LA GIORNATA DA KINGMAKER DI SALVINI: PIU’ MAKER CHE KING, INCONTRA TUTTI PER FAR SAPERE CHE ESISTE E NON CONCLUDE NULLA
DRAGHI NON GLI DA’ GARANZIE SUL DOPO
“Su quel che succede dopo non decido io, spetta a voi, spetta ai partiti”. Matteo Salvini non ottiene le garanzie che sperava da Mario Draghi.
I due si vedono intorno all’ora di pranzo, un faccia a faccia che doveva restare riservato, e che invece viene battuto dalle agenzie di stampa poco dopo.
Il segretario della Lega si trincera dietro un “no comment”, non conferma né smentisce il summit che è un dito nell’occhio agli alleati di Forza Italia, che appena due giorni fa tramite una nota di Silvio Berlusconi avevano sbarrato la strada verso il Colle al premier.
Lui si è inabissato, chiuso nel suo studio a Palazzo Chigi si è attaccato al telefono, a Palazzo si vocifera di contatti con i leader, a partire da Enrico Letta passando per Giuseppe Conte.
Ma il vero kingmaker di giornata rimane lui. Salvini in linea d’aria è a cento metri dal brulicare di grandi elettori e giornalisti che sciamano tra il Transatlantico e il cortile della Camera, asserragliato nel palazzo che ospita gli uffici dei gruppi Parlamentari. Da lì dirige il traffico, incontra il segretario del Pd, poi il capo politico dei 5 stelle, un ectoplasma che aleggia tra i conciliaboli e nei corridoi, la sua assenza è una presenza che incombe sulla Camera che vota a raffica schede bianche.
I suoi sciamano con un’unica certezza, votare scheda bianca, dell’affaire Draghi sanno poco o nulla, se non che per oggi non è lui, domani chissà, il capogruppo Riccardo Molinari ripete a chi lo sente che “noi lavoriamo a una candidatura di centrodestra”. Chi invece c’è e catalizza l’attenzione generale è Umberto Bossi, l’anziano leader che arriva per votare spinto su una sedia a rotelle, poi esce nel cortile e non rinuncia alle vecchie abitudini.
Corre nell’angolo del cortile concesso ai fumatori, si presta a una lunga processione di omaggi, un nugulo di cronisti, e poi Pier Luigi Bersani, Ignazio La Russa, Roberto Calderoli che gli si siede accanto, arriva anche Giancarlo Giorgetti, il tempo di due battute e poi via attaccato al telefono. In Transatlantico incrocia Luigi Di Maio, i due non hanno mai fatto mistero di piacersi, “Vota bene!” gli dice sorridendo il ministro degli Esteri nella consapevolezza che oggi è un tripudio di schede bianche.
Salvini torna dai suoi con la consapevolezza di non avere garanzia alcuna sul prosieguo della legislatura da Draghi, nel caso fosse eletto. Dopo l’incontro, dall’entourage di Conte si gongola, c’è “ottimismo” sul fatto che non sia Draghi il punto di caduta, opzione sgradita al punto tale da Conte che dopo l’incontro con il leader leghista fa trapelare una “totale sintonia” con colui che gli fece cadere il governo da sotto la sedia.
Dalla war room del Carroccio si predica prudenza: “L’ipotesi è in campo, poi c’è quella di un altro nome afferente al centrodestra”. C’è da fare un governo, con Letta si è aperto “un canale di dialogo”, resta il fatto che giù dove si vota è tutto un guardare su, dove Salvini tesse la sua tela, incontra Giorgia Meloni che la mattina ha lanciato Carlo Nordio, e poi Giovanni Toti, Luigi Brugnaro, Maurizio Lupi.
“Ma Salvini e Draghi che si sono detti?”, chiedono deputati pentastellati, quando in Transatlantico si sparge la voce che l’incontro sia andato male è tutto un fiorire di retroscena, di nomi, di soluzioni.
I 5 stelle tirano fuori il nome di Filippo Patroni Griffi, già circolato negli scorsi giorni, “ma lo facciamo per non bruciare quello di Andrea Riccardi” (ah…) il cui nome è stato fatto da Conte, Letta e Speranza riunitisi al mattino. Torna in auge Pierferdinando Casini, arriva per votare ed è una processione a stringere mani, ma non convince nemmeno i leghisti che tornano a bomba sulla storia della rosa di centrodestra, il capo l’aveva annunciata ma ancora non si è vista.
E’ però quella la strada alternativa in una giornata in cui le quotazioni dell’attuale premier vengono date al ribasso e lui raccontato come profondamente irritato.
Spiega chi lo conosce bene che “le condizioni per un’elezione non possono dipendere da garanzie sul dopo, è una sgrammaticatura istituzionale”. Salvini segue comunque quella traccia, ma ha rispolverato l’opzione di centrodestra, assicura che nelle prossime ore di poter offrire “diverse proposte” ai grandi elettori.
Forse king non ancora, sicuramente è il maker di giornata, anche se Bossi predica prudenza: “Il nome di Draghi può uscire, ma alla fine”. Dove sia la linea dell’arrivo ancora non è chiaro.
(da Huffingtonpost)
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