INTERVISTA A MIMMO LUCANO: “RIFAREI TUTTO, ALLA FINE IL MODELLO RIACE HA VINTO”
“HO SEMPRE CREDUTO NELLA GIUSTIZIA, LA NOSTRA STORIA E’ QUELLA DI UN PICCOLO COMUNE CHE HA INVIATO UN MESSAGGIO DI UMANITA’ AL MONDO”
Al bar di Alessio, in piazza a Riace si festeggia: in molti dicono «giustizia è fatta» qualcuno aggiunge «finalmente».
La corte d’appello di Reggio Calabria ha ribaltato la sentenza di primo grado del Tribunale di Locri che aveva inflitto all’ex sindaco Domenico Lucano, per tutti Mimmo, 13 anni e 2 mesi di carcere per associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio.
Dalla lettura del dispositivo la Corte ha assolto Lucano dai reati più gravi e con lui tutti gli altri 17 imputati. Rimane solo una condanna a un anno e sei mesi, con pena sospesa.
L’ex sindaco non trattiene l’emozione e dice senza esitare: «Rifarei tutto, fino all’ultimo. Oggi ho avuto ragione ma non ho mai smesso di credere nella giustizia. Come nelle partite di calcio, bisogna aspettare la fine e alla fine il modello Riace ha vinto».
Sindaco Lucano, è soddisfatto di questa sentenza, pensa che che giustizia sia stata fatta?
«Sì, esiste la giustizia ed oggi è arrivata la risposta più bella. Io ho sempre creduto nella giustizia, non mi sono mai permesso di dire parole fuori posto rispetto a quello che mi stava succedendo. Ho avuto rispetto di chi mi ha condannato, sapevo di non aver fatto nulla di male. Avevo questa speranza e non l’ho mai persa. E soprattutto: rifarei tutto fino all’ultimo. Non ho mai avuto un’incertezza, solo l’ orgoglio di portare avanti un ideale di giustizia. Sono finalmente felice perché in un attimo tutto si è risolto ed è sparito anche quel senso di oppressione che mi ha accompagnato in tutti questi anni, sconvolgendo una parte della mia vita».
Questa sentenza riabilita il suo operato e anche il modello Riace?
«Io mi sono rapportato alle politiche dell’immigrazione quasi per una casualità, per degli sbarchi di cittadini curdi avvenuti negli anni 90 sulle coste calabre. Poi da sindaco ho portato avanti una strategia locale di risveglio e ripopolazione dei luoghi. In questo modo ho dato senso alla mia figura di primo cittadino di un piccolo paese della Calabria spopolato e oppresso dalle mafie. Da Riace abbiamo trasmesso un messaggio al mondo: l’immigrazione non è un problema ma una speranza che fa rivivere i luoghi. Un teorema alternativo all’idea dell’invasione. Adesso con questa sentenza finalmente Riace dice la sua: non era come qualcuno voleva far intendere».
Le accuse di questi anni, però, hanno intaccato la sua immagine. Si aspetta delle scuse?
«La campagna mediatica contro di me era finalizzata solo a far prevalere ideali di razzismo e discriminazione, che in questi anni sono diventati valori. Oggi la risposta è scritta dalla Corte e dice che Riace non ha una storia criminale ma umana. Non c’era nessun sistema di interesse. L’obiettivo di chi ci ha dato addosso era solo reprimere ciò che stava avvenendo. Non mi interessano le scuse e non le pretendo. Mi basta che giustizia sia stata fatta».
Ora riprenderà il suo impegno per l’accoglienza dei migranti a Riace?
«In questi anni non ho mai smesso di impegnarmi nella mia città, Riace, con il progetto del Villaggio globale ho continuato a resistere ed andare avanti. Anche la raccolta fondi finalizzata al pagamento della mia multa l’ho utilizzata per far ripartire l’accoglienza dei rifugiati. Volevo che non si interrompesse quel percorso nel luogo che è stato il simbolo dell’integrazione. Oggi questa sentenza ci rafforza ancora di più: la nostra storia è quella di un piccolo comune che ha inviato un messaggio di umanità al mondo».
Nonostante le accuse e le prime condanne, tante persone sono rimaste al suo fianco.
«Questa vittoria la dedico ai miei avvocati e a tutta la comunità che si è stretta intorno a me. Anzi, voglio chiedere scusa se a qualcuno ho creato sofferenza. Con me sono state assolte tutte le altre persone coinvolte nel processo e questo è fantastico. Ed è altrettanto straordinaria questa comunità che si è creata e che non ha smesso di chiedere giustizia. Ci sono state forme empatiche incredibili. In questi anni ho viaggiato molto, in tantissimi mi hanno espresso vicinanza. Finalmente oggi anche loro hanno la conferma di non aver sbagliato».
(da La Stampa)
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