ITALIA DEI VALORI, INDIETRO TUTTA: “TORNARE ALLE ORIGINI”
IL NOME DI DI PIETRO SPARISCE DAL SIMBOLO, LUI RESTA PRESIDENTE ONORARIO
Non c’è più il nome di Antonio Di Pietro nel simbolo dell’Italia dei Valori.
Effetto visivo della svolta annunciata dopo il fallimento, al seguito di Rivoluzione civile, delle ultime politiche.
Perchè alla guida del partito, dopo il passaggio del testimone consacrato dal congresso di fine giugno, Ignazio Messina ha raccolto l’eredità dell’ex pm di Mani pulite.
Che pure, nei panni del padre nobile, continua ad infiammare la platea della festa dell’Idv a Sansepolcro, proprio dove, quindici anni fa, diede vita alla sua creatura politica. «Siamo qui per tornare allo spirito delle origini», assicura tra gli applausi dei sostenitori.
Non ci sono più neppure le telecamere di Report ad aggirarsi, come accadde un anno fa a Vasto, tra sostenitori e parlamentari del movimento.
Preludio della celebre puntata della trasmissione di Rai 3 che per l’Italia dei valori fu l’inizio della fine. Per ripartire, allora, non guasta neppure un po’ di autocritica.
«Perchè Rivoluzione civile è stata un errore — ammette Di Pietro —. L’intera coalizione ha finito per prendere meno voti della sommatoria dei singoli partiti».
La rotta è chiara: «Puntiamo ad un centrosinistra basato sui programmi, sulla qualità delle persone e su un’etica della politica».
Sebbene, a ben vedere, resta da sbrogliare l’intricata matassa dei rapporti, tutt’altro che idilliaci, con il Pd. E la revoca della delega all’assessore all’Ambiente in quota Idv, Sabrina Freda, da parte del governatore dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, è solo l’ultima delle storie tese disseminate sull’accidentato percorso del dialogo.
Come pure non passerà certo inosservato il giudizio tranchant sull’esecutivo delle larghe intese. «I cittadini non hanno scelto una convivenza di necessità con il governo Letta — attacca l’ex leader dell’Italia dei valori —. Prima si torna alle elezioni, meglio è».
Perchè, ribadisce Messina, «sta solo galleggiando sulle spalle e sulla pelle dei cittadini».
Senza contare l’ultimo attacco al Quirinale per la scelta di Napolitano di nominare Giuliano Amato giudice della Corte costituzionale.
«E’ la persona che, in diverse vesti, più di ogni altro, ha contribuito a varare le leggi che oggi dovrebbe giudicare — accusa Di Pietro —. Anche fingendo di non ricordare che proprio lui ha fatto, per ordine di Craxi, la prima legge (la Mammì, ndr) ad personam a favore di Berlusconi consentendogli di tenersi le Tv, sulla sua nomina c’è un problema di natura tecnica: i controllati non possono diventare i controllori». Nomina accolta con sarcasmo anche da Messina: «Mi piacerebbe sapere se il pensionato d’oro Giuliano Amato adesso cumulerà alla pensione anche lo stipendio di giudice costituzionale».
Il percorso è segnato: prima tappa le Europee del 2014.
Non prima di aver archiviato il caso Berlusconi. «Perchè, da cittadino, l’idea che una sentenza della magistratura debba essere messa ai voti, è del tutto inaccettabile — sbotta Di Pietro —. E se il voto andasse in suo favore vorrebbe dire che la sentenza viene annullata? Un’aberrazione». Poi, archiviate le larghe intese, una nuova legge elettorale prima di tornare al voto. «Ritorno ai collegi con relative primarie, si viene eletti col 51% dei voti o si va al ballottaggio come avviene per i sindaci e se il 5% ritenesse che l’eletto non sta facendo il suo dovere può promuovere un referendum confermativo: se sfiduciato, torna a casa», prosegue l’ex pm.
Sicuro che la staffilata dell’ex collega Ilda Boccassini contro chi, in magistratura, ha usato la toga per lanciarsi in politica non fosse rivolta a lui: «Sono assolutamente sicuro, non ce l’ha con me ma con Antonio Ingroia».
Di Pietro più tardi però ha smentito «di aver rilasciato alcuna specifica dichiarazione al riguardo e ciò per il rispetto e la stima che ho sia nei suoi confronti che nei confronti dei magistrati o ex magistrati a cui l’ex collega potrebbe essersi riferita».
Riparte dalla piazza la battaglia per la difesa dell’articolo 138 della Costituzione (12 ottobre) e quella referendaria contro i quesiti promossi dai Radicali sulla giustizia.
«Siamo d’accordo solo su quello che riguarda i magistrati fuori ruolo, è giusto che anche loro decidano cosa vogliono fare — spiega Messina —. Ma siamo contrarissimi a quelli sulla separazione delle carriere e sulla responsabilità civile delle toghe».
Antonio Pitoni
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