LA RIVOLTA DELLE MADRI DELLA ‘NDRANGHETA: “SALVATE I NOSTRI FIGLI DA UN FUTURO CRIMINALE”
A REGGIO CALABRIA SEMPRE PIU’ RAGAZZI DELLE COSCHE SONO “ALLONTANATI DAL CONTESTO FAMILIARE” PER DECISIONE DEL TRIBUNALE DEI MINORI
“Di notte ha gli incubi, si sveglia, prova a parlare ma non gli esce la voce, poi quando ce la fa racconta di morti ammazzati, pistole. E se gli chiedo cosa ha sognato inizia a piangere: “mamma ho sognato lo zio morto ammazzato in quell’agguato, ho paura che anch’io o papà possiamo morire così””.
Questo è lo sfogo di una donna di ‘ndrangheta che bussa alla porta del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria in cerca di aiuto.
Chiede ai magistrati di “salvare” il figlio da un destino certo: quello di mafioso, killer oppure vittima di una delle tante faide calabresi che sembrano non finire mai. Ma il grido di Maria (nome di fantasia, ndr ) non è l’unico.
Da anni sono molte le donne che, sfidando la vendetta dei mariti o di altri componenti della famiglia si rivolgono a giudici del Tribunale dei Minori per salvare i loro figli.
È una rivolta difficile e silenziosa per sfuggire al controllo della “famiglia” quella delle madri calabresi che, pur di dare un futuro diverso ai loro figli, rischiano la morte e con vari stratagemmi riescono a far giungere messaggi e richieste di aiuto al Tribunale di Reggio.
Perchè molte madri, a parte quelle che scelgono di “collaborare” con la giustizia, chiedono che il figlio venga allontanato da quel contesto senza esporsi in prima persona.
“Non possono dirlo apertamente, perchè allontanare da casa un figlio della ‘ndrangheta significa andare incontro a numerose criticità “, spiega Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria.
Quello di Reggio è l’unico Tribunale d’ Italia che ha intrapreso la strada dei “liberi di scegliere”, adottando una serie di provvedimenti pericolosi, disponendo l’allontanamento di una ventina tra ragazzi e ragazze dalle loro stesse famiglie, inviandoli fuori dalla Calabria, lontani dal contesto mafioso, in strutture specializzate dove possono conoscere e sperimentare una nuova vita
Si tratta di ragazzi che reprimono le loro emozioni perchè gli viene insegnato che non possono mostrare debolezze e che devono incutere terrore al prossimo.
Sono esposti a continui pericoli, vengono educati dai padri a maneggiare pistole e kalashnikov, a spacciare droga a fare attentati intimidatori e riscuotere per conto del padre il pizzo dagli imprenditori.
“La legge prevede che i figli dei tossicodipendenti possano essere allontanati da casa, perchè non fare la stessa cosa con i figli degli ‘ndranghestisti?”, si chiedono Roberto di Bella e il procuratore della Repubblica di Minori di Reggio Calabria Giuseppina La Tella, due magistrati che si sono trovati davanti gli stessi cognomi di persone che da pubblici ministeri o giudici di tribunali ordinari avevano processato e condannato.
“Questi sono i loro figli, i loro nipoti”, dice Di Bella.
“L’appartenenza alla ‘ndrangheta spesso si eredita e garantisce la vita stessa dell’organizzazione”. Di Bella e La Tella sono stati spesso attaccati ferocemente, accusati di “deportare i figli” dalle stesse famiglie. Non è un lavoro facile ma sono convinti che seguendo questa strada forse sarà possibile salvare dei ragazzi da un destino segnato.
“Lo dimostra il fatto che la maggioranza dei ragazzi allontanati dalle famiglie che hanno vissuto fuori da quel contesto, non vogliono più ritornare nei loro paesi d’origine”, spiegano.
“Il Tribunale dei Minori” , dice il Procuratore aggiunto Gaetano Paci, “lavora in sinergia con la Procura”.
Il procuratore aggiunto Nicola Gratteri spiega: “il lavoro che stanno facendo i colleghi del Tribunale dei Minori è straordinario e importante: hanno avuto coraggio quando tutti erano contrari e criticavano questo tipo di provvedimenti, anche la Chiesa. Di Bella aveva visto giusto. Aveva visto talmente bene che si cominciano a osservare i primi frutti di quel lavoro. Perchè la storia ci insegna che la scelta di campo, essere mafiosi oppure no, parte dal luogo e dalla famiglia in cui nasci. Se io fossi nato 50 metri più in là forse oggi sarei un mafioso. Purtroppo le madri sono espressione di quella cultura, anche se non spacciano droga, anche se non sparano, le figlie femmine sono costrette spesso a sposare maschi di altre famiglie mafiose. Così quel modo di vivere e di pensare si perpetua. Ecco perchè dare una chance a questi ragazzi, allontanandoli da quel modus operandi, ha un sapore rivoluzionario”.
Francesco Viviano
(da “il Fatto Quotidiano”)
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