LA GRANDE PAURA DEGLI OLIGARCHI VICINI AL CREMLINO DIVENTATI “PACIFISTI”
ABRAMOVICH VA A FARE DA MEDIATORE AI “NEGOZIATI”
All’incontro del 24 febbraio – in una imprecisata località degli Urali – di Vladimir Putin con gli oligarchi mancavano i sei oligarchi forse a lui più vicini: Roman Abramovich, Gennady Timchenko, Arkady e Boris Rotenberg, Oleg Deripaska e Alisher Usmanov. Tutti con fortissima presenza, o investimenti, o ville, o megayacht, in Italia e nell’economia italiana.
Erano assenti giustificati, comunque sia non c’erano. Rispetto a queste riunioni, che di solito arrivano a circa 50 oligarchi, i presenti erano “soltanto” 36, ha fatto notare Anders Aslund uno dei massimi studiosi delle dinamiche nella cleptocrazia russa. Come se qualcosa stesse succedendo, tra quei “businessmen” che devono integralmente le loro fortune al favore del Cremlino, o le hanno potute mantenere grazie alla non ostilità di Putin, Figure spesso quasi statuali, almeno le più importanti (loro ovviamente negano)
I segnali però si sono rinforzati domenica, quando è stata pubblicata dal Financial Times una lettera scritta da Mikhail Fridman, 15,5 miliardi di dollari di patrimonio, ai soci del suo fondo di private equity, LetterOne, con sede a Londra: «Non faccio dichiarazioni politiche, sono un uomo d’affari con responsabilità nei confronti delle mie migliaia di dipendenti in Russia e Ucraina. Sono convinto però che la guerra non potrà mai essere la risposta. Questa crisi costerà vite e danneggerà due nazioni che sono fratelli da centinaia di anni. Anche se una soluzione sembra spaventosamente lontana, posso solo unirmi a coloro il cui fervente desiderio è che lo spargimento di sangue finisca. Sono sicuro che i miei partner condividono la mia opinione».
Non una parola, ovviamente, su chi questa guerra ha voluto e pianificato, ossia Vladimir Putin. Ma un appello “pacifista” è stato vissuto da tutti gli osservatori come una presa di distanza significativa dal Cremlino.
Nelle stesse ore un altro oligarca potentissimo, ospite fisso da anni in Toscana (dove si intratteneva già ai tempi di Peter Mandelson, il consigliere di Tony Blair), a Forte dei Marmi e in Sardegna, Oleg Deripaska, magnate dei metalli e grande investitore in Italia (per esempio in Sardegna, con la sua Rusal), ha scritto su Telegram: «La pace è molto importante! Le trattative devono iniziare il prima possibile!».
Naturalmente si tratta di “pacifisti” assai particolari, con un occhio alle sanzioni devastanti che stanno alla fine ricevendo. Fridman è presidente di Alpha Banka, la più grande banca privata della Russia, colpita dalle sanzioni americane già giovedì – quelle emesse da Joe Biden prima che Italia e Germania si acconciassero all’uscita “selettiva” da SWIFT di alcune grandi banche russe.
Già solo la sanzioni Usa hanno provocato il crollo del titolo di Alpha Bank (anche se non ai livelli di Sberbank). Quanto a Deripaska, Bloomberg ha rivelato – per fare solo un esempio – che appena una settimana prima dell’inizio dei bombardamenti a Kiev esponenti dell’amministrazione italiana e russa si sono incontrati per trattare alcuni investimenti e partnership italo-russe, legate soprattutto all’energia, ma uno dei colloqui riguardava un investimento di 200 milioni di euro (225 milioni di dollari) dal gruppo di alluminio Rusal (di Deripaska) in uno stabilimento di sua proprietà in Sardegna e un recente accordo tra società di tecnologia mineraria (Rusal ha rifiutato di commentare).
Deripaska, riferisce Afp, adesso ha addirittura detto che è giunto il momento di porre fine a «tutto questo capitalismo di stato», e di cambiare le politiche mentre l’economia della Russia vacilla per gli effetti delle sanzioni.
Ecco perché questi oligarchi hanno paura: hanno paura di cosa stanno inesorabilmente per perdere (Deripaska peraltro è già plurisanzionato negli Stati Uniti nell’inchiesta sull’interferenza russa sulle elezioni americane del 2016 che portarono all’elezione di Trump).
La chiusura della Borsa di Mosca, che attende le decisioni della Banca Centrale Russa, non impedisce la vendita di azioni legate al Paese sui mercati internazionali: a Londra c’è la corsa a liberarsi dei titoli di Sberbank (-63%), Rosneft Oil (-42%), Lukoil (-55%), Gazprom Neft (-25%) e PhosAgro (-65%). Gli oligarchi letteralmente tremano.
Roman Abramovich ha ceduto la presidenza del Chelsea Football Club alla Fondazione di beneficenza del club, e molti (tra i più significativi, la reporter Catherine Belton, autrice di un libro fondamentale sulla materia) si sono chiesti: lo fa perché ha paura che le sanzioni colpiscano o eventualmente sequestrino le finanze del club?
La frase di Abramovich, «cedo il club per il suo bene», nel giorno successivo all’aggressione di Putin è parsa acquistare un significato di (molto velata) espressione di disaccordo. È un fatto che Abramovich non potrà più riavere il visto per tornare a vivere stabilmente a Londra, e per tempo si era del resto attrezzato, disponendo sia di cittadinanza israeliana sia di (recentissima) cittadinanza portoghese (quindi europea). Assai contestatabdalla popolazione di Lisbona.
Abramovich è presente in Bielorussia perché gli ucraini ne avrebbero richiesto la presenza ai presunti “negoziati”, in funzione di aspirante mediatore. La figlia di Abramovich, Sofia si era già pronunciata contro la guerra di Putin, come del resto anche la figlia di Dmitry Peskov, il portavoce del Cremlino
La ventisettenne Sofia Abramovich aveva scritto su Instagram: «Lui (Putin) vuole la guerra con l’Ucraina, non i russi, la bugia più grande e di maggior successo della propaganda del Cremlino è che la maggior parte dei russi sta dalla parte di Putin». Poco dopo è arrivata per una riscrittura: «La Russia vuole la guerra con l’Ucraina», una versione molto più soft. Paura delle sanzioni, ma anche paura di Putin, ancora.
Da dove arriva questo “pacifismo” nell’élite russa? Più che dalla lettura delle opere del mahatma Gandhi, dal terrore di perdere gli stili di vita di quell’Occidente contro il quale il regime dei loro padri tuona, e ha fatto spesso fortuna? Le sanzioni hanno del resto iniziato a colpire appunti i “figli di”: Biden ha emesso sanzioni dirette sugli asset e divieti di viaggio ai figli di Nikolaj Patrushev (il capo di tutti i servizi segreti russi), di Sergei Ivanov (ex capo di staff del Cremlino) – il figlio è amministratore delegato della compagnia statale russa di estrazione di diamanti Alrosa e membro del consiglio di Gazprombank –, al figlio di Igor Sechin, boss di Rosneft.
Sechin ossia l’uomo che quasi tutti gli ultimi anni è stato ospite d’onore del forum italo-russo di Verona organizzato da “Conoscere Eurasia”, l’associazione di Antonio Fallico, l’uomo che guida Banca Intesa Russia. Sechin è già dal 2014 sotto sanzioni americane e travel ban americano. L’Occidente avrebbe già dovuto stabilire un cordone attorno a lui, senza aspettare le bombe a Kiev?
Grazie a mappe e foto satellitari, è anche diventato più difficile per gli oligarchi nascondere i propri yacht, ma anche i jet privati. Il solo Abramovich possiede sei jet privati, come del resto Deripaska. Alisher Usmanov (presenza fissa in Italia) ne ha tre. Vagit Alekperov (Lukoil) ne ha quattro.
Vladimir Potanin ne ha due. Sappiamo tutto di questi aerei, come sono targati, dove vanno, dove atterrano. Uno dei sei jet di Abramovich è atterrato ieri sera vicino a Riga, in Lettonia. Vivono in occidente, si muovono in occidente, fanno bella vita da noi. Ma non possono più tanto nascondersi o celarsi, come i burocrati dell’èra sovietica. Vediamo molto, quasi tutto, di loro.
Certo, non bisogna illudersi su una loro resipiscenza. Ma una collaborazione forzata al regime change a Mosca diventerà forse possibile? Certo, uno come Mikhail Fridman è un personaggio particolare: «Sono nato nell’Ucraina occidentale e ho vissuto lì fino all’età di 17 anni. I miei genitori sono cittadini ucraini e vivono a Leopoli, la mia città preferita. Ma ho anche trascorso gran parte della mia vita come cittadino russo, costruendo e facendo crescere imprese. Sono profondamente legato ai popoli ucraino e russo e vedo l’attuale conflitto come una tragedia per entrambi».
Ma sembra che qualcosa si stia muovendo, tra i miliardari russi legati al Cremlino. Quasi certamente è solo la paura. Ma è la paura che spesso motiva le azioni e le ribellioni, dettate dal puro interesse e istinto di salvezza.
(da agenzie)
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