mia estradizione era illegale. Da allora, nessuno dei responsabili è stato ritenuto colpevole. Non ho ricevuto alcun risarcimento.
Attraverso il mio sciopero della fame, voglio anche sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che nessun altro dovrebbe essere estradato in Ungheria. Al momento, questo vale in particolare per Zaid di Norimberga, che è seriamente minacciato di esserlo
Dichiaro la mia solidarietà a tutti gli antifascisti perseguitati nel caso di Budapest.
(da agenzie)
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