LA MEDICINA D’URGENZA IN UCRAINA: SI AMPUTA PER MANCANZA DI ALTERNATIVE
MOLTI MEDICI E INFERMIERI SONO SCAPPATI ALLO SCOPPIO DELLA GUERRA… A CAUSA DELLA MANCANZA DI MEDICINALI E ATTREZZATURE, I CHIRURGHI SONO OBBLIGATI AD AMPUTARE GLI ARTI FERITI INVECE DI TENTARE DI SALVARLI
C’è un’altra emergenza nei territori dell’Ucraina orientale, già martoriata dal conflitto iniziato il 24 febbraio con l’invasione della Russia. E riguarda gli ospedali, dove mancano medici, infermieri, medicinali e attrezzature per curare i feriti e salvare chi arriva in pericolo di vita. Molti hanno abbandonato il Donbass già allo scoppio dei primi missili, altri se ne sono andati dopo, incapaci di reggere una situazione insostenibile. Non è quello che ha fatto Yaroslav Bohak, chirurgo cardiovascolare che ha ricevuto una telefonata la notte dell’invasione.
Come racconta in un reportage il New York Times, si trovava a casa sua, al sicuro, nell’ucraina occidentale, quando un collega lo ha chiamato rivolgendogli un appello disperato: a Kramatorsk c’era bisogno di aiuto, i chirurghi rimasti erano costretti ad amputare gli arti invece che tentare di salvarli. «Mi ha telefonato ha raccontato e mi ha detto che non riusciva più a tagliare le braccia a ragazzi così giovani»
E così il dottor Bohak ha deciso di partire e ancora oggi continua a operare tra le bombe e i missili chiunque varchi la soglia dell’ospedale, siano questi civili, militari o nemici. Come quando a richiedere assistenza è stato un soldato russo, trasportato d’urgenza e curato «con umanità», mentre degli addetti alla sicurezza piantonavano la sua stanza per evitare ritorsioni.
L’ospedale più vicino in grado di trattare i casi più disperati è a Dnipro e dista a 280 chilometri e arrivarci per la maggior parte dei feriti è un’impresa troppo pericolosa. «Questo è il motivo per cui il mio arrivo è stato così importante», ha spiegato. Da quando è arrivato in corsia come volontario le amputazioni sono state ridotte quasi a zero. Dei dieci medici ne sono rimasti solo due e i sei infermieri lavorano a turni di 24 ore, senza sosta.
Sono quasi tutti volontari perché le persone, ha raccontato la caposala, «hanno paura» e qui restano solo «gli stoici». E lo stesso sta accadendo nelle altre cittadine che si trovano loro malgrado in prima linea. Ad Avdiivka l’unico chirurgo in corsia ha trascorso mesi nelle sale del pronto soccorso, uscendo solo per qualche corsa veloce al supermercato, tra i bombardamenti. A Sloviansk è rimasto un terzo dello staff.
Non è solo il personale a scarseggiare: un altro chirurgo, Pavlo Baiul, ha lanciato un appello all’American Society of Plastic Surgeons di cui è membro affinché inviino forniture mediche. «Anche se molto ci viene inviato ha raccontato – non tutto arriva a destinazione, c’è bisogno di molto altro». «Nessuno ti prepara per la guerra», ha aggiunto Svitlana Druzenko, che coordina l’evacuazione dei feriti dalle zone di combattimento. A maggior ragione in una zona così densamente popolata che non era abituata a dover gestire un numero così elevato di feriti.
Nonostante gli avvertimenti dell’Occidente e in particolare dalla Casa Bianca sulle intenzioni belliche della Russia, in molti in Ucraina si erano rifiutati di credere che un’invasione potesse avvenire davvero. E quando l’attacco è cominciato gli ospedali non erano pronti ad affrontare una simile emergenza, con un aumento vertiginoso di pazienti e soprattutto di ferite da guerra.
Come ha testimoniato un altro chirurgo volontario nell’ospedale militare di Zaporizhzhia, Maksim Kozhemyaka, gli ospedali si sono ritrovati all’improvviso «inondati da 30 o 40 pazienti al giorno» e non avevano «abbastanza materiale per curare ferite inflitte da arma da fuoco o altre ancora più gravi». «Non credevamo potesse accadere», ha concluso.
(da il Messaggero)
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