LA PROCURA DI MILANO È COSTRETTA A CHIEDERE L’ARCHIVIAZIONE SUI FONDI RUSSI ALLA LEGA
NON ESSENDOSI PERFEZIONATA L’OPERAZIONE DI COMPRAVENDITA SULLA PARTITA DI PETROLIO TRAMITE CUI SAREBBE ARRIVATO IL FINANZIAMENTO ILLEGALE AL CARROCCIO. PER DIMOSTRARE IL PASSAGGIO DI DENARO SERVIVA UNA ROGATORIA, CHE MOSCA HA SEMPRE NEGATO AGLI INQUIRENTI ITALIANI
A prescindere “da ogni valutazione circa il fatto che il segretario della Lega Matteo Salvini”, mai indagato nell’inchiesta, “fosse eventualmente a conoscenza delle trattative portate avanti da Savoini, Meranda e Vannucci, volte ad assicurare importanti flussi finanziari al partito” bisogna “evidenziare che non sono emersi elementi concreti circa il fatto che il medesimo abbia personalmente partecipato alla trattativa o comunque abbia fornito un contributo causale alla stessa”.
Lo scrive il procuratore di Milano Marcello Viola in un comunicato, pronto da ieri e diffuso solo oggi, sulla richiesta di archiviazione del caso Metropol.
Nelle sei pagine di comunicato, che avrebbe dovuto essere diffuso ieri dopo che è stata firmata e vistata la richiesta di archiviazione per Savoini e gli altri due indagati (richiesta inoltrata oggi all’ufficio gip), “non è stato acquisito alcun elemento indicativo del fatto” che Salvini “fosse stato eventualmente messo al corrente del proposito di destinare una quota parte della somma ricavata dalla transazione ai mediatori russi perché remunerassero pubblici ufficiali russi”.
“Non essendosi perfezionata l’operazione di compravendita” sulla partita di petrolio, scrive la Procura, “neppure a livello di scambio di documenti contrattuali, non appare possibile affermare, con adeguata certezza, se proprio Ets”, società del gruppo Eni, “o altra diversa entità, avrebbe in concreto sopportato l’esborso necessario a consentire la formazione di un margine destinato al finanziamento illegale del partito della Lega”.
In assenza “di elementi concludenti in ordine all’identità dei destinatari delle somme – spiega la Procura – rinvenienti dalla transazione petrolifera, e al ruolo pubblico dei beneficiari, la contestazione” di corruzione internazionale “non pare in concreto configurabile”.
Rimane da osservare, si legge ancora, “in ordine alla residua possibilità di contestare al partito della Lega l’ipotesi di tentato finanziamento illecito (art. 7 L. 195/1974), che le condotte emerse non hanno raggiunto connotati di concretezza ed effettività idonei a raggiungere, almeno potenzialmente, lo scopo”
L’obiettivo dell’operazione che avrebbe dovuto garantire un finanziamento da 50 milioni alla “Lega Per Salvini premier”, ma l’affare venne poi abortito dopo la diffusione dell’audio dell’incontro, da parte di uno degli stessi partecipanti all’incontro, che finì sui giornali e mise fine alle trattative. L’indagine della procura aveva portato al sequestro dei telefonini degli indagati, e dall’analisi delle conversazioni gli investigatori avrebbero ricavato “elementi, sia pure indiretti, indicativi del fatto che Salvini fosse informato delle trattative sull’operazione di acquisto di prodotti petroliferi dalla Russia”, senza però che siano “mai emersi elementi concreti sul fatto che il segretario della Lega avesse personalmente partecipato alla trattativa o comunque fornito un contributo causale; e neanche elementi che Salvini fosse stato messo al corrente del proposito di destinare una quota della somma ricavata dalla transazione ai mediatori russi perché remunerassero pubblici ufficiali russi”. Tanto da non svolgere “nessuna attività di indagine” nei confronti del segretario della Lega, mai indagato nell’inchiesta.
Attraverso perquisizioni e sequestri era stata anche rinvenuta la foto di un foglio con i dettagli dell’accordo nei cellulari di Savoini, Meranda e Vannucci. Nell’appunto comparivano presunte percentuali da dividere tra la Lega (4%) e gli intermediari russi (6%) su una partita di petrolio del valore di un miliardo e mezzo di dollari. La procura aveva chiesto alle autorità russe di poter ascoltare a verbale alcune persone, tra cui i presunti intermediari identificati. Richiesta rimasta senza risposta. Da qui la richiesta di archiviazione. Ora sarà il gip a decidere se accogliere la richiesta di archiviazione dell’indagine, durata tre anni e mezzo.
(da agenzie)
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