LA LIBERTA’ DI DIVENTARE DISEGUALI, MA PARTENDO EGUALI
UN LIBERISTA NON SARA’ MAI D’ACCORDO, UN LIBERALE SI’
Diversi autori, fra i quali Nicola Porro con il suo ultimo libro difendono l’aumento della differenza di ricchezza Ma la vera questione riguarda le pari condizioni di partenza
Il liberismo è sotto schiaffo. Padre legittimo della globalizzazione, deve rispondere delle sue promesse mancate, dei suoi disastri annunciati.
La crisi economica, che infuria dal 2008. La crisi migratoria. La crisi identitaria, che alimenta populismi e terrorismi. La crisi degli Stati, antiche sentinelle dei diritti. E la diseguaglianza, sorgente e motore di tutte queste crisi globali
Perchè il mondo non è mai stato così profondamente diseguale come adesso, all’alba del terzo millennio.
Nel 1820, in base al reddito pro capite, fra il Nord e il Sud del nostro pianeta c’era uno scarto di 3 a 1; nel 2006 il divario è diventato 90 a 1.
Nel frattempo lo Stato più ricco (il Qatar) surclassa di 428 volte il più povero (lo Zimbabwe).
In Europa, in Australia, in Giappone la vita dura il doppio rispetto a chi ha avuto la disgrazia di nascere in Nigeria.
E l’1% della popolazione mondiale possiede più risorse del 99% rimanente (Oxfam 2016).
Tuttavia l’imputato si difende, anzi passa al contrattacco. Ne è prova una nutrita pubblicistica che negli ultimi tempi tracima in libreria, sull’una e sull’altra sponda dell’Atlantico.
Eccone infatti qualche esempio, circoscritto agli italiani o agli autori tradotti in italiano. Idee di libertà , a cura di Iannello e Infantino (Rubbettino, 2015), contro i «luoghi comuni» che accusano la globalizzazione.
Sulla disuguaglianza di Frankfurt (Guanda, 2015), filosofo americano: i governi dovrebbero combattere la povertà , non le differenze di reddito fra i propri cittadini.
Il volume di Butler, La scuola austriaca di economia (Istituto Bruno Leoni, 2014), dove si magnificano le idee dei suoi esponenti principali, da Menger a Rothbard.
La Storia del pensiero liberale di Bedeschi (Rubbettino, 2015), secondo cui il liberalismo è la quintessenza della democrazia.
Il libello di Mingardi, L’invenzione del neoliberismo (in Nuova storia contemporanea, 2016), che si scaglia senza mezzi termini contro la «leggenda nera», contro la vulgata che imputa ogni male del mondo alle politiche neoliberiste inaugurate da Reagan e Thatcher.
In ultimo, dal 15 settembre i lettori possono disporre d’una summa di tutte queste posizioni: La disuguaglianza fa bene, libro scritto da Nicola Porro per i tipi della Nave di Teseo.
Il titolo è eloquente, l’autore pure. Senza mai cadere nell’epiteto volgare, Porro espone la sua verve polemica in pagine puntute e spesso appassionate. Contesta che la diseguaglianza sia cresciuta, che la globalizzazione abbia affamato interi popoli («lo sviluppo economico negli ultimi trent’anni ha prodotto più benessere di quanto ne sia stato creato negli ultimi cinque secoli»).
Denuncia la perdurante invadenza dello Stato, specie attraverso il suo sistema di «polizia fiscale». Auspica la flat tax (un’aliquota bassa e uguale per tutti, intorno al 20%), che a suo tempo già propose Milton Friedman.
E in conclusione rilancia la sentenza di von Hayek: se i governi livellassero le disparità sociali, se intervenissero per colmare qualsiasi differenza tra una persona e l’altra, allora finirebbero per pianificare le nostre stesse vite, trasformando lo Stato in «un incubo»
Sennonchè l’eguaglianza è questione di misure, di grandezze.
Troppa eguaglianza significa nessuna libertà , significa un egualitarismo alla cinese, quando il presidente Mao imponeva a tutti lo stesso stipendio, lo stesso appartamento, la stessa casacca verde. Troppo poca implica, di nuovo, una schiavitù di fatto, l’asservimento del più debole al più forte.
Oltre a minacciare la crescita economica, che sta a cuore a tutti, non solo ai liberali doc.
Come mostra un’indagine sui Paesi europei (Eurostat 2012), gli Stati più egualitari nel 2005 hanno raggiunto le performance migliori nel 2010, incrementando sia il Pil sia l’occupazione.
E infatti al G20 tenuto ai primi di settembre in Cina, i leader del mondo hanno usato una parola sola: ridurre le diseguaglianze, altrimenti l’economia continuerà la sua corsa verso il peggio.
Ma per riuscirci occorrerà più Stato, non meno Stato.
Servirà un’azione correttiva rispetto alle storture del mercato globale, recuperando la lezione di Adriano Olivetti, secondo cui nessun manager dovrebbe guadagnare 10 volte in più rispetto ai propri dipendenti (oggi il rapporto, in Europa così come negli Usa, è di 500 a 1)
E bisognerà infine dare corpo e gambe al principio custodito nell’articolo 3 della nostra Costituzione: l’eguaglianza sostanziale fra gli individui e i gruppi, rimuovendo gli «ostacoli» che ne intralciano il cammino.
È questa l’eguaglianza più desiderabile, quella nei punti di partenza.
L’eguale libertà di diventare diseguali, però partendo eguali.
Un liberista non sarà d’accordo. Un liberale, sì.
Michele Ainis
costituzionalista
(da “La Repubblica“)
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